Cronaca Bianca


PASSAGGIO a VENTIMIGLIA

Oggetto: Emergenza freddo

http://www.ilsecoloxix.it/p/multimedia/imperia/2018/02/26/ACBepzbB-ventimiglia_migranti_bivacco.shtml


Carissime e carissimi,

i nostri Amici di Ventimiglia chiedono il nostro contributo per continuare ad assistere chi ha fame e freddo.

Hanno stilato un elenco di cose di prima necessità col nome di: Lista della spesa.

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Lista della spesa per emergenza freddo a Ventimiglia, per i migranti:
Legna da ardere: 18 €/quintale; stimiamo 10 quintali per coprire una settimana. Totale 200
Guanti: 3
€/paio; stimati 100 paia necessari per una settimana. Totale 300
Berretti: 4€/l'uno, necessari 50 pezzi
; spesa stimata 200 €.
Servono anche: scarpe, giacche
termiche di cui non siamo in grado di stimarne l’importo.

Le offerte si possono inviare a Città Fraterna che se ne fa carico di inoltrarle ai nostri di Ventimiglia.

 

Coordinate Bancarie:

Beneficiario: ASSOCIAZIONE  CITTA’ FRATERNA – ONLUS - sede Genova
IBAN
: IT 77Y061750142300000 2358880

CAUSALE: Erogazione liberale per Ventimiglia.

Il bonifico dà diritto alla detrazione fiscale.


Grazie
Anna Maria Gallo

 

 

«Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio» (Lv 19,34). Inizia così il messaggio di papa Francesco per la giornata mondiale del migrante e del rifugiato che si celebra domenica 14 gennaio. Il messaggio si sviluppa poi attorno a quattro parole “Accogliere, proteggere, promuovere e integrare i migranti e i rifugiati”.

 

Recentemente siamo stati a Ventimiglia nel cul de sac per dirla in francese, o se preferiamo il filtro, l’imbuto dentro il quale centinaia di persone giunte qui, per sfuggire alle guerre e alle carestie cercano quotidianamente di passare la frontiera per poter raggiungere l’Europa del nord. E abbiamo visitato l’accampamento degli “invisibili”, coloro cioè che sognano di passare il confine il prima possibile. Per questo non vogliono essere schedati, e per questo non bussano al centro di accoglienza della Croce Rossa, ma vivono in una baraccopoli sotto il viadotto che porta in Val Roya.

 

Stringe il cuore e un groppo in gola soffoca qualsiasi pensiero. Ma loro sono sereni. In gruppetti giocano a palla, altri attorno ad un fuoco parlottano. Ci salutano e si raccontano. C’è invece chi sbircia da sotto i tendoni per vedere cosa sta succedendo. Chi ancora su un tappeto raccolto forse nel cassonetto della spazzatura prega Allah. E chi ancora ci spiega che è al decimo tentativo di attraversamento della frontiera. Sempre ripreso e sempre riportato in Italia. Qui è vietato pensare, si può solo constatare il livello dell’umanità. Si può solo osservare in silenzio, con le lacrime agli occhi, la fine dell’Europa dei popoli e l’inizio dell’Europa degli egoismi.

 

«Ma la felicità è tutt’altra cosa, è quella che ciascuno di noi tiene nel suo cuore e dona a chi gli sta accanto», dice un ragazzo nigeriano. Ed è davvero così. Qui incontriamo Hassan, un tuareg giunto dal deserto del Mali per sfuggire ai guerrieri dell’Isis. Ha vent’anni e fa il pizzaiolo a San Remo. I suoi fratelli più piccoli, due maschi e una femmina, vivono con i genitori che allevano bestiame nel deserto del Sahara. Appena potrà tornerà con loro. «Là – mi dice – è molto bello. Siamo felici, viviamo nelle grandi tende e ci spostiamo dove c’è acqua e erba. La vita è una meraviglia, prego Allah che mi aiuti ogni giorno».

 

Ci spostiamo nel bar vicino alla stazione per un caffè. La proprietaria da giovane è immigrata dal sud Italia nell’Emilia con i genitori, poi si sono trasferiti in Australia per tanti anni, e poi Ventimiglia. Sa cosa significa essere o, come nel suo caso, sentirsi stranieri. E così il suo bar, da quando Ventimiglia è stata presa d’assalto, è diventato punto di accoglienza. «Due estati fa – racconta – c’era una lunga fila di persone dall’altro lato della strada, si riparavano dal caldo all’ombra. C’erano donne incinte e bimbi piccoli. Li ho invitati nel locale per bere e ripararsi. Da allora il locale è diventato un punto amico per queste persone». Ci si può stare anche senza consumare. Addirittura nella saletta dove si giocava a carte c’è ora un armadio con album e colori. I bimbi vanno a disegnare e un’amica insegna la lingua italiana a chi lo desidera. Ma ci si può anche cercare lavoro, casa. E soprattutto calore umano. Naturalmente in questo bar i cittadini di Ventimiglia non ci mettono più piede.

 

Ormai s’è fatto buio e dai paesetti della valle Roya scendono le auto dei francesi, come pure da Nizza e Montpellier, portano la cena. Il riso, le uova, le bevande calde, il formaggio. La frutta. Ogni giorno è così: pranzo alla mensa Caritas gestita da tanti volontari che portano vivande. La sera da oltralpe i francesi portano la cena. Abbracci, auguri. Panettoni. Qualcosa da mangiare, felicità da donare nella maniera più genuina e sogni da coltivare. Quella di poter un giorno essere considerati persone a tutti gli effetti. Non uomini schedati, senza patria e senza diritti.

Silvano Gianti

 

 

Sul lungomare di Corso Italia gli omoni africani ritirano in fretta, ma con cura, pezzo dopo pezzo la loro mercanzia. Incartano una ad una le borse da signora, le collane. I foulard dai colori vivaci. Tra poco farà buio e in passeggiata sarà impossibile vendere. Sono quasi le 17, la tramontana gela anche i pensieri più nobili delle persone e sbatte sugli scogli le onde schiumose del mare serale, mentre il sole laggiù s’è già tuffato da un bel po’ nell’acqua, e le persone affrettano il passo verso casa.

 

Livio invece da una settimana non c’è più, era arrivato a fine estate, ora è tornato, almeno per alcuni giorni a Milano. «La mia bimba più piccola ha cinque anni e mi aspetta per queste feste. Pensa che io lavori», mi disse salutandomi prima di partire. Lui vive di elemosina, dipinge quadri, dorme in auto e mangia alla mensa. Ha raccolto un po’ di soldi e con questi busserà alla casa dove abita la moglie e i suoi tre figli. E’ separato, ma spera che almeno un paio di giorni possa risentire il caldo di quella che per tanti anni fu la sua famiglia.

 

Freedom: non ha ancora trent’anni, fisico asciutto da sportivo, comportamento distinto elegante, si muove di fretta tra le tante persone che scendono e risalgono il carruggio che porta sulla spiaggetta affollata di Boccadasse. Laggiù c’è la gelateria e poi due bar che servono aperitivi a fiumi. E alcuni ristoranti. Il passaggio è obbligato, c’è solo quel carruggio. Le luci di Natale, le musiche, l’atmosfera, è tutto per questa festa ormai alle porte. Tra questo via vai impetuoso di umanità Freedom “lavora”. Ramazza e paletta pulisce con cura certosina il carruggio. Carta delle caramelle, tovaglioli degli aperitivi che il vento fa svolazzare e poi filtri delle sigarette, buste delle patatine. Raccoglie tutto con cura e butta nel sacco della monnezza. E’ arrivato a Genova quest’estate su uno dei tanti barconi che attraversano il Mediterraneo dalla Nigeria. Lui ha rischiato l’avventura, i suoi fratelli e i genitori sono rimasti laggiù. Vive in un centro di accoglienza, ha la mattinata libera, il pomeriggio invece frequenta la scuola di italiano. Ma Freedom ormai in questi pochi mesi si è conquistato Boccadasse. Lo osservo, arriva con il bus delle 8,30, va in chiesa a dire le preghiere: «io sono cristiano come la mia famiglia». Poi in sacrestia ritira la scopa e la paletta e si mette a lavorare. Da ultimo lava i gradini d’ingresso della chiesa di S. Antonio. «Vengo volentieri, qui siete miei amici. Mi volete bene e anche io voglio bene a voi». Freedom è talmente simpatico che non si può non volergli bene. «Appena ti vede ti accoglie con un grande sorriso – dice il proprietario di un locale – ti domanda come stai. Ti mette serenità anche se magari ti sei svegliato con la luna storta». Sulla spiaggetta tra i titolari dei locali c’è chi gli offre il caffe, chi il panino, chi la brioches. E chi la mancia perché pulisce per davvero. Da quest’estate Freedom «è uno di noi, è di questo borgo!» non è mancato nemmeno un giorno e ora la sua presenza da un sapore diverso anche a questo Natale. «Almeno qui in questo scampolo di città ha portato la gioia fresca del suo volto e “provocato” una goccia di solidarietà, in tante persone».

 

Livio, Freedom, gli amici africani, appartengono ormai a questo borgo di mare, appartengono alla chiesa. Con la loro fiducia ci mostrano in modo sobrio, e spesso gioioso, quanto sia decisivo vivere dell’essenziale e abbandonarci alla provvidenza del Padre. I poveri, dice il papa, “non sono un problema: sono una risorsa a cui attingere per accogliere e vivere l’essenza del Vangelo”. E ci ricordano in questo Natale che anche le cose più piccole hanno sempre un valore immenso.

 

Silvano Gianti

 

 

QUALE COLORE AVRA’ LA CULTURA DOMANI?    Domanda molto introspettiva se si fa un istantaneo bilancio del valore che si da oggi alla cultura…ma è proprio il tema che definisce la mission di Città Nuova – gruppo editoriale – per questo nuovo anno: con un’attenzione all’inclusione e molto rispetto per tutte le diversità.

 

Ho approfondito questa ardua, ma attualissima tematica attraverso la declinazione di tre slogan:

“Leggi ciò che vivi”: informarci sugli accadimenti internazionali e formarci al Carisma dell’Unità di Chiara Lubich che fa della globalizzazione una sintesi illuminata;

 

“Trasmetti ciò che pensi”: un invito a donare questa “luce”, Schopenhauer dice “Solo la luce che uno accende a sé stesso, risplende in seguito anche per gli altri”;

 

“Condividi ciò che sei”: comunicare il patrimonio esperienziale e i frutti del Carisma dell’Unità vissuto non è un dovere, neanche una questione di volontà, è una possibilità!

 

Allora coraggio, possiamo contribuire alla disseminazione di buone pratiche culturali, che formano, suscitano imitabilità, danno speranza!

 

Titti Grisolia

Per eventuali informazioni potete contattarci:

Titti  (Matilde) Grisolia 3474238292 (Genova)

Francesco Zelaschi 3476443580 (Voghera)

Vittoria Rossi 3388392768 (Genova)

Paola Amoretti 3386470159 (Imperia) 

Bruno Costa 3492966204 (La Spezia)

 

 

 

Micheline Mwendike, studente congolese, è impegnata in un movimento di giovani per il superamento delle differenze culturali e delle ideologie all’origine dei tanti conflitti che hanno insanguinato il suo Paese.

 

Micheline Mwendike

Micheline Mwendike

 

«Nella Repubblica Democratica del Congo – esordisce Micheline che incontriamo a Castel Gandolfo (Roma) a margine del Congresso OnCity promosso dai Focolari – le differenze sono molto evidenti. Ci sono oltre 400 fra tribù ed etnie e da una città all’altra non solo cambiano le abitudini alimentari ma anche gli idiomi che nel Paese sono più di 800. Inoltre, nella sola Goma, la mia città, ci sono più di 200 tra chiese di diverse confessioni cristiane, moschee musulmane e altre forme di culto».

 

 Quando la differenza etnica e religiosa ha cominciato ad essere un problema?
«Durante la dittatura del presidente Mobutu le sofferenze della popolazione dal punto di vista economico, culturale e anche politico erano diventate troppo grandi. E la concezione su “chi è l’altro”, con la sua lingua e la sua cultura, è stata manipolata dalle ideologie che hanno portato a ritenere la cultura dell’altro un fattore da eliminare. Così, nel 1992, è iniziata la guerra nei villaggi contro il nemico che era la tribù di fronte.  Chi oggi ha meno di 24 anni non può sapere cosa sia la pace perché ha visto solamente la guerra e i danni che provoca. Tutti infatti abbiamo perduto persone care. Ma la guerra non ha distrutto le nostre culture. Esse esistono ancora, con tutta la loro bellezza. Noi giovani che cerchiamo di vivere la spiritualità dell’unità, vogliamo ritrovare i legami che ci uniscono e che ci rendono complementari gli uni agli altri».

 

Sei impegnata in un movimento di giovani che vogliono la pace del Congo, di cosa si tratta?
«È un movimento di azione formato da giovani congolesi. Sogniamo una società in cui si rispetti la dignità delle persone e la giustizia sociale. Il nostro Paese è ricco ma i suoi abitanti sono poveri. Vogliamo contribuire attivamente alla costruzione del Congo. Siamo convinti che il cambiamento debba partire da noi congolesi senza distinzioni di tribù, religione, lingua. In questo senso lavoriamo per coscientizzare la popolazione sul suo potenziale e sui suoi doveri. Io stessa, nel coinvolgermi attivamente in azioni per contribuire al cambiamento, mi sento più forte, più protagonista. Anche grazie all’accesso alle informazioni e all’amicizia con persone di tribù diverse,  ho capito che in tutti i gruppi ci sono i buoni e i cattivi, che sono stati alcuni leader per motivi di potere a strumentalizzare l’odio».

 

Qual è il vostro contributo specifico come movimento di giovani?
«Cerchiamo di far conoscere alla gente la verità sui fatti e sulla vita del Paese. Per esempio: abbiamo denunciato un massacro sul quale il governo non ha fatto alcuna inchiesta per trovare i colpevoli, né cercato di proteggere la popolazione della zona che era stata colpita. Organizziamo discussioni su temi importanti come la pace, il ruolo della comunità internazionale, quello di noi giovani, cercando di gettare le basi su come costruire insieme il nostro futuro. Vogliamo diffondere la convinzione che le soluzioni si trovano nella collaborazione fra tutti. Per noi giovani è difficile capire il perché della spirale di violenza che per lunghi anni ha devastato il Paese. Per i giovani è più facile comprendere che l’appartenenza tribale è uno dei tanti aspetti dell’identità delle persone. Il messaggio che vogliamo far passare è che le nostre rispettive diversità non vanno viste come un motivo di divisione ma come un fattore positivo che rende l’umanità più ricca».

 



 

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Messaggio Cristiano
INCONTRO CON GLI STUDENTI IN OCCASIONE DEL GIUBILEO DEL MONDO EDUCATIVO - Aula Paolo VI, 30 ottobre 2025

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo,
La pace sia con voi!

Cari ragazzi, care ragazze, buongiorno!

Che gioia incontrarvi! Grazie a voi! Ho atteso questo momento con grande emozione: la vostra compagnia, infatti, mi fa ricordare gli anni nei quali insegnavo matematica a giovani vivaci come voi. Vi ringrazio per aver risposto così, per essere qui oggi, per condividere le riflessioni e le speranze che, attraverso di voi, consegno ai nostri amici sparsi in tutto il mondo.

Vorrei cominciare ricordando Pier Giorgio Frassati, uno studente italiano che, come sapete, è stato canonizzato durante quest’anno giubilare. Col suo animo appassionato per Dio e per il prossimo, questo giovane santo coniò due frasi che ripeteva spesso, quasi come un motto, lui diceva: “Vivere senza fede non è vivere, ma vivacchiare” e ancora: “Verso l’alto”. Sono affermazioni molto vere e incoraggianti. Anche a voi, perciò, dico: abbiate l’audacia di vivere in pienezza. Non accontentatevi delle apparenze o delle mode: un’esistenza appiattita su quel che passa non ci soddisfa mai. Invece, ognuno dica nel proprio cuore: “Sogno di più, Signore, ho voglia di più: ispirami tu!”. Questo desiderio è la vostra forza ed esprime bene l’impegno di giovani che progettano una società migliore, della quale non accettano di restare spettatori. Vi incoraggio, perciò, a tendere costantemente “verso l’alto”, accendendo il faro della speranza nelle ore buie della storia. Come sarebbe bello se un giorno la vostra generazione fosse riconosciuta come la “generazione plus”, ricordata per la marcia in più che saprete dare alla Chiesa e al mondo.

Questo, cari ragazzi, non può rimanere il sogno di una persona sola: uniamoci allora per realizzarlo, testimoniando insieme la gioia di credere in Gesù Cristo. Come possiamo riuscirci? La risposta è essenziale: attraverso l’educazione, uno degli strumenti più belli e potenti per cambiare il mondo.

L’amato Papa Francesco, cinque anni fa, ha lanciato il grande progetto del Patto Educativo Globale, e cioè un’alleanza di tutti coloro che, a vario titolo, lavorano nell’ambito dell’educazione e della cultura, per coinvolgere le giovani generazioni in una fraternità universale. Voi, infatti, non siete solo destinatari dell’educazione, ma i suoi protagonisti. Perciò oggi vi chiedo di allearvi per aprire una nuova stagione educativa, nella quale tutti — giovani e adulti — diventiamo credibili testimoni di verità e di pace. Per questo vi dico: siete chiamati a essere truth-speakers e peace-makers, persone di parola e costruttori di pace. Coinvolgete i vostri coetanei nella ricerca della verità e nella coltivazione della pace, esprimendo queste due passioni con la vostra vita, con le parole e con i gesti quotidiani.

In proposito, all’esempio di san Pier Giorgio Frassati unisco una riflessione di san John Henry Newman, un santo studioso, che presto sarà proclamato Dottore della Chiesa. Egli diceva che il sapere si moltiplica quando viene condiviso e che è nella conversazione delle menti che si accende la fiamma della verità. Così la vera pace nasce quando tante vite, come stelle, si uniscono e formano un disegno. Insieme possiamo formare costellazioni educative, che orientano il cammino futuro.

Da ex professore di matematica e fisica, permettetemi di fare con voi qualche calcolo. Avrete l’esame di matematica tra poco forse? Vediamo… Sapete quante stelle ci sono nell’universo osservabile? È un numero impressionante e meraviglioso: un sestilione di stelle – un 1 seguito da 21 zeri! Se le dividessimo tra gli 8 miliardi di abitanti della Terra, ogni uomo avrebbe per sé centinaia di miliardi di stelle. Ad occhio nudo, nelle notti limpide, possiamo scorgerne circa cinquemila. Anche se le stelle sono miliardi di miliardi, vediamo solo le costellazioni più vicine: queste però ci indicano una direzione, come quando si naviga per mare.

Da sempre i viaggiatori hanno trovato la rotta nelle stelle. I marinai seguivano la Stella Polare; i Polinesiani attraversavano l’oceano memorizzando mappe stellari. Secondo i contadini delle Ande, che ho incontrato da missionario in Perù, il cielo è un libro aperto che segna le stagioni della semina, della tosatura, dei cicli della vita. Persino i Magi hanno seguito una stella per arrivare a Betlemme ad adorare Gesù Bambino.

Come loro, anche voi avete stelle-guida: i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti, i buoni amici, bussole per non perdervi nelle vicende liete e tristi della vita. Come loro, siete chiamati a diventare a vostra volta luminosi testimoni per chi vi sta accanto. Ma, come dicevo, una stella da sola resta un punto isolato. Quando si unisce alle altre, invece, forma una costellazione, come la Croce del Sud. Così siete voi: ognuno è una stella, e insieme siete chiamati a orientare il futuro. L’educazione unisce le persone in comunità vive e organizza le idee in costellazioni di senso. Come scrive il profeta Daniele, «quelli che avranno insegnato a molti la giustizia risplenderanno come le stelle in eterno» (Dn 12,3): che meraviglia: siamo stelle, sì, perché siamo scintille di Dio. Educare significa coltivare questo dono.

L’educazione, infatti, ci insegna a guardare in alto, sempre più in alto. Quando Galileo Galilei puntò il cannocchiale al cielo, scoprì mondi nuovi: le lune di Giove, le montagne della Luna. Così è l’educazione: un cannocchiale che vi permette di guardare oltre, di scoprire ciò che da soli non vedreste. Non fermatevi, allora, a guardare lo smartphone e i suoi velocissimi frammenti d’immagini: guardate al Cielo, guardate verso l’alto.

Cari giovani, voi stessi avete suggerito la prima delle nuove sfide che ci impegnano nel nostro Patto Educativo Globale, esprimendo un desiderio forte e chiaro; avete detto: “Aiutateci nell’educazione alla vita interiore.” Sono rimasto veramente colpito da questa richiesta. Non basta avere grande scienza, se poi non sappiamo chi siamo e qual è il senso della vita. Senza silenzio, senza ascolto, senza preghiera, perfino le stelle si spengono. Possiamo conoscere molto del mondo e ignorare il nostro cuore: anche a voi sarà capitato di percepire quella sensazione di vuoto, di inquietudine che non lascia in pace. Nei casi più gravi, assistiamo a episodi di disagio, violenza, bullismo, sopraffazione, persino a giovani che si isolano e non vogliono più rapportarsi con gli altri. Penso che dietro a queste sofferenze ci sia anche il vuoto scavato da una società incapace di educare la dimensione spirituale, non solo tecnica, sociale e morale della persona umana.

Da giovane, sant’Agostino era un ragazzo brillante, ma profondamente insoddisfatto, come leggiamo nella sua autobiografia, Le Confessioni. Egli cercava dappertutto, tra carriera e piaceri, e ne combinava di tutti i colori, senza però trovare né verità né pace. Finché non ha scoperto Dio nel proprio cuore, scrivendo una frase densissima, che vale per tutti noi: «Il mio cuore è inquieto finché non riposa in Te». Ecco allora che cosa significa educare alla vita interiore: ascoltare la nostra inquietudine, non fuggirla né ingozzarla con ciò che non sazia. Il nostro desiderio d’infinito è la bussola che ci dice: “Non accontentarti, sei fatto per qualcosa di più grande”, “non vivacchiare, ma vivi”.

La seconda delle nuove sfide educative è un impegno che ci tocca ogni giorno e del quale voi siete maestri: l’educazione al digitale. Ci vivete dentro, e non è un male: ci sono opportunità enormi di studio e comunicazione. Non lasciate però che sia l’algoritmo a scrivere la vostra storia! Siate voi gli autori: usate con saggezza la tecnologia, ma non lasciate che la tecnologia usi voi.

Anche l’intelligenza artificiale è una grande novità – una delle rerum novarum, cioè delle cose nuove – del nostro tempo: non basta tuttavia essere “intelligenti” nella realtà virtuale, ma bisogna essere umani con gli altri, coltivando un’intelligenza emotiva, spirituale, sociale, ecologica. Perciò vi dico: educatevi ad umanizzare il digitale, costruendolo come uno spazio di fraternità e di creatività, non una gabbia dove rinchiudervi, non una dipendenza o una fuga. Anziché turisti della rete, siate profeti nel mondo digitale!

A questo riguardo, abbiamo davanti un attualissimo esempio di santità: San Carlo Acutis. Un ragazzo che non si è fatto schiavo della rete, usandola invece con abilità per il bene. San Carlo unì la sua bella fede alla passione per l’informatica, creando un sito sui miracoli eucaristici, e facendo così di Internet uno strumento per evangelizzare. La sua iniziativa ci insegna che il digitale è educativo quando non ci rinchiude in noi stessi, ma ci apre agli altri: quando non ti mette al centro, ma ti concentra su Dio e sugli altri.

Carissimi, arriviamo infine alla terza nuova grande sfida che oggi vi affido e che sta al cuore del nuovo Patto Educativo Globale: la educazione alla pace. Vedete bene quanto il nostro futuro venga minacciato dalla guerra e dall’odio che dividono i popoli. Questo futuro può essere cambiato? Certamente! Come? Con un’educazione alla pace disarmata e disarmante. Non basta, infatti, far tacere le armi: occorre disarmare i cuori, rinunciando a ogni violenza e volgarità. In tal modo, un’educazione disarmante e disarmata crea uguaglianza e crescita per tutti, riconoscendo l’uguale dignità di ogni ragazzo e ragazza, senza mai dividere i giovani tra pochi privilegiati che hanno accesso a scuole costosissime e tanti che non accesso all’educazione. Con grande fiducia in voi, vi invito a essere operatori di pace anzitutto lì dove vivete, in famiglia, a scuola, nello sport e tra gli amici, andando incontro a chi proviene da un’altra cultura.

Per concludere, carissimi, il vostro sguardo non sia rivolto alle stelle cadenti, cui si affidano desideri fragili. Guardate ancora più verso l’alto, verso Gesù Cristo, «il sole di giustizia» (cfr Lc 1,78), che vi guiderà sempre nei sentieri della vita.

LEONE XIV