Venerdì 19 Aprile 2024
Contempliamo qui le meraviglie del creato
Amore al fratello!ContattiLa Parola di DioBlog
Testimoni del nostro tempo


Mariam Baouardy, il "fiore di Galilea", seme di pace per il Medio Oriente

Palestina in festa per la canonizzazione di domenica di Suor Maria Alfonsina Danil Ghattas e Maria di Gesù Crocifisso Baouardy, le prime Sante dall'epoca di Cristo. Oltre 2000 fedeli a Roma guidati dal patriarca Twal

 

Un ritratto della carmelitana suor Maria di Gesù Crocifisso, mistica dell'umiltà e teologa dello Spirito Santo, canonizzata stamane da Papa Francesco

 

Città del Vaticano, 17 Maggio 2015 (ZENIT.org)

 

Un villaggio arabo di Terra Santa, una coppia di sposi poveri ma pieni di fede, e un pellegrinaggio a Betlemme: è il contesto in cui sboccia il "fiore di Galilea", suor Maria di Gesù Crocifisso, al secolo Mariam Baouardy, che il Papa ha canonizzato oggi insieme ad altre tre Beate.

 

La vita straordinaria di questa carmelitana, nata nel 1846 ad Abellin, non lontano da Nazareth (allora nella Siria dominata dagli Ottomani) è strettamente legata alla Vergine, alla quale fu consacrata. I genitori infatti, che prima di lei avevano perso uno dopo l’altro 12 figli, fecero un voto e un pellegrinaggio a piedi alla grotta della Natività per chiedere il dono di una figlia; per questo, in ringraziamento, offrirono alla Madre di Dio l’equivalente in cera del peso della bambina.

 

Fin dall’infanzia, Mariam manifestò doni di grazia particolari, ma soffrì pure prove e tribolazioni di ogni genere; rimasta orfana a tre anni, andò poi a lavorare come domestica, preferendo le famiglie più povere, per le quali chiese persino l’elemosina; fu sospettata di furto, finì in prigione. A 17 anni ebbe la prima estasi.

 

L’ingresso al Carmelo, a Pau in Francia, all’età di 21 anni, fu preceduto dagli anni vissuti come figlia di S. Giuseppe, (“prima di divenire figlia di Santa Teresa”, le aveva rivelato la Madonna): per 2 anni fu postulante tra le suore di San Giuseppe dell’Apparizione, a Marsiglia. La promessa di verginità, la fece all’età di 13 anni, quando proposta in sposa a un egiziano, si tagliò i capelli in segno di consacrazione, scatenando la furia dello zio, che per questo la umiliò e la trattò come una serva. Di lì a poco, Mariam arrivò alle soglie della morte: in risposta ad un turco che voleva convincerla a convertirsi all’islam, si proclamò figlia della chiesa cattolica.

 

Per questo il servo musulmano le tagliò la gola. Furono “le nozze di sangue”, l’8 settembre 1859. In seguito racconterà di essersi trovata in cielo; a restituirle la vita “un’infermiera vestita di azzurro” che la curò con delicatezza straordinaria, e dalla quale ebbe rivelazioni sulla sua vita; dichiarò anni dopo, che si trattava della Vergine. A prova dell’accaduto le rimase sempre la voce rauca, una cicatrice di 10 centimetri sul collo, e fu accertato che le mancavano persino alcuni anelli della trachea. Come constatò un celebre medico di Marsiglia, sebbene ateo, “doveva esserci un Dio, perché non avrebbe potuto sopravvivere in quelle condizioni, senza un miracolo”.

 

Nella sua vita intensa e tormentata, ha viaggiato dai sentieri della Galilea ad Alessandria, a Beirut, alla Francia, fino a Mangalore in India, dove fu la prima carmelitana a fare la professione, all’età di 24 anni, nel 1871. Tornò poi a Pau, a pochi chilometri da Lourdes; di lì nel 1875 partì per la sua Terra Santa.

 

Per l’aspetto di fanciulla le consorelle la chiamavano “la piccola araba”, lei però si definiva “piccolo nulla”. Fu proprio lei - che parlava a stento il francese, e non capiva certo di architettura - a descrivere il progetto e dirigere i lavori per la costruzione del monastero che doveva sorgere a Betlemme: come una torre, nel luogo indicatole in visione dal Signore, su una collina, prospiciente la Natività. Fece profezie, ebbe persino una rivelazione sul luogo in cui “il Signore spezzò il pane”, Emmaus Nikopolis, a circa 30 km da Gerusalemme, in seguito alla quale furono effettuati gli scavi e trovati resti importantissimi.

 

Malgrado le molte grazie ricevute, mantenne sempre l’obbedienza ai superiori, “obbedienza fino al miracolo”, fin dopo la morte: fu questa la prova che tutto veniva da Dio. Nella sua semplicità, chiamava le stimmate e le manifestazioni della Passione, che viveva nel suo corpo, “la mia malattia”, e chiese alla sua cara suor Veronica di starle lontano, perché non ne fosse contagiata. Talora invece, svegliandosi dalle estasi si scusava per la sua “pigrizia”.

 

Ma la passione che viveva, fu compresa meglio dopo la sua morte, avvenuta il 26 agosto del 1878, per una cancrena causata da una caduta, avvenuta portando l’acqua agli operai. Si spense tra dolori indicibili nel monastero in costruzione sulla collina del re Davide. Quando venne estratto il cuore, fu rilevata la cicatrice di un ferita profonda e non recente. Il suo cuore fu “transverberato” come quello di altri santi, tra cui la sua madre S. Teresa d’Avila.

 

La vita di Mariam ha coinciso con il pontificato di Pio IX che chiamava “mio padre”. E fu perfetta coetanea di Bernadette Soubirous. Con la santa francese, oltre al fatto di essere illetterata, condivide la grandissima umiltà, che ha lasciato a bocca aperta intellettuali e sapienti. Il suo biografo Amedeo Brunot si disse “impressionato dal fascino esercitato da questa misteriosa araba su tanti intellettuali cattolici: Maurice Barrès, Léon Bloy, Francis James, Julien Green, Jacques Maritain, Louis Massignon, René Schwob... Non può essere segno di un messaggio universale? Dai suoi gesti, dalle sue parole, dalla sua persona si diffonde un forte profumo biblico... “.

 

Straordinari i pensieri della piccola carmelitana sull’umiltà:  “Domando all’Altissimo: Dove abiti? Egli mi risponde: cerco ogni giorno una nuova dimora… Sono felice in un anima bassa, in un presepio. Domando sempre a Gesù dove abita – In una grotta; lo sai come ho schiacciato il nemico? Nascendo così basso…”. E ancora: “Oggi la santità non è la preghiera, né le visioni o le rivelazioni, né la scienza di parlar bene, né i cilici; né le penitenze; è l’umiltà”. “Nell’inferno –disse la religiosa- si trovano tutte le specie di virtù, ma non l’umiltà; in Paradiso si trovano tutte le specie di difetti, ma non l’orgoglio”.  

 

Significativo il fatto che proprio Mariam, così piena di grazie straordinarie, metteva in guardia dalle cercare rivelazioni e cose sorprendenti. “Non andate a vedere e consultare qui e là lo straordinario, altrimenti “la vostra fede s’indebolirà”, raccomandava da parte del Signore. “Se vi si dice: la Madonna appare qui o là; vi è un’anima straordinaria in tal luogo, non vi andate… Il Signore vi dice: Sii fedele alla fede, alla Chiesa, al Vangelo. Se sarete fedele alla Chiesa, al Vangelo, Egli sarà sempre con voi e non vi lascerà mai”.

 

Figlia della sua terra, cantò nello stile orientale – e con le immagini semplici, che conosciamo dalle parabole e dai salmi -  la bellezza del creato, l’amore del Creatore e la fragilità dell’essere creatura. “Considerate le api; esse svolazzano di fiore in fiore, entrano poi nell'alveare per comporre il miele. Imitatele; cogliete dovunque il succo dell'umiltà. Il miele è dolce; l'umiltà ha il gusto di Dio; fa gustare Dio”.

 

E’ per l’umiltà di “questa piccola illetterata” che l’intellettuale ebreo, convertito al cristianesimo, René Schwob espresse l’auspicio che ella “possa diventare la patrona degli intellettuali, una volta avvenuta la canonizzazione. Essa è l'ideale che li può liberare dall'orgoglio”.

 

Di famiglia maronita, battezzata ed educata nella chiesa greco-cattolica, carmelitana, Mariam porta in dote alla chiesa universale la ricchezza dell’Oriente cristiano e una particolare devozione allo Spirito Santo. “Il mondo e le comunità religiose – disse - trascurano la vera devozione al Paraclito. Per questo vi è l'errore, la disunione, e non vi è la pace. Non si chiama abbastanza la luce come deve essere chiamata. Anche nei seminari è trascurata. Chi invocherà lo Spirito Santo, non morrà nell'errore”. E al Papa scrisse: “Mi è stato detto che, nell'universo intero, bisogna stabilire che ogni sacerdote dica una messa dello Spirito Santo tutti i mesi. Coloro che vi assisteranno avranno una grazia e una luce particolarissima”. Venti anni dopo, Leone XIII con l’enciclica “Divinum illud munus” prescrisse la novena allo Spirito Santo in preparazione alla Pentecoste.

 

Bellissime le invocazioni di Mariam allo Spirito Santo: “Sorgente di pace, di luce vieni ad illuminarmi; ho fame vieni a nutrirmi; ho sete, vieni a dissetarmi; sono cieca, vieni a illuminarmi; sono povera vieni ad arricchirmi; sono ignorante vieni ad istruirmi. Spirito Santo mi abbandono a te”.

 

 

 

Città del Vaticano, 15 Maggio 2015 (ZENIT.org)

 

Sono tanti, troppi, i segni legati alla canonizzazione delle due Beate palestinesi che il Papa eleverà domenica agli onori degli altari, da non poter pensare che si tratti di un’opera di Dio. L’evento – che vedrà la proclamazione anche di altre due Beate, una italiana e una francese - è stato presentato stamane in Sala Stampa vaticana da padre Rifat Bader, direttore del Catholic Center for Studies and Media di Amman.

 

Anzitutto, Suor Maria Alfonsina Danil Ghattas e Maria di Gesù Crocifisso Baouardy - religiosa, Fondatrice della Congregazione delle Suore del Rosario di Gerusalemme la prima; monaca professa dei Carmelitani Scalzi la seconda - rappresentano “una nuova luce” in un momento in cui la Terra Santa è ferita da violenze, divisioni, difficoltà politiche, lotte religiose. Esse restituiscono quindi alla terra di Gesù “il suo vero volto”, spesso distorto dalle cattive notizie, e mostrano “che la santità è possibile anche nelle situazioni più difficili”, come ha osservato il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal, all'indomani del suo arrivo a Roma, insieme ad una delegazione di oltre 2000 fedeli da Palestina, Giordania e Israele.

 

Poi, la cerimonia di canonizzazione si svolge a pochi giorni dalla recente intesa della Commissione bilaterale sull’Accordo globale tra Santa Sede e “Stato di Palestina”, il cui testo è ancora in attesa della firma delle rispettive autorità. È vero ciò che ha affermato padre Federico Lombardi nel briefing di stamane: i due eventi “sono indipendenti”, la data di canonizzazione è stata stabilita molto prima... Ma per i palestinesi l’emozione nel vedere le parole “Stato di Palestina” nero su bianco per la prima volta in un documento pontificio è difficile da slegare all’emozione nel vedere sulla facciata della Basilica di San Pietro i volti di due connazionali (alcuni reputano tuttavia una 'forzatura' che si parli di Sante palestinesi visto l'assenza all'epoca della loro vita di una 'Palestina' e la provenienza dalla Galilea di una e dal Libano dell'altra).

 

Da annoverare tra i 'segni' anche il fatto che entrambe le due nuove Sante si chiamano Maryam, nome comune alla religione cristiana, ebraica e musulmana. “Vuol dire che le tre religioni possono dialogare assieme senza discriminazione", osserva mons. Twal. Un altro segnale dunque per un momento storico come quello attuale dove il dialogo interreligioso è messo a dura prova, specie con l’islam.

 

In proposito va ricordato che anche Santa Maria di Gesù Crocifisso soffrì a causa dell'estremismo: fu sgozzata dai musulmani per non aver abiurato e guarita poi dalla Madonna, come si legge nella sua biografia. Non è questo un segno oggi, nel bel mezzo di tragedie terroristiche e persecuzioni religiose perpetrate proprio in Medio Oriente? “Lei – ha detto infatti padre Bader - intercede oggi per ogni persona che viene uccisa per la sua fede; ci richiama con forza a rispettare le differenze di religione, di razza, e a considerare ogni uomo come creatura di Dio, creata a sua immagine e somiglianza”.

 

Le due Beate possono dunque essere “modello di perfezione per i cristiani come per i musulmani e gli ebrei”, ha detto il patriarca latino di Gerusalemme. Ma anche per tutti i consacrati che celebrano il loro speciale Anno indetto dal Papa. Ecco un’altra coincidenza: nei 12 mesi dedicati ai religiosi viene elevata agli onori degli altari suor Maria Alphonsine, che, con la forza della preghiera anzitutto, e poi con l'appoggio delle autorità religiose, fondò la prima Congregazione araba locale. Essa – ha spiegato padre Bader – “ha oggi una grande presenza nel mondo arabo: in Giordania, Palestina, Libano, emirati del Golfo, avvertita soprattutto nei campi dell'educazione religiosa e dell'insegnamento”.

 

In particolare, la Congregazione, fiorita nel secolo XIX e all'inizio del secolo XX, ha avuto un ruolo decisivo nella promozione della donna araba nei campi della cultura, dell'educazione e dell'insegnamento. “Chi studia la storia della Palestina e della Giordania, all'inizio del secolo XX, riscopre questo contributo delle Suore del Rosario nella società araba, un contributo che continua a essere offerto anche oggi, malgrado le difficoltà che si affrontano in questi giorni”, ha evidenziato il sacerdote. E ha aggiunto: “Siamo circondati dalla guerra e dalla morte, e allora Dio ci manda donne sante per guidarci, con la loro luce e intercessione e con la speranza che ci portano”.

 

Insomma quella di domenica non è una semplice canonizzazione ma l'inizio di “una nuova speranza per le figlie e i figli della Palestina e della Giordania e per il Medio Oriente”, oltre cheun evento spirituale molto importante per gli abitanti della Terra Santa” che ricorre per la prima volta sin dal tempo degli Apostoli e dei cristiani dei primi secoli. Tutti hanno voluto quindi parteciparvi; anche il presidente Palestinese, Mahmoud Abbas Abu Mazin, che, dopo l'incontro di oggi col presidente della Repubblica Mattarella, sarà ricevuto domattina in udienza da Papa Francesco.

 

Saranno inoltre presenti alla funzione arcivescovi melkiti e maroniti, presuli mediorientali e un gran numero di sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli delle varie Chiese. Chi non potrà venire a Roma – ha informato padre Lombardi – seguirà la cerimonia via satellite anche in diverse località dello Stato di Palestina, “dove i cristiani sono il 2% della società”. 

 

Durante la Messa, la Superiora generale delle Suore del Rosario, Inés al-Ya'qoub, porterà all'altare le reliquie di Marie Alphonsine, accompagnata da Sr Praxède Sweidan e da parenti della Santa: Nawal Daniel Mizyid e Patrik Daniel. Le reliquie della “piccola araba”, Maria di Gesù Crocifisso Baouardy, saranno portate invece dalla Suora Carmelitana Anna Delmas accompagnata da Sr Ferial Qarra'a (da Betlemme), da Sr Jocelyne Vero e da Rezeq Baouardy, parente della Santa.

 

Le offerte saranno presentate poi da Munir Elias, ingegnere della Galilea miracolato grazie all'intercessione di Marie Alphonsine, accompagnato da sua madre, e dalla famiglia della Sicilia che ha ottenuto la guarigione del suo bambino, gravemente malato dalla nascita, con l'intercessione della Baouardy. Durante le preghiere dei fedeli, Sr Mariam Baabich, della Congregazione del Rosario, farà una preghiera in arabo per la pace e la giustizia.

 

Alla vigilia della canonizzazione, infine, ci sarà un incontro di preghiera nella Basilica di Santa Sabina all'Aventino a Roma, alle 17.30, che vedrà la partecipazione dei membri della delegazione della Terra Santa. Lunedì 18 maggio il Patriarca Twal presiederà poi una Messa di ringraziamento a Santa Maria Maggiore in lingua araba, con canti in arabo. Probabilmente, ha notato Bader, “si tratta della prima Messa patriarcale nella storia celebrata in arabo nella prima Basilica romana dedicata alla Theotokos”. Anche questo un segno dei tempi.

 



 

Versione senza grafica
Versione PDF


<<<  Torna alla pagina precedente

Home - Cerca  
Messaggio Cristiano
Udienza Generale, 17 Aprile 2024

Catechesi. I vizi e le virtù. 15. La temperanza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi parlerò della quarta e ultima virtù cardinale: la temperanza. Con le altre tre, questa virtù condivide una storia che risale molto indietro nel tempo e che non appartiene ai soli cristiani. Per i greci la pratica delle virtù aveva come obbiettivo la felicità. Il filosofo Aristotele scrive il suo più importante trattato di etica indirizzandolo al figlio Nicomaco, per istruirlo nell’arte del vivere. Perché tutti cerchiamo la felicità eppure così pochi la raggiungono? Questa è la domanda. Per rispondere ad essa Aristotele affronta il tema delle virtù, tra le quali ha uno spazio di rilievo la enkráteia, cioè la temperanza. Il termine greco significa letteralmente “potere su sé stessi”. La temperanza è un potere su sé stessi. Questa virtù è dunque la capacità di autodominio, l’arte di non farsi travolgere da passioni ribelli, di mettere ordine in quello che il Manzoni chiama il “guazzabuglio del cuore umano”.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice che «la temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati». «Essa – prosegue il Catechismo – assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore» (n. 1809).

Dunque, la temperanza, come dice la parola italiana, è la virtù della giusta misura. In ogni situazione, si comporta con saggezza, perché le persone che agiscono mosse sempre dall’impeto o dall’esuberanza alla fine sono inaffidabili. Le persone senza temperanza sono sempre inaffidabili. In un mondo dove tanta gente si vanta di dire quello che pensa, la persona temperante preferisce invece pensare quello che dice. Capite la differenza? Non dire quello che mi viene in mente, così… No, pensare a quello che devo dire. Non fa promesse a vanvera, ma assume impegni nella misura in cui li può soddisfare.

Anche con i piaceri, la persona temperante agisce con giudizio. Il libero corso delle pulsioni e la totale licenza accordata ai piaceri, finiscono per ritorcersi contro noi stessi, facendoci precipitare in uno stato di noia. Quanta gente che ha voluto provare tutto con voracità si è ritrovata a perdere il gusto di ogni cosa! Meglio allora cercare la giusta misura: ad esempio, per apprezzare un buon vino, assaporarlo a piccoli sorsi è meglio che ingurgitarlo tutto d’un fiato. Tutti sappiamo questo.

La persona temperante sa pesare e dosare bene le parole. Pensa a quello che dice. Non permette che un momento di rabbia rovini relazioni e amicizie che poi solo con fatica potranno essere ricostruite. Specialmente nella vita famigliare, dove le inibizioni si abbassano, tutti corriamo il rischio di non tenere a freno tensioni, irritazioni, arrabbiature. C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere, ma entrambi richiedono la giusta misura. E questo vale per tante cose, ad esempio lo stare con gli altri e lo stare da soli.

Se la persona temperante sa controllare la propria irascibilità, non per questo la vedremo perennemente con il volto pacifico e sorridente. Infatti, qualche volta è necessario indignarsi, ma sempre nella giusta maniera. Queste sono le parole: la giusta misura, la giusta maniera. Una parola di rimprovero a volte è più salutare rispetto a un silenzio acido e rancoroso. Il temperante sa che nulla è più scomodo del correggere un altro, ma sa anche che è necessario: altrimenti si offrirebbe libero campo al male. In certi casi, il temperante riesce a tenere insieme gli estremi: afferma i principi assoluti, rivendica i valori non negoziabili, ma sa anche comprendere le persone e dimostra empatia per esse. Dimostra empatia.

Il dono del temperante è dunque l’equilibrio, qualità tanto preziosa quanto rara. Tutto, infatti, nel nostro mondo spinge all’eccesso. Invece la temperanza si sposa bene con atteggiamenti evangelici quali la piccolezza, la discrezione, il nascondimento, la mitezza. Chi è temperante apprezza la stima degli altri, ma non ne fa l’unico criterio di ogni azione e di ogni parola. È sensibile, sa piangere e non se ne vergogna, ma non si piange addosso. Sconfitto, si rialza; vincitore, è capace di tornare alla vita nascosta di sempre. Non cerca gli applausi, ma sa di avere bisogno degli altri.

Fratelli e sorelle, non è vero che la temperanza rende grigi e privi di gioie. Anzi, fa gustare meglio i beni della vita: lo stare insieme a tavola, la tenerezza di certe amicizie, la confidenza con le persone sagge, lo stupore per le bellezze del creato. La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita. Preghiamo il Signore perché ci dia questo dono: il dono della maturità, della maturità dell’età, della maturità affettiva, della maturità sociale. Il dono della temperanza.

Papa Francesco