Africa di ieri e di oggi


Prendersi cura del mondo

Cantieri aperti e cantieri che chiudono

Fine maggio

Eccoci alla fine di maggio (di già?!?!).

Mercoledì ho festeggiato il compleanno, e anche l’anniversario di ordinazione. 58 anni, di cui la metà passata in questa bella parte del mondo, che è il Centrafrica.
In questi giorni siamo molto presi con la prevenzione e la preparazione per cercare di contrastare l’epidemia di Coronavirus, che ha già contagiato 755 persone, qui in Centrafrica.
Grazie a Dio, la generosità di tante persone e di tanti paesi è molto grande. Tra Conferenza Episcopale Italiana e Caritas Italiana, CRS (Caritas degli Stati Uniti), e paesi vari (Inghilterra, Olanda, Germania, Irlanda), organismi e fondazioni, stiamo lavorando molto per sensibilizzare le città e piccoli villaggi, e per comperare materiale di protezione per il personale, sistemi per lavare le mani, e materiale per la cura degli ammalati.
Questa mattina, 28 maggio, sono partito alle 4 da Baoro, proprio per organizzare gli acquisti e la preparazione di questi progetti.
Arrivando a Bangui, dopo 400 km di strada, siamo stati fermati ad una barriera: e qui ci hanno misurato la temperatura, e fatto il tampone per il depistaggio del coronavirus. Il tutto fatto in modo molto serio e professionale.
 

25 anni (e un po’ di più)

Giovedì 20 maggio, qui in Centrafrica, si è celebrata la festa dell’Ascensione. E nel pieno di una pioggia fortissima, ho celebrato la Messa, questa mattina, con meno di una decina di persone. Ma siamo ormai in stagione delle piogge, e il temporale ha scoraggiato un po’ i cristiani.
I lavori di costruzione della cappella di Bokongo proseguono, e speriamo di poter mettere presto il tetto, e finire i lavori entro un mese o due.
Il coronavirus, in Centrafrica, continua ad aumentare seriamente. Da 260 casi la settimana scorsa, siamo giunti a 436 oggi.
 
Ma lunedì ho ricevuto una bella notizia. Anzi, 4! La chiesa italiana, grazie all’8 x mille, ha destinato dei fondi per l’emergenza covid19 in Africa. Abbiamo presentato 4 progetti alla Caritas Italiana, per aiutare gli ospedali di Ndim, Niem, Maigaro e Wantigera, e sono stati tutti accettati. Con questo aiuto possiamo comprare mascherine, tute, guanti per la protezione, ma anche attrezzature per le analisi e per le cure.
 
E ieri, mercoledì 19 maggio, p.Norberto Pozzi celebrava 25 anni di sacerdozio. Abbiamo potuto, nonostante tutto, fargli un po’ di festa. Sono venuti alcuni confratelli dalle altre comunità, facendo molta attenzione e con molte precauzioni. Alle 10.30 abbiamo celebrato la Messa, presieduta dal Mgr.Mirek Gucwa, il vescovo di Bouar: una bella occasione per ringraziare Dio per il dono del sacerdozio, ma anche per ringraziare p.Norberto per la sua fedeltà e il suo lavoro.
 
P.Norberto, di Lecco, è venuto in Centrafrica come volontario, nel 1980. Geometra, costruttore, ma anche meccanico e gran lavoratore, ha poi preso la strada del Carmelo, e nel 1995 è diventato sacerdote, lavorando soprattutto nei villaggi intorno a Bozoum.
 

 

La vita prosegue, a ritmi un po’ diversi, a causa del Coronavirus. In Centrafrica i casi sono saliti a oltre 250 (da 119 una settimana fa). La paura si fa un po’ più palpabile (anche se le attività gli spostamenti, le feste e riunioni si avvicendano, sfidando spesso le regole di distanze e di igiene).

In questi giorni, come Caritas, siamo riusciti a comprare dei termometri ad infrarossi, che abbiamo messo a disposizione di alcuni ospedali e dispensari. E domani lanciamo un ordine di 6.000 maschere, che saranno fabbricate localmente, e daranno sicurezza e lavoro.

In parrocchia, pur non potendo fare le celebrazioni dei Battesimi e sacramenti, continuiamo con gli esami di catechismo.

La grande notizia è la partenza delle ditte cinesi da Bozoum!

Da alcuni giorni si sussegue il passaggio di camion carichi di ruspe e scavatrici, che lasciano Bozoum soprattutto in direzione sud (probabilmente verso Yaloke e Bambari).

Lasciano, purtroppo, un disastro! Anzi: parecchi disastri:

·         L’inquinamento del fiume, e delle falde della zona con il mercurio (che rimarrà per decenni nell’acqua, nella terra, nella vegetazione, e in tutta la catena alimentare)

·         Un fiume disastrato, con mucchi di ghiaia e terra, e pozze d’acqua profonde: la settimana scorsa 7 persone vi sono annegate!

·         Una scia di malattie e malformazioni: ci sono già casi di neonati con spina bifida e macrocefalia.

·         Un corteo di violenze e soprusi, con feriti, morti e un disprezzo per ogni giustizia.

·         Un paese più povero: mentre le ditte hanno speso, in un anno, oltre 7 milioni di euro (più di 4.700.000.000 f cfa), hanno dichiarato di estrarre oro per poco più di 4.680.000 euro (3.065.000.000 di f CFA)! È strano che delle ditte vengano a lavorare in perdita! E, secondo i bilanci ufficiali dello Stato, non c’è stato nessun aumento delle entrate!

·         Una regione più povera: per colpa di autorità molto corrotte, le comunità locali non hanno avuto nessun beneficio (a parte il mercurio, l’acqua inquinata, malformazioni, violenze e ingiustizie). Le ditte cinesi avevano promesso 36 mila euro (24 milioni di f cfa) per costruire scuole e dispensari. Li hanno dati, ma solo una parte è stata usata (e non per fare le scuole, ma una tribuna per le autorità per la festa nazionale del 1° dicembre). La scuola non è mai stata costruita. Dei 2 dispensari ne è stato costruito poco meno di mezzo (e mai terminato). La ditta che ha costruito la tribuna ha ricevuto 9,5 milioni di f cfa (e 2,5 milioni sono evaporati), mentre per i due dispensari (non costruiti) sono stati spesi meno di  2 milioni cfa.
Morale della favola: alcune autorità locali hanno intascato più di 12 milioni di f cfa (circa 18.000 euro), che erano destinati a risarcire almeno in parte la popolazione locale!

 

 

Coraggio!

Il tempo passa. Ormai le scuole sono chiuse da oltre un mese, e la situazione, lentamente, tende verso il peggioramento. Ad oggi i casi di coronavirus in Centrafrica sono 119. Il governo, o almeno, una parte, sta facendo seri sforzi, aiutato dalla comunità internazionale, per verificare e seguire le persone positive e identificare quelle che potrebbero esserlo.

Gli spostamenti tra la frontiera con il Camerun e la capitale, Bangui, sono un po’ diminuiti, ma ci sono pochissimi controlli. Questa mattina, giovedì 7 maggio, sono partito da Baoro alle 5, e lungo i 400 km di strada non sono mai stato controllato nella dozzina abbondante di posti di blocco sparsi lungo la strada.
Le scuole rimangono chiuse, ma con le trasmissioni alla radio cerchiamo di continuare, almeno in parte le lezioni.
 
 La situazione è già difficile a Bangui, dove era stato allestito un reparto per il covid-19 per 13 persone. In tutta fretta se ne sta preparando un altro. Ma nel resto del paese non c’è ancora niente.
Ieri, mercoledì, sono andato a Bouar, dove abbiamo fatto una riunione con il Vescovo, Sr Marie Thérèse (responsabile della Farmacia diocesana) ed i dottori Ione Bertocchi e p.Tiziano. Aspettando le risposte alle varie domande di finanziamento che abbiamo lanciato, come Caritas stiamo preparando i nostri ospedali e centri sanitari con l’acquisto di materiale di protezione, di terapia e di medicinali.
 
È un grande cantiere… e faremo tutto il possibile.
 
 
Piano piano (yeke yeke, di dice in Sango) il coronavirus, arrivato in Centrafrica in marzo, sta crescendo.
All’inizio pochi casi, legati piuttosto a persone arrivate dall’Europa. Poi, purtroppo, sono apparsi i primi malati “locali”: persone che si sono infettate qui nel paese. Anche perché, nel frattempo, l’aeroporto di Bangui è stato chiuso. Purtroppo non sono state chiuse le frontiere con il Camerun. O meglio, sono state chiuse, ma le decisioni non sono state rispettate. E il continuo viaggiare di persone tra i due paesi (il Camerun ha ormai quasi 2.000 persone positive) ha scatenato l’inevitabile. Oggi sono stati identificati i primi casi fuori da Bangui, a Bouar, a 110 k da Bozoum!
Ad oggi i casi sono 64. Pochi, rispetto ai numeri dell’Europa. Ma tanti per un paese con una struttura sanitaria fragilissima.
 
 
In settimana sono stato a Bouar, mercoledì. In mattinata sono passato nel nostro seminario della Yolé. Qui le suore indiane seguono un dispensario, ed abbiamo visto insieme cosa fare per curare gli ammalati, senza far correre rischi a loro e al personale.
A Bouar ho anche incontrato i responsabili della Commissione Sanitaria della diocesi, con i quali abbiamo preparato un programma di sostegno di materiale e medicinali, che proprio in questi giorni abbiamo inviato alla Caritas Italiana. La CEI ha stanziato degli aiuti per l’emergenza Covid-19 in Africa, e speriamo di poter aiutare molta gente nei nostri ospedali.
 
 
Qui a Bozoum, per ora, è tutto tranquillo. Forse troppo.
La questione del virus non è presa molto sul serio, e mercati, commerci e spostamenti continuano senza troppi problemi. Per ora.
In questi giorni le ditte cinesi stanno spostando parte dei macchinari per l’estrazione dell’oro verso altri siti. In teoria avrebbero l’obbligo di ripristinare il letto del fiume com’era prima del loro arrivo. In realtà, dopo aver distrutto il fiume, lasciano praticamente tutto all’aria, con montagne di ghiaia e buche piene d’acqua. Purtroppo in questi ultimi 10 giorni, sette persone sono morte annegate!

 

È una delle prime volte, da quando sono in Centrafrica, che la situazione si capovolge così! In genere è il resto del mondo che si preoccupa per noi. In queste settimane, invece, siamo noi che ci preoccupiamo per il resto del mondo. La crisi del coronavirus sta sconvolgendo paesi e continenti, uccidendo persone, e colpendo pesantemente tantissima gente.

Mentre pensiamo alle nostre famiglie, ai nostri amici in tutto il mondo, ci rendiamo conto di quanto siamo fragili, ma anche di come siamo legati nell’avventura della vita, genti e paesi di ogni angolo di questo pianeta.
 
In Centrafrica, per ora, sembra che ci siano tre casi.
Ma la preoccupazione è grande: se il virus arriva qui, sarà una cosa gravissima! C’è un solo laboratorio dove effettuare le analisi, ed è a Bangui, la capitale. Non ci sono praticamente strutture di rianimazione, e nessuna possibilità di assistenza respiratoria. Le misure di contenimento sono molto difficili, in un paese dove non si vive in casa, ma piuttosto fuori…
 
In questi giorni non manca la preghiera, la simpatia e la convinzione di vivere un momento molto difficile. Questa mattina la Radio di Bozoum, “la Voix de Koyale” ha trasmesso l’inno italiano, in segno di solidarietà e simpatia. Qui un piccolo video:
 
La settimana scorsa abbiamo vissuto un momento di formazione, con gli altri sacerdoti della diocesi.
Lunedì sono sceso a Bangui per accompagnare Alban, un giovane belga che è stato con noi 2 mesi. Arrivati a Bangui, ci dicono che il volo AirFrance, previsto in pomeriggio, è annullato! Riusciamo a trovare un posto l’indomani, martedì: partenza verso Douala, in Camerun, e la speranza di partire per Parigi o Bruxelles la sera. Martedì mattina, alle 5, sembra che il volo per Bruxelles sia stato annullato. Ma poi riappare nella programmazione, e Alban parte. A Douala, dove deve passare tutta la giornata, riesco a trovare un amico che lo accoglie, e la sera lo riporta in aeroporto.
 
Finalmente, con un paio di ore di ritardo, riesce a partire verso l’Europa.
E nel frattempo io rientro a Bozoum, passando da Baoro e Bouar. Sono quasi 600 km, e alla fine trovo anche due mucche che hanno deciso di sedersi su un ponte, e non c’è verso di farle alzare e spostarsi finchè non si decidono loro, dopo una ventina di minuti.
E vado avanti piano piano, fino a casa. Come tutti.
 
Coraggio!
Anche se turbata dal coronavirus, la vita va comunque avanti!
Domenica 15 marzo celebriamo il matrimonio di Jean Louis e Natasha, consapevoli che il virus, presto, verrà a sconvolgere anche le nostre vite. Preghiamo per tutti i paesi colpiti, per i malati, i morti e le loro famiglie, e per tutti quelli che curano, servono, soffrono e amano in questo tempo difficile.  E alla fine delle Messe che celebro, prendo tempo per spiegare cosa sta succedendo nel mondo, cos’è il virus, e cosa si può fare e cosa è bene evitare.
 
Martedì prepariamo dei bidoni, con dei rubinetti, e li posizioniamo nelle nostre scuole, perché i bambini e gli insegnanti si possano lavare le mani, prima di iniziare le lezioni, e durante la giornata. Per i bambini è un po’ un gioco, ma è molto utile iniziare da questa regola elementare di igiene.
 
Proprio in queste ore aspettiamo le decisioni del governo (che prevedono la chiusura di scuole e di riunioni e di celebrazioni).
Per ora i casi ufficiali sono solo 5, e piuttosto limitati alla capitale, Bangui. Vedremo se e, soprattutto come, evolverà la situazione.
 
Mercoledì’ e giovedì vado a Bouar, proprio per vedere cosa fare. Come Caritas, siamo molto preoccupati per quello che potrebbe succedere. In particolare per le persone più povere e deboli.
Ci stiamo preparando, pensando soprattutto agli ultimi. La settimana prossima passeremo in tutte le 12 parrocchie della diocesi (distanti, in media, tra i 70 e i 100 km) per aiutare i parroci e i vari movimenti e volontari a prepararsi al peggio.
Stiamo preparando guanti, ma anche cibo, per poter stare vicino a chi rischia di essere abbandonato (anziani, poveri, persone con handicap).
 
E ci saranno anche le mascherine. Dato che è molto difficile trovarle, le stiamo facendo con la stoffa locale. Qui le spiegazioni:

 


 

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Messaggio Cristiano
SANTA MESSA NEL IX GIORNO DEI NOVENDIALI - Basilica di San Pietro Domenica, 4 maggio 2025

OMELIA del CARDINALE DOMINIQUE MAMBERTI

Venerati Padri Cardinali,
cari fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle,

La Liturgia della Paola di questa ultima novendiale in suffragio di Papa Francesco è quella del giorno, la terza domenica di Pasqua e la pagina del Vangelo di Giovanni appena proclamata ci presenta l’incontro di Gesù risuscitato con alcuni Apostoli e discepoli presso il mare di Tiberiade, che si conclude con la Missione affidata a Pietro dal Signore e il commando di Gesù, “seguimi !”

L’episodio rammenta quello della prima pesca miracolosa, narrato da Luca, quando Gesù aveva chiamato Simone, Giacomo e Giovanni, annunciando a Simone che sarebbe diventato pescatore di uomini. Da quel momento, Pietro l’aveva seguito, a volte nell’incomprensione e perfino nel tradimento, ma nell’incontro di oggi, ultimo prima del ritorno di Cristo presso il Padre, Pietro riceve da lui il compito di pascere il suo gregge.

L’amore è la parola chiave di questa pagina evangelica. Il primo a riconoscere Gesù è “il discepolo che Gesù amava”, Giovanni, che esclama “è il Signore!”, e Pietro subito si getta in mare per raggiungere il Maestro. Dopo che avessero condiviso il cibo, ciò che avrà acceso nel cuore degli Apostoli il ricordo dell’ultima cena, inizia il dialogo tra Gesù e Pietro, la triplice domanda del Signore e la triplice risposta di Pietro.

Le due prime volte, Gesù adopera il verbo amare, parola forte, mentre Pietro, memore del tradimento risponde con l’espressione “voler bene”, meno impegnativa e la terza volta Gesù stesso usa l’espressione voler bene, adeguandosi alla debolezza dell’Apostolo. Notava Papa Benedetto XVI commentando questo dialogo. “Simone comprende che a Gesù basta il suo povero amore, l’unico di cui è capace. (…) È proprio questo adeguamento divino a dare speranza al discepolo, che ha conosciuto la sofferenza dell’infedeltà. (…) Da quel giorno Pietro ha “seguito” il Maestro con la precisa consapevolezza della propria fragilità; ma questa consapevolezza non l’ha scoraggiato. Egli sapeva infatti di poter contare sulla presenza accanto a sé del Risorto (…) e mostra così anche a noi la via”. [1]

Nell’omelia della Messa per il XXV anniversario del suo Pontificato, San Giovanni Paolo II confidava: “Oggi, cari fratelli e sorelle, mi è gradito condividere con voi un’esperienza che si prolunga ormai da un quarto di secolo. Ogni giorno si svolge all’interno del mio cuore lo stesso dialogo tra Gesù e Pietro. Nello spirito, fisso lo sguardo benevolo di Cristo risorto. Egli, pur consapevole della mia umana fragilità, mi incoraggia a rispondere con fiducia come Pietro: "Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo" ( Gv 21,17). E poi mi invita ad assumere le responsabilità che Lui stesso mi ha affidato.” [2]

Questa Missione è l’amore stesso, che si fa servizio alla Chiesa e a tutta l’umanità. Pietro e gli Apostoli l’hanno assunta subito, con la forza dello Spirito che avevano ricevuto alla Pentecoste, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura: “Bisogna ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini. Il Dio dei nostri Padri ha risuscitato Gesù che voi avete ucciso appendendolo ad una croce. Dio lo ha innalzato alla sua destra, come capo e Salvatore”.

Abbiamo tutti ammirato quanto Papa Francesco, animato dall’amore del Signore e portato dalla Sua grazia, sia stato fedele alla sua Missione fino all’estremo consumo delle sue forze. Ha ammonito i potenti che bisogna ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini e ha proclamato all’umanità intera la gioia del Vangelo, il Padre Misericordioso, Cristo Salvatore. L’ha fatto nel suo Magistero, nei suoi viaggi, nei suoi gesti, nel suo stile di vita. Ero vicino a lui il giorno di Pasqua, alla loggia delle benedizioni di questa Basilica, testimone della sua sofferenza, ma soprattutto del suo coraggio e della sua determinazione di servire il Popolo di Dio fino alla fine.

Nella seconda Lettura, tratta dal Libro dell’Apocalisse, abbiamo ascoltato la lode che tutto l’universo rivolge a Colui che siede sul trono e all’Agnello: “lode, onore, gloria e potenza,nei secoli dei secoli”. E i quattro esseri viventi dicevano: «Amen». E gli anziani si prostrarono in adorazione”.

L’adorazione è una dimensione essenziale della missione della Chiesa e della vita dei fedeli. Papa Francesco lo ricordava spesso, come per esempio nell’ omelia per la festa dell’Epifania dell’anno scorso: “I Magi hanno il cuore prostrato in adorazione. (…) Essi arrivarono a Betlemme e, quando videro il Bambino, ‘si prostrarono e lo adorarono’ ( Mt 2,11). (…) Un re che è venuto a servirci, un Dio che si è fatto uomo. Dinanzi a questo mistero, siamo chiamati a piegare il cuore e le ginocchia per adorare: adorare il Dio che viene nella piccolezza, che abita la normalità delle nostre case, che muore per amore. (…) Fratelli e sorelle, abbiamo perso l’abitudine di adorare, abbiamo perso questa capacità che ci dà l’adorazione. Riscopriamo il gusto della preghiera di adorazione. (…). Manca l’adorazione oggi tra noi.” [3]

Questa capacità che dà l’adorazione non era difficile da riconoscere in Papa Francesco. La sua intensa vita pastorale, i suoi innumerevoli incontri, erano fondati sui lunghi momenti di preghiera che la disciplina ignaziana aveva improntato in lui. Tante volte ci ha ricordato che la contemplazione è “un dinamismo d’amore” che ”ci eleva a Dio non per staccarci dalla terra, ma per farcela abitare in profondità.” [4] E tutto quanto egli faceva, lo faceva sotto lo sguardo di Maria. Ci rimarranno nella memoria e nel cuore le sue centoventisei soste davanti alla Salus Populi Romani. E ora che riposa vicino all’amata Immagine, lo affidiamo con gratitudine e fiducia all’intercessione della Madre del Signore e Madre nostra.

[1] Udienza generale del 24 maggio 2006.

[2] Omelia della S. Messa del 16 ottobre 2003.

[3] Omelia della S. Messa del 6 gennaio 2024.

[4] Udienza alle Delegate delle Carmelitane Scalze, 18 aprile 2024.