Le parole del Papa


SOLENNITÀ DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO - 52° GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

1° gennaio 2019

Tema del Messaggio per la 52a Giornata Mondiale della Pace che si celebra il 1° gennaio 2019:

 

«La buona politica è al servizio della pace»

 

Commento:

La responsabilità politica appartiene ad ogni cittadino, e in particolare a chi ha ricevuto il mandato di proteggere e governare. Questa missione consiste nel salvaguardare il diritto e nell’incoraggiare il dialogo tra gli attori della società, tra le generazioni e tra le culture. Non c’è pace senza fiducia reciproca. E la fiducia ha come prima condizione il rispetto della parola data. L’impegno politico – che è una delle più alte espressioni della carità – porta la preoccupazione per il futuro della vita e del pianeta, dei più giovani e dei più piccoli, nella loro sete di compimento.

 

Quando l’uomo è rispettato nei suoi diritti – come ricordava San Giovanni XXIII nell’Enciclica Pacem in terris (1963) – germoglia in lui il senso del dovere di rispettare i diritti degli altri. I diritti e i doveri dell’uomo accrescono la coscienza di appartenere a una stessa comunità, con gli altri e con Dio (cfr ivi, 45). Siamo pertanto chiamati a portare e ad annunciare la pace come la buona notizia di un futuro dove ogni vivente verrà considerato nella sua dignità e nei suoi diritti.

 

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

 

«Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori» (Lc 2,18). Stupirci: a questo siamo chiamati oggi, a conclusione dell’Ottava di Natale, con lo sguardo ancora posato sul Bambino nato per noi, povero di tutto e ricco di amore. Stupore: è l’atteggiamento da avere all’inizio dell’anno, perché la vita è un dono che ci dà la possibilità di ricominciare sempre, anche dalla condizione più bassa.

 

Ma oggi è anche il giorno in cui stupirsi davanti alla Madre di Dio: Dio è un piccolo bimbo in braccio a una donna, che nutre il suo Creatore. La statua che abbiamo davanti mostra la Madre e il Bambino così uniti da sembrare una cosa sola. È il mistero di oggi, che desta uno stupore infinito: Dio si è legato all’umanità, per sempre. Dio e l’uomo sempre insieme, ecco la buona notizia d’inizio anno: Dio non è un signore distante che abita solitario i cieli, ma l’Amore incarnato, nato come noi da una madre per essere fratello di ciascuno, per essere vicino: il Dio della vicinanza. Sta sulle ginocchia di sua madre, che è anche nostra madre, e da lì riversa sull’umanità una tenerezza nuova. E noi capiamo meglio l’amore divino, che è paterno e materno, come quello di una madre che non smette di credere nei figli e mai li abbandona. Il Dio-con-noi ci ama indipendentemente dai nostri sbagli, dai nostri peccati, da come facciamo andare il mondo. Dio crede nell’umanità, dove si staglia, prima e ineguagliabile, la sua Madre.

 

All’inizio dell’anno, chiediamo a lei la grazia dello stupore davanti al Dio delle sorprese. Rinnoviamo lo stupore delle origini, quando nacque in noi la fede. La Madre di Dio ci aiuta: la Madre che ha generato il Signore, genera noi al Signore. È madre e rigenera nei figli lo stupore della fede, perché la fede è un incontro, non è una religione. La vita, senza stupore, diventa grigia, abitudinaria; così la fede. E anche la Chiesa ha bisogno di rinnovare lo stupore di essere dimora del Dio vivente, Sposa del Signore, Madre che genera figli. Altrimenti, rischia di assomigliare a un bel museo del passato. La “Chiesa museo”. La Madonna, invece, porta nella Chiesa l’atmosfera di casa, di una casa abitata dal Dio della novità. Accogliamo con stupore il mistero della Madre di Dio, come gli abitanti di Efeso al tempo del Concilio. Come loro la acclamiamo “Santa Madre di Dio”. Da lei lasciamoci guardare, lasciamoci abbracciare, lasciamoci prendere per mano.

 

Lasciamoci guardare. Questo soprattutto nel momento del bisogno, quando ci troviamo impigliati nei nodi più intricati della vita, giustamente guardiamo alla Madonna, alla Madre. Ma è bello anzitutto lasciarci guardare dalla Madonna. Quando ci guarda, lei non vede dei peccatori, ma dei figli. Si dice che gli occhi sono lo specchio dell’anima; gli occhi della piena di grazia rispecchiano la bellezza di Dio, riflettono su di noi il paradiso. Gesù ha detto che l’occhio è «la lampada del corpo» (Mt 6,22): gli occhi della Madonna sanno illuminare ogni oscurità, riaccendono ovunque la speranza. Il suo sguardo rivolto a noi dice: “Cari figli, coraggio; ci sono io, la vostra madre!”

 

Questo sguardo materno, che infonde fiducia, aiuta a crescere nella fede. La fede è un legame con Dio che coinvolge tutta intera la persona, e che per essere custodito ha bisogno della Madre di Dio. Il suo sguardo materno ci aiuta a vederci figli amati nel popolo credente di Dio e ad amarci tra noi, al di là dei limiti e degli orientamenti di ciascuno. La Madonna ci radica nella Chiesa, dove l’unità conta più della diversità, e ci esorta a prenderci cura gli uni degli altri. Lo sguardo di Maria ricorda che per la fede è essenziale la tenerezza, che argina la tiepidezza. Tenerezza: la Chiesa della tenerezza. Tenerezza, parola che oggi tanti vogliono cancellare dal dizionario. Quando nella fede c’è posto per la Madre di Dio, non si perde mai il centro: il Signore, perché Maria non indica mai sé stessa, ma Gesù; e i fratelli, perché Maria è madre.

 

Sguardo della Madre, sguardo delle madri. Un mondo che guarda al futuro senza sguardo materno è miope. Aumenterà pure i profitti, ma non saprà più vedere negli uomini dei figli. Ci saranno guadagni, ma non saranno per tutti. Abiteremo la stessa casa, ma non da fratelli. La famiglia umana si fonda sulle madri. Un mondo nel quale la tenerezza materna è relegata a mero sentimento potrà essere ricco di cose, ma non ricco di domani. Madre di Dio, insegnaci il tuo sguardo sulla vita e volgi il tuo sguardo su di noi, sulle nostre miserie. Rivolgi a noi gli occhi tuoi misericordiosi.

 

Lasciamoci abbracciare. Dopo lo sguardo, entra qui in gioco il cuore, nel quale, dice il Vangelo odierno, «Maria custodiva tutte queste cose, meditandole» (Lc 2,19). La Madonna, cioè, aveva tutto a cuore, abbracciava tutto, eventi favorevoli e contrari. E tutto meditava, cioè portava a Dio. Ecco il suo segreto. Allo stesso modo ha a cuore la vita di ciascuno di noi: desidera abbracciare tutte le nostre situazioni e presentarle a Dio.

 

Nella vita frammentata di oggi, dove rischiamo di perdere il filo, è essenziale l’abbraccio della Madre. C’è tanta dispersione e solitudine in giro: il mondo è tutto connesso, ma sembra sempre più disunito. Abbiamo bisogno di affidarci alla Madre. Nella Scrittura ella abbraccia tante situazioni concrete ed è presente dove c’è bisogno: si reca dalla cugina Elisabetta, viene in soccorso agli sposi di Cana, incoraggia i discepoli nel Cenacolo… Maria è rimedio alla solitudine e alla disgregazione. È la Madre della consolazione, che con-sola: sta con chi è solo. Ella sa che per consolare non bastano le parole, occorre la presenza; e lì è presente come madre. Permettiamole di abbracciare la nostra vita. Nella Salve Regina la chiamiamo “vita nostra”: sembra esagerato, perché è Cristo la vita (cfr Gv 14,6), ma Maria è così unita a Lui e così vicina a noi che non c’è niente di meglio che mettere la vita nelle sue mani e riconoscerla “vita, dolcezza e speranza nostra”.

 

E poi, nel cammino della vita, lasciamoci prendere per mano. Le madri prendono per mano i figli e li introducono con amore nella vita. Ma quanti figli oggi, andando per conto proprio, perdono la direzione, si credono forti e si smarriscono, liberi e diventano schiavi. Quanti, dimentichi dell’affetto materno, vivono arrabbiati con sé stessi e indifferenti a tutto! Quanti, purtroppo, reagiscono a tutto e a tutti con veleno e cattiveria! La vita è così. Mostrarsi cattivi talvolta pare persino sintomo di fortezza. Ma è solo debolezza. Abbiamo bisogno di imparare dalle madri che l’eroismo sta nel donarsi, la fortezza nell’aver pietà, la sapienza nella mitezza.

 

Dio non ha fatto a meno della Madre: a maggior ragione ne abbiamo bisogno noi. Gesù stesso ce l’ha data, non in un momento qualsiasi, ma dalla croce: «Ecco tua madre!» (Gv 19,27) ha detto al discepolo, ad ogni discepolo. La Madonna non è un optional: va accolta nella vita. È la Regina della pace, che vince il male e conduce sulle vie del bene, che riporta l’unità tra i figli, che educa alla compassione.

 

Prendici per mano, Maria. Aggrappati a te supereremo i tornanti più angusti della storia. Portaci per mano a riscoprire i legami che ci uniscono. Radunaci insieme sotto il tuo manto, nella tenerezza dell’amore vero, dove si ricostituisce la famiglia umana: “Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio”. Lo diciamo tutti insieme alla Madonna: “Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio”.



 

Versione senza grafica
Versione PDF


<<<  Torna alla pagina precedente

Home - Cerca  
Messaggio Cristiano
SANTA MESSA NEL IX GIORNO DEI NOVENDIALI - Basilica di San Pietro Domenica, 4 maggio 2025

OMELIA del CARDINALE DOMINIQUE MAMBERTI

Venerati Padri Cardinali,
cari fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle,

La Liturgia della Paola di questa ultima novendiale in suffragio di Papa Francesco è quella del giorno, la terza domenica di Pasqua e la pagina del Vangelo di Giovanni appena proclamata ci presenta l’incontro di Gesù risuscitato con alcuni Apostoli e discepoli presso il mare di Tiberiade, che si conclude con la Missione affidata a Pietro dal Signore e il commando di Gesù, “seguimi !”

L’episodio rammenta quello della prima pesca miracolosa, narrato da Luca, quando Gesù aveva chiamato Simone, Giacomo e Giovanni, annunciando a Simone che sarebbe diventato pescatore di uomini. Da quel momento, Pietro l’aveva seguito, a volte nell’incomprensione e perfino nel tradimento, ma nell’incontro di oggi, ultimo prima del ritorno di Cristo presso il Padre, Pietro riceve da lui il compito di pascere il suo gregge.

L’amore è la parola chiave di questa pagina evangelica. Il primo a riconoscere Gesù è “il discepolo che Gesù amava”, Giovanni, che esclama “è il Signore!”, e Pietro subito si getta in mare per raggiungere il Maestro. Dopo che avessero condiviso il cibo, ciò che avrà acceso nel cuore degli Apostoli il ricordo dell’ultima cena, inizia il dialogo tra Gesù e Pietro, la triplice domanda del Signore e la triplice risposta di Pietro.

Le due prime volte, Gesù adopera il verbo amare, parola forte, mentre Pietro, memore del tradimento risponde con l’espressione “voler bene”, meno impegnativa e la terza volta Gesù stesso usa l’espressione voler bene, adeguandosi alla debolezza dell’Apostolo. Notava Papa Benedetto XVI commentando questo dialogo. “Simone comprende che a Gesù basta il suo povero amore, l’unico di cui è capace. (…) È proprio questo adeguamento divino a dare speranza al discepolo, che ha conosciuto la sofferenza dell’infedeltà. (…) Da quel giorno Pietro ha “seguito” il Maestro con la precisa consapevolezza della propria fragilità; ma questa consapevolezza non l’ha scoraggiato. Egli sapeva infatti di poter contare sulla presenza accanto a sé del Risorto (…) e mostra così anche a noi la via”. [1]

Nell’omelia della Messa per il XXV anniversario del suo Pontificato, San Giovanni Paolo II confidava: “Oggi, cari fratelli e sorelle, mi è gradito condividere con voi un’esperienza che si prolunga ormai da un quarto di secolo. Ogni giorno si svolge all’interno del mio cuore lo stesso dialogo tra Gesù e Pietro. Nello spirito, fisso lo sguardo benevolo di Cristo risorto. Egli, pur consapevole della mia umana fragilità, mi incoraggia a rispondere con fiducia come Pietro: "Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo" ( Gv 21,17). E poi mi invita ad assumere le responsabilità che Lui stesso mi ha affidato.” [2]

Questa Missione è l’amore stesso, che si fa servizio alla Chiesa e a tutta l’umanità. Pietro e gli Apostoli l’hanno assunta subito, con la forza dello Spirito che avevano ricevuto alla Pentecoste, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura: “Bisogna ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini. Il Dio dei nostri Padri ha risuscitato Gesù che voi avete ucciso appendendolo ad una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra, come capo e Salvatore”.

Abbiamo tutti ammirato quanto Papa Francesco, animato dall’amore del Signore e portato dalla Sua grazia, sia stato fedele alla sua Missione fino all’estremo consumo delle sue forze. Ha ammonito i potenti che bisogna ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini e ha proclamato all’umanità intera la gioia del Vangelo, il Padre Misericordioso, Cristo Salvatore. L’ha fatto nel suo Magistero, nei suoi viaggi, nei suoi gesti, nel suo stile di vita. Ero vicino a lui il giorno di Pasqua, alla loggia delle benedizioni di questa Basilica, testimone della sua sofferenza, ma soprattutto del suo coraggio e della sua determinazione di servire il Popolo di Dio fino alla fine.

Nella seconda Lettura, tratta dal Libro dell’Apocalisse, abbiamo ascoltato la lode che tutto l’universo rivolge a Colui che siede sul trono e all’Agnello: “lode, onore, gloria e potenza,nei secoli dei secoli”. E i quattro esseri viventi dicevano: «Amen». E gli anziani si prostrarono in adorazione”.

L’adorazione è una dimensione essenziale della missione della Chiesa e della vita dei fedeli. Papa Francesco lo ricordava spesso, come per esempio nell’ omelia per la festa dell’Epifania dell’anno scorso: “I Magi hanno il cuore prostrato in adorazione. (…) Essi arrivarono a Betlemme e, quando videro il Bambino, ‘si prostrarono e lo adorarono’ ( Mt 2,11). (…) Un re che è venuto a servirci, un Dio che si è fatto uomo. Dinanzi a questo mistero, siamo chiamati a piegare il cuore e le ginocchia per adorare: adorare il Dio che viene nella piccolezza, che abita la normalità delle nostre case, che muore per amore. (…) Fratelli e sorelle, abbiamo perso l’abitudine di adorare, abbiamo perso questa capacità che ci dà l’adorazione. Riscopriamo il gusto della preghiera di adorazione. (…). Manca l’adorazione oggi tra noi.” [3]

Questa capacità che dà l’adorazione non era difficile da riconoscere in Papa Francesco. La sua intensa vita pastorale, i suoi innumerevoli incontri, erano fondati sui lunghi momenti di preghiera che la disciplina ignaziana aveva improntato in lui. Tante volte ci ha ricordato che la contemplazione è “un dinamismo d’amore” che ”ci eleva a Dio non per staccarci dalla terra, ma per farcela abitare in profondità.” [4] E tutto quanto egli faceva, lo faceva sotto lo sguardo di Maria. Ci rimarranno nella memoria e nel cuore le sue centoventisei soste davanti alla Salus Populi Romani. E ora che riposa vicino all’amata Immagine, lo affidiamo con gratitudine e fiducia all’intercessione della Madre del Signore e Madre nostra.

[1] Udienza generale del 24 maggio 2006.

[2] Omelia della S. Messa del 16 ottobre 2003.

[3] Omelia della S. Messa del 6 gennaio 2024.

[4] Udienza alle Delegate delle Carmelitane Scalze, 18 aprile 2024.