Mercoledì 23 Ottobre 2024
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Le parole del Papa


SANTA MESSA, BENEDIZIONE E IMPOSIZIONE DELLE CENERI

Basilica di San Pietro, Mercoledì, 17 febbraio 2021

 

 

OMELIA del SANTO PADRE FRANCESCO

 

Iniziamo il cammino della Quaresima. Esso si apre con le parole del profeta Gioele, che indicano la direzione da seguire. C’è un invito che nasce dal cuore di Dio, che con le braccia spalancate e gli occhi pieni di nostalgia ci supplica: «Ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12). Ritornate a me. La Quaresima è un viaggio di ritorno a Dio. Quante volte, indaffarati o indifferenti, gli abbiamo detto: “Signore, verrò da Te dopo, aspetta… Oggi non posso, ma domani comincerò a pregare e a fare qualcosa per gli altri”. E così un giorno dopo l’altro. Ora Dio fa appello al nostro cuore. Nella vita avremo sempre cose da fare e avremo scuse da presentare, ma, fratelli e sorelle, oggi è il tempo di ritornare a Dio.

 

Ritornate a me, dice, con tutto il cuore. La Quaresima è un viaggio che coinvolge tutta la nostra vita, tutto noi stessi. È il tempo per verificare le strade che stiamo percorrendo, per ritrovare la via che ci riporta a casa, per riscoprire il legame fondamentale con Dio, da cui tutto dipende. La Quaresima non è una raccolta di fioretti, è discernere dove è orientato il cuore. Questo è il centro della Quaresima: dove è orientato il mio cuore? Proviamo a chiederci: dove mi porta il navigatore della mia vita, verso Dio o verso il mio io? Vivo per piacere al Signore, o per essere notato, lodato, preferito, al primo posto e così via? Ho un cuore “ballerino”, che fa un passo avanti e uno indietro, ama un po’ il Signore e un po’ il mondo, oppure un cuore saldo in Dio? Sto bene con le mie ipocrisie, o lotto per liberare il cuore dalle doppiezze e dalle falsità che lo incatenano?

 

Il viaggio della Quaresima è un esodo, è un esodo dalla schiavitù alla libertà. Sono quaranta giorni che ricordano i quarant’anni in cui il popolo di Dio viaggiò nel deserto per tornare alla terra di origine. Ma quanto fu difficile lasciare l’Egitto! È stato più difficile lasciare l’Egitto del cuore del popolo di Dio, quell’Egitto che portavano sempre dentro, che lasciare la terra d’Egitto… È molto difficile lasciare l’Egitto. Sempre, durante il cammino, c’era la tentazione di rimpiangerne le cipolle, di tornare indietro, di legarsi ai ricordi del passato, a qualche idolo. Anche per noi è così: il viaggio di ritorno a Dio è ostacolato dai nostri malsani attaccamenti, è trattenuto dai lacci seducenti dei vizi, dalle false sicurezze dei soldi e dell’apparire, dal lamento vittimista che paralizza. Per camminare bisogna smascherare queste illusioni.

 

Ma ci domandiamo: come procedere allora nel cammino verso Dio? Ci aiutano i viaggi di ritorno che la Parola di Dio ci racconta.

 

Guardiamo al figlio prodigo e capiamo che pure per noi è tempo di ritornare al Padre. Come quel figlio, anche noi abbiamo dimenticato il profumo di casa, abbiamo dilapidato beni preziosi per cose da poco e siamo rimasti con le mani vuote e il cuore scontento. Siamo caduti: siamo figli che cadono in continuazione, siamo come bimbi piccoli che provano a camminare ma vanno in terra, e hanno bisogno di essere rialzati ogni volta dal papà. È il perdono del Padre che ci rimette sempre in piedi: il perdono di Dio, la Confessione, è il primo passo del nostro viaggio di ritorno. Ho detto alla Confessione, mi raccomando i confessori: siate come il padre, non con la frusta, con l’abbraccio.

 

Poi abbiamo bisogno di ritornare a Gesù, di fare come quel lebbroso risanato che tornò a ringraziarlo. In dieci erano stati guariti, ma lui solo fu anche salvato, perché era tornato da Gesù (cfr Lc 17,12-19). Tutti, tutti abbiamo delle malattie spirituali, da soli non possiamo guarirle; tutti abbiamo dei vizi radicati, da soli non possiamo estirparli; tutti abbiamo delle paure che ci paralizzano, da soli non possiamo sconfiggerle. Abbiamo bisogno di imitare quel lebbroso, che tornò da Gesù e si buttò ai suoi piedi. Ci serve la guarigione di Gesù, serve mettergli davanti le nostre ferite e dirgli: “Gesù, sono qui davanti a Te, con il mio peccato, con le mie miserie. Tu sei il medico, Tu puoi liberarmi. Guarisci il mio cuore”.

 

Ancora: la Parola di Dio ci chiede di ritornare al Padre, ci chiede di ritornare a Gesù, e siamo chiamati a ritornare allo Spirito Santo. La cenere sul capo ci ricorda che siamo polvere e in polvere torneremo. Ma su questa nostra polvere Dio ha soffiato il suo Spirito di vita. Allora non possiamo vivere inseguendo la polvere, andando dietro a cose che oggi ci sono e domani svaniscono. Torniamo allo Spirito, Datore di vita, torniamo al Fuoco che fa risorgere le nostre ceneri, a quel Fuoco che ci insegna ad amare. Saremo sempre polvere ma, come dice un inno liturgico, polvere innamorata. Ritorniamo a pregare lo Spirito Santo, riscopriamo il fuoco della lode, che brucia le ceneri del lamento e della rassegnazione.

 

Fratelli e sorelle, questo nostro viaggio di ritorno a Dio è possibile solo perché c’è stato il suo viaggio di andata verso di noi. Altrimenti non sarebbe stato possibile. Prima che noi andassimo da Lui, Lui è sceso verso di noi. Ci ha preceduti, ci è venuto incontro. Per noi è sceso più in basso di quanto potevamo immaginare: si è fatto peccato, si è fatto morte. È quanto ci ha ricordato San Paolo: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore» (2 Cor 5,21). Per non lasciarci soli e accompagnarci nel cammino è sceso dentro al nostro peccato e alla nostra morte, ha toccato il peccato, ha toccato la nostra morte. Il nostro viaggio, allora, è un lasciarci prendere per mano. Il Padre che ci chiama a tornare è Colui che esce di casa per venirci a cercare; il Signore che ci guarisce è Colui che si è lasciato ferire in croce; lo Spirito che ci fa cambiare vita è Colui che soffia con forza e dolcezza sulla nostra polvere.

 

Ecco allora la supplica dell’Apostolo: «Lasciatevi riconciliare con Dio» (v. 20). Lasciatevi riconciliare: il cammino non si basa sulle nostre forze; nessuno può riconciliarsi con Dio con le proprie forze, non può. La conversione del cuore, con i gesti e le pratiche che la esprimono, è possibile solo se parte dal primato dell’azione di Dio. A farci ritornare a Lui non sono le nostre capacità e i nostri meriti da ostentare, ma la sua grazia da accogliere. Ci salva la grazia, la salvezza è pura grazia, pura gratuità. Gesù ce l’ha detto chiaramente nel Vangelo: a renderci giusti non è la giustizia che pratichiamo davanti agli uomini, ma la relazione sincera con il Padre. L’inizio del ritorno a Dio è riconoscerci bisognosi di Lui, bisognosi di misericordia bisognosi della sua grazia. Questa è la via giusta, la via dell’umiltà. Io mi sento bisognoso o mi sento autosufficiente?

 

Oggi abbassiamo il capo per ricevere le ceneri. Finita la Quaresima ci abbasseremo ancora di più per lavare i piedi dei fratelli. La Quaresima è una discesa umile dentro di noi e verso gli altri. È capire che la salvezza non è una scalata per la gloria, ma un abbassamento per amore. È farci piccoli. In questo cammino, per non perdere la rotta, mettiamoci davanti alla croce di Gesù: è la cattedra silenziosa di Dio. Guardiamo ogni giorno le sue piaghe, le piaghe che Lui ha portato in Cielo e fa vedere al Padre, tutti i giorni, nella sua preghiera di intercessione. Guardiamo ogni giorno le sue piaghe. In quei fori riconosciamo il nostro vuoto, le nostre mancanze, le ferite del peccato, i colpi che ci hanno fatto male. Eppure proprio lì vediamo che Dio non ci punta il dito contro, ma ci spalanca le mani. Le sue piaghe sono aperte per noi e da quelle piaghe siamo stati guariti (cfr 1 Pt 2,25; Is 53,5). Baciamole e capiremo che proprio lì, nei buchi più dolorosi della vita, Dio ci aspetta con la sua misericordia infinita. Perché lì, dove siamo più vulnerabili, dove ci vergogniamo di più, Lui ci è venuto incontro. E ora che ci è venuto incontro, ci invita a ritornare a Lui, per ritrovare la gioia di essere amati.

 



 

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Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE Piazza San Pietro - Mercoledì, 23 Ottobre 2024

Ciclo di Catechesi. Lo Spirito e la Sposa. Lo Spirito Santo guida il popolo di Dio incontro a Gesù nostra speranza. 10. “Lo Spirito dono di Dio”. Lo Spirito Santo e il sacramento del matrimonio

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Abbiamo spiegato la volta scorsa ciò che, dello Spirito Santo, proclamiamo nel credo. La riflessione della Chiesa, però, non si è fermata a quella breve professione di fede. Essa è proseguita, sia in Oriente che in Occidente, per opera di grandi Padri e Dottori. Oggi, in particolare, vorremmo raccogliere qualche briciola della dottrina dello Spirito Santo sviluppatasi nella tradizione latina, per vedere come essa illumini tutta la vita cristiana e in modo particolare il sacramento del matrimonio.

L’artefice principale di tale dottrina è sant’Agostino, che ha sviluppato la dottrina sullo Spirito Santo. Egli parte dalla rivelazione che «Dio è amore» ( 1Gv 4,8). Ora l’amore suppone uno che ama, uno che è amato e l’amore stesso che li unisce. Il Padre è, nella Trinità colui che ama, la fonte e il principio di tutto; il Figlio è colui che è amato, e lo Spirito Santo è l’amore che li unisce [1]. Il Dio dei cristiani dunque è un Dio “unico”, ma non solitario; la sua è una unità di comunione, di amore. In questa linea, qualcuno ha proposto di chiamare lo Spirito Santo, non “la terza persona” singolare della Trinità, ma piuttosto “la prima persona plurale”. Egli, in altre parole, è il Noi, il Noi divino del Padre e del Figlio, il vincolo di unità tra diverse persone [2], principio stesso dell’unità della Chiesa, che è appunto un “corpo solo” risultante da più persone.

Come ho detto, oggi vorrei riflettere con voi in particolare su ciò che lo Spirito Santo ha da dire alla famiglia. Che cosa può avere a che fare lo Spirito Santo con il matrimonio, per esempio? Moltissimo, forse l’essenziale, e cerco di spiegare perché! Il matrimonio cristiano è il sacramento del farsi dono, l’uno per l’altra, dell’uomo e della donna. Così lo ha pensato il Creatore quando «creò l'uomo a sua immagine […]: maschio e femmina li creò» (Gen 1,27). La coppia umana è perciò la prima e più elementare realizzazione della comunione d’amore che è la Trinità.

Anche gli sposi dovrebbero formare una prima persona plurale, un “noi”. Stare l’uno davanti all’altro come un “io” e un “tu”, e stare di fronte al resto del mondo, compresi i figli, come un “noi”. Come è bello sentire una madre che dice ai figli: «Tuo padre ed io…», come disse Maria a Gesù, quando lo ritrovarono dodicenne nel tempio insegnando ai Dottori (cfr Lc 2,48), e sentire un padre che dice: «Tua madre ed io», quasi fossero un unico soggetto. Quanto bisogno hanno i figli di questa unità - papà e mamma insieme -, unità dei genitori e quanto soffrono quando essa viene meno! Quanto soffrono i figli dei padri che si separano, quanto soffrono!

Per corrispondere a questa vocazione, però, il matrimonio ha bisogno del sostegno di Colui che è il Dono, anzi il donarsi per eccellenza. Dove entra lo Spirito Santo la capacità di donarsi rinasce. Alcuni Padri della Chiesa hanno affermato che, essendo il dono reciproco del Padre e del Figlio nella Trinità, lo Spirito Santo è anche la ragione della gioia che regna tra essi, e non hanno avuto paura di usare, parlandone, l’immagine di gesti propri della vita coniugale, quali il bacio e l’abbraccio [3].

Nessuno dice che tale unità sia un traguardo facile, meno che meno nel mondo d’oggi; ma questa è la verità delle cose come le ha pensate il Creatore ed è perciò nella loro natura. Certo, può sembrare più facile e più sbrigativo costruire sulla sabbia che non sulla roccia; ma Gesù ci dice qual è il risultato (cfr Mt 7,24-27). In questo caso, poi, non abbiamo bisogno neppure della parabola, perché le conseguenze dei matrimoni costruiti sulla sabbia sono, purtroppo, sotto gli occhi di tutti e a farne le spese sono soprattutto i figli. I figli soffrono la separazione o la mancanza di amore dei genitori! Di tanti sposi si deve ripetere quello che Maria disse a Gesù, a Cana di Galilea: «Non hanno vino» (Gv 2,3). Lo Spirito Santo è colui che continua a fare, sul piano spirituale, il miracolo che fece Gesù in quella occasione, e cioè cambiare l’acqua dell’abitudine in una nuova gioia di stare insieme. Non è una pia illusione: è ciò che lo Spirito Santo ha fatto in tanti matrimoni, quando gli sposi si sono decisi a invocarlo.

Non sarebbe male, perciò se, accanto alle informazioni di natura giuridica, psicologica e morale che si danno, nella preparazione dei fidanzati al matrimonio si approfondisse questa preparazione “spirituale”, lo Spirito Santo che fa l’unità. “Tra moglie e marito non mettere il dito”, dice un proverbio italiano. C’è invece un “dito” da mettere tra moglie e marito, ed è proprio il “dito di Dio”: cioè lo Spirito Santo!

Papa Francesco