Africa di ieri e di oggi


Padre Cipriano Vigo: 61 anni di missione in Centrafrica!

A 50 anni dalla fondazione di Ngaoundaye - Rep. Centrafricana

 

Sabato e domenica 6 giugno sono andato a Bocaranga per un'occasione speciale. P.Cipriano Vigo, cappuccino, festeggiava 61 anni di missione in Centrafrica! È arrivato qui nel 1960, quando il Centrafrica nasceva, con l'indipendenza appena conquistata. Ha lavorato molto, e continua ancora a lavorare!

 

Il viaggio (210 km da Baoro) è andato bene. Ma la tensione resta alta. In un punto era anche segnalata una mina… Ma la gioia di stare vicino a un confratello fa dimenticare molte cose!

 

In questo fine settimana mi sono dedicato ai villaggi più lontani. Sono partito giovedì mattina, e sono rientrato domenica pomeriggio. Mi sono dedicato soprattutto alla preparazione dei battesimi nei villaggi di Yoro, Bayanga Didi e Sinaforo. Ma c'è stato il tempo anche per riparare una pompa, visitare e consigliare qualche malato, e il tutto su strade piuttosto impercorribili…

 

Domenica mattina sono partito verso le 6.30 da Yoro per Sinaforo (una buona mezz'ora, per 7 km). Qui la chiesetta è una tettoia coperta da alcune lamiere (ricavate da bidoni di benzina). Proprio mentre sto per iniziare la Messa, è iniziata la pioggia. Per fortuna, nella cappella, pioveva poco!

 

Ma è stata una liturgia molto molto bella. Abbiamo celebrato 9 battesimi, 2 prime comunioni e un matrimonio. Nonostante la pioggia, c'era molta festa in quella capanna!

 

Sono poi ripartito verso le 13, e temevo di non riuscire ad arrivare, proprio a causa delle condizioni della strada.

 

Alle 15 sono finalmente arrivato a Baoro.

Dove il silenzio stampa continua, e continuerà ancora per qualche giorno (o qualche settimana!)

 Aurelio Gazzera

 

L’Ex riassume la storia di Ngaoundaye … seguendo i suoi ricordi  

 

Nel 1961 il superiore della missione P. Ernesto Rebagliati ed io, l’Ex, con una vettura Renault 1400 guidata da p. Giusto Burla, abbiamo lasciato Bocaranga per fare una visita al nord, verso Ngaoundaye e Mann,  vedere il paesaggio e conoscere la gente, in modo da farci un’idea generale. P. Ernesto, lasciando Kunang per discendere verso la piana del corso d’acqua LIM, passando a zig-zag attraverso i Monti Bakore, la cui cima più alta è il Monte Panà,  era sempre più affascinato dai villaggi lungo la strada, che gli ricordavano Fiambiro in Etiopia, dove i villaggi erano immersi tra le piantagioni di mais e di miglio, cosa che, al contrario, non si osservava a Bocaranga e dintorni. Perciò Ernesto perciò giudicò questa popolazione molto lavoratrice e portata ai lavori agricoli. Avendo fatto sosta a Ngaoundaye, il superiore manifestò il suo pensiero a p.Giusto che sedeva al volante, accanto a lui, mentre io stavo dietro e ascoltavo le loro parole. Una frase in particolare irritò p. Giusto: “Tu dovresti venire ad abitare qui e mettere su una nuova Missione …”. La risposta non tardò a venire: “Io non so bene il sango e non me la sento …”. Silenzio … Proseguimmo il cammino per qualche decina di km fino a Mann. Anche questo grosso centro urbano era immerso tra le piantagioni di mais e di miglio. In una sosta prolungata, dissi a p. Ernesto di aver ascoltato la proposta che aveva fatto a p. Giusto; e mi offrii di andare a Ngaoundaye  con un compagno, per organizzare una nuova Missione. P. Ernesto mi ringraziò. Con p. Cipriano iniziai i preparativi per andare a Ngaoundaye.

 

Ma il mio rientro in Italia per le vacanze era prossimo; ed ero impegnato nella realizzazione di un grande sogno: preparare una “band” formata da 4 danzatori (i catechisti sposati GANGBORO, KOANE, GASTON e WIKANGUELE) e da un ragazzo di dieci anni, SARA Giuseppe …  Trascorsi un mese occupato a radunare il necessario per le varie danze locali dei Panà … I quattro adulti sarebbero venuti con l’aereo da Bangui a Nizza, mentre io sarei partito dal porto di Douala, nel Cameroun, con un grosso camion carico di casse per le danze dei 4 danzatori/catechisti, e avrei portato con me il ragazzo.  Saremmo sbarcati a Marsiglia e quindici giorni dopo da Genova sarei andato a ricevere la “Banda” all’aeroporto di Nizza. Pensato, detto e fatto … 

 

Nei sedici giorni di viaggio in mare ebbi del tempo a mia disposizione per preparare il piano per la fondazione della nuova Missione. Perciò, terminato il periodo delle vacanze in patria, dopo qualche giorno trascorso a Bocaranga, p. Carlos RAFFO mi condusse, con il grosso camion Ford canadese, a Ngaoundaye, portando con me gli indumenti personali e le tavole, il cemento e gli utensili necessari per le costruzioni. Dopo 4-5 ore di viaggio sui monti Panà, eccoci alla meta. Scaricato tutto nella Casetta/ex-bottega CATTIN, lo stesso giorno Carlos ripartì per Bocaranga. Cipriano sarebbe arrivato qualche giorno dopo, con la Renault 1400 assegnata alla nostra missione.

 

Che fare? Subito, venuto a conoscenza che nel centro del villaggio c’era in vendita una vecchia bottega  di CATTIN, commercianti portoghesi che da poco avevano chiuso i battenti, l’abbiamo comprata per 10.000 cfa = 30.000 lire di allora (= 15 euro attuali!). Ed è stato proprio qui il nostro “inizio”. La casetta di circa 4 m. X 8 era in legno, ricoperta di lamiere zincate, e quindi era un ottimo affare! P. Ernesto decise che io mi sarei stabilito nel centro, per la formazione dei catechisti e il ministero apostolico tra i Bum del Canton di Mann /Laolinga e dintorni. P. Cipriano era incaricato di tutto il resto: del Canton di Nzakundu /LAERE, dei Panà/Pondo di Kounang, dei Karré di Kompara (SIKUM) e di parte dei villaggi verso le cascate di Lancrenon che appartenevano al Canton di DEGAULLE. Così l’avventura tra i Panà di NGAOUNDAYE è cominciata.

 

Ma per la nuova Missione avevamo bisogno di un ampio spazio, al margine del villaggio; infatti, dovevamo prenderci cura della formazione dei catechisti di tutta la futura diocesi. Occorreva un piccolo villaggio di 20/35 casette. E poi bisognava costruire la Chiesa e la casa/dimora definitiva dei missionari. I primi giorni, da solo in attesa dell’arrivo di Cipriano, ebbi la possibilità di dare un ampio colpo d’occhio, da vero “stratega”.

 

Innanzi tutto dovevo procurarmi la casa che fungeva da Municipio. Si trovava un po’ appartata;  misurava metri 3X6 metri ed era coperta in lamiere di zinco. A ovest e a sud non c’erano abitazioni, ma in gran parte semplice boscaglia. Era l’ideale! Avrei dovuto parlare con il sindaco PUN-ILE, il grande capo dei Panà! Era il secondo giorno dal mio arrivo in loco e andai a far visita al Sindaco nel suo municipio, ove si trovava con la sua guardia del corpo, Gaston SAPU, e il suo segretario JEAN. Gli dissi che, con la venuta della Missione Cattolica, il Villaggio avrebbe acquistato importanza e sarebbe divenuto un grosso centro; per questo avevo bisogno della sua autorizzazione a utilizzare un terreno ampio per varie attività, specie per il villaggio dei catechisti in formazione, che sarebbero stati scelti nei numerosi Canton di Bocaranga … per cui tutti avrebbero “invidiato” il sindaco di Ngaoundaye … Gli avanzai la proposta di costruire un nuovo Municipio in cambio di quello attuale. Proposta che subito accettò, sapendo bene che con l’Amministratore Coloniale di Bocaranga noi missionari eravamo in buoni rapporti e che ogni difficoltà per le costruzioni l’avremmo appianata facilmente …

 

E’ bastato il suo “sì” per … “mettere in azione” il sottoscritto, che immediatamente si è dato da fare per la realizzazione del nuovo municipio, situato nel centro del villaggio e leggermente più ampio. Ci vollero dieci giorni per la costruzione, che venne inaugurata con un buon bicchiere di birra locale di miglio!

 

Finalmente, arrivato Cipriano, ci siamo trasferiti dalla bottega/CATTIN al vecchio/Municipio. Eravamo a casa nostra e la Chiesa Cattolica poteva avere una sede! Le due camerette dell’ex Municipio erano piccole ma sufficienti per noi, per la nostra privacy; poco distante il water, a forma di “sedia gestatoria”…  In una cameretta era appesa al muro una “scicotte” = sorte di staffile fatto di brandelli di pelle di ippopotamo …

 

In attesa di costruire la casa definitiva, il mio compagno Cipriano visitava la sua ampia zona di “brousse”, per varie centinaia di km, verso Nzakondu, Kunang, Kompara e “piste” secondarie. Il sottoscritto invece cercava di comprare e mettere da parte tanti blocchetti di argilla seccati al sole, per costruire la chiesina di 5m.X 7, con tre finestre ovali; il tetto fu fatto in una giornata sola, avendo utilizzato la paglia “imperata” già pronta, legata assieme (si chiamava “nonongo”= pronta ad essere stesa sul tetto fatto di “bacchette” attaccate con le liane). In questa chiesetta ogni sera i catecumeni si radunavano per  il catechismo.

 

Nel frattempo avevo notato che tra la chiesina provvisoria e il vecchio municipio esisteva una bella e grande termitiera (residenza delle formiche bianche denominate “termiti”), segno evidente che nel sottosuolo c’era acqua in abbondanza. Chiamai subito un uomo pratico a scavare pozzi per l’acqua necessaria al nostro servizio; l’acqua potabile era ad una decina di metri di profondità.  Poco distante dal pozzo in due giorni feci la fossa per la vettura, per cui all’occasione la nostra Renault 1400 si poteva aggiustare. A pochi metri dalla fossa per la vettura fu costruita una casetta per gli utensili necessari al lavoro meccanico, sotto la direzione di Cipriano, che aveva sempre con sé il giovane GUM Alberto. Ben presto egli imparò il mestiere di meccanico e in poco tempo si fece una fama “universale”! In seguito Alberto sposò AVUNA Jeanne, che in una decina di anni gli diede sei figlie … per cui un giorno piangendo e lamentandosi venne a dirmi di difenderla presso Alberto perché se nascevano solo figlie … non era colpa sua … Infine arrivò anche il maschio!

 

Quando cominciai la costruzione della Chiesa dedicata all‘IMMACOLATA CONCEZIONE, il Superiore mi scrisse una lettera: “ Mi sembra che il piano della Chiesa sia molto difficile da essere realizzato, ed io come superiore dovrei esserne il garante di fronte al Vescovo e all’Amministratore Coloniale … Se la costruzione cedesse per il peso … sarebbe un bel fallimento e cosa direbbero i nostri superiori ecclesiastici e civili?”. Risposi che mi sarei impegnato in quel lavoro e, proprio perché era arduo, vi avrei dedicato tutte le mie energie … P. Ernesto mi rispose: “Se te la senti, sono d’accordo; però desidero che tu presenti il tuo piano a un ingegnere e che lo faccia firmare da lui! Allora avrai la mia autorizzazione ai lavori”.

 

Con Cipriano ne abbiamo parlato a lungo e finalmente abbiamo preso la decisione di recarci nel vicino Ciad, a KELO, nella Missione Cattolica tenuta dai Cappuccini canadesi, dove abitava un volontario di professione “ingegnere”!

 

Ed eccoci in viaggio. Ma ad una ventina di km da NGAOUNDAYE il ponte sul grosso torrente MINI, già in Ciad, non c’era più! L’unica cosa da fare fu passare lentamente a guado, con circa 60/80 centimetri di acqua, e mettere l’argano che sempre portavamo nella vettura, attaccandolo ad un tronco d’albero dall’altra parte della riva, e far avanzare la vettura con una leva. Dopo un’oretta di lavoro, rieccoci sulla strada sterrata per riprendere il cammino verso nord. In due o tre ore siamo arrivati a MOUNDOU. Qui abbiamo pensato di rivolgerci al meccanico dell’Amministrazione, per cercare un ingegnere e vedere assieme la nostra costruzione:  per un sacchetto di cemento quante carrette di sabbia occorrono; e per le colonne e i “linteaux” quale ferro e di quale misura metterlo … Lui (l’ingegnere) parlava ed io dicevo sempre di sì con la testa … Per l’ingegnere la costruzione si poteva fare facilmente e ci ha dato qualche consiglio. 

 

Più fiduciosi siamo ripartiti per la Missione Cattolica di Kelo, per incontrare l’ingegnere che cercavamo. Avendo presentato il piano, questi lo ha subito confermato e di cuore lo ha firmato  -  manu propria  - . Al ritorno abbiamo di nuovo passato a guado il torrente MINI … e finalmente con un ouff siamo arrivati sulla strada maestra.

 

Dopo un sonno ristoratore, il mattino seguente con la prima occasione ho inviato lo scritto firmato dall’ingegnere canadese al mio superiore che mi ha risposto … non troppo convinto: “Se proprio è così come mi scrivi … inizia pure la costruzione”.

 

Immediatamente mi sono messo al lavoro e in poco più di cinque mesi la Chiesa è stata terminata e inaugurata il 17 marzo 1965.  Mi sembra che questa festa del 50° sia un miracolo di  sussistenza … Infatti la chiesa si trova su una collina in bella vista, ma esposta al vento e alle forti piogge. Se ha resistito per cinquant’anni agli elementi scatenati … resisterà ancora per un bel po’ di tempo!

 

Il primo lavoro da fare da un’équipe di manovali è stato quello di preparare una grande quantità di blocchetti di cemento “bucati”, per farvi entrare i ferri di sostegno; avendo trovato in una lontana Missione una macchina a mano di marca “ROSA COMETA” me la feci inviare. Subito il lavoro non riuscì dato che erano necessari supporti in ghisa e non in legno come mettevamo noi, poiché il cemento fresco li faceva piegare e tutto cadeva … Solo in occasione del mio viaggio in patria nel 1964, a Milano, in un viottolo dietro il DUOMO, ho potuto trovare la “ROSA COMETA” e così comprare una macchina con tanti supporti in ghisa.

 

Abbiamo dovuto attendere sei mesi per preparare i blocchetti, che nel mio piano dovevano essere alcuni ricurvi, chiamati “bul” (per intendermela con i manovali), altri frastagliati, chiamati “Kaiman”, altri ancora lisci, “polelele = lisci” … La Chiesa ha la sua originalità nel mettere assieme iquesti tre segni differenti. L’équipe dei tre manovali faceva una cinquantina di blocchetti al giorno. Il giorno dopo venivano tolti dal loro supporto e messi vicino all’acqua del fiume perché prendessero consistenza.

 

Aggiungo confidenzialmente che, se per la mia santificazione avessi messo tutta la testardaggine che ho impiegato nella costruzione della Chiesa dell’Immacolata Concezione di NGAOUNDAYE, a quest’ora sarei beato! 

 

L’Ex

 

 



 

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Messaggio Cristiano
INCONTRO CON GLI STUDENTI IN OCCASIONE DEL GIUBILEO DEL MONDO EDUCATIVO - Aula Paolo VI, 30 ottobre 2025

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo,
La pace sia con voi!

Cari ragazzi, care ragazze, buongiorno!

Che gioia incontrarvi! Grazie a voi! Ho atteso questo momento con grande emozione: la vostra compagnia, infatti, mi fa ricordare gli anni nei quali insegnavo matematica a giovani vivaci come voi. Vi ringrazio per aver risposto così, per essere qui oggi, per condividere le riflessioni e le speranze che, attraverso di voi, consegno ai nostri amici sparsi in tutto il mondo.

Vorrei cominciare ricordando Pier Giorgio Frassati, uno studente italiano che, come sapete, è stato canonizzato durante quest’anno giubilare. Col suo animo appassionato per Dio e per il prossimo, questo giovane santo coniò due frasi che ripeteva spesso, quasi come un motto, lui diceva: “Vivere senza fede non è vivere, ma vivacchiare” e ancora: “Verso l’alto”. Sono affermazioni molto vere e incoraggianti. Anche a voi, perciò, dico: abbiate l’audacia di vivere in pienezza. Non accontentatevi delle apparenze o delle mode: un’esistenza appiattita su quel che passa non ci soddisfa mai. Invece, ognuno dica nel proprio cuore: “Sogno di più, Signore, ho voglia di più: ispirami tu!”. Questo desiderio è la vostra forza ed esprime bene l’impegno di giovani che progettano una società migliore, della quale non accettano di restare spettatori. Vi incoraggio, perciò, a tendere costantemente “verso l’alto”, accendendo il faro della speranza nelle ore buie della storia. Come sarebbe bello se un giorno la vostra generazione fosse riconosciuta come la “generazione plus”, ricordata per la marcia in più che saprete dare alla Chiesa e al mondo.

Questo, cari ragazzi, non può rimanere il sogno di una persona sola: uniamoci allora per realizzarlo, testimoniando insieme la gioia di credere in Gesù Cristo. Come possiamo riuscirci? La risposta è essenziale: attraverso l’educazione, uno degli strumenti più belli e potenti per cambiare il mondo.

L’amato Papa Francesco, cinque anni fa, ha lanciato il grande progetto del Patto Educativo Globale, e cioè un’alleanza di tutti coloro che, a vario titolo, lavorano nell’ambito dell’educazione e della cultura, per coinvolgere le giovani generazioni in una fraternità universale. Voi, infatti, non siete solo destinatari dell’educazione, ma i suoi protagonisti. Perciò oggi vi chiedo di allearvi per aprire una nuova stagione educativa, nella quale tutti — giovani e adulti — diventiamo credibili testimoni di verità e di pace. Per questo vi dico: siete chiamati a essere truth-speakers e peace-makers, persone di parola e costruttori di pace. Coinvolgete i vostri coetanei nella ricerca della verità e nella coltivazione della pace, esprimendo queste due passioni con la vostra vita, con le parole e con i gesti quotidiani.

In proposito, all’esempio di san Pier Giorgio Frassati unisco una riflessione di san John Henry Newman, un santo studioso, che presto sarà proclamato Dottore della Chiesa. Egli diceva che il sapere si moltiplica quando viene condiviso e che è nella conversazione delle menti che si accende la fiamma della verità. Così la vera pace nasce quando tante vite, come stelle, si uniscono e formano un disegno. Insieme possiamo formare costellazioni educative, che orientano il cammino futuro.

Da ex professore di matematica e fisica, permettetemi di fare con voi qualche calcolo. Avrete l’esame di matematica tra poco forse? Vediamo… Sapete quante stelle ci sono nell’universo osservabile? È un numero impressionante e meraviglioso: un sestilione di stelle – un 1 seguito da 21 zeri! Se le dividessimo tra gli 8 miliardi di abitanti della Terra, ogni uomo avrebbe per sé centinaia di miliardi di stelle. Ad occhio nudo, nelle notti limpide, possiamo scorgerne circa cinquemila. Anche se le stelle sono miliardi di miliardi, vediamo solo le costellazioni più vicine: queste però ci indicano una direzione, come quando si naviga per mare.

Da sempre i viaggiatori hanno trovato la rotta nelle stelle. I marinai seguivano la Stella Polare; i Polinesiani attraversavano l’oceano memorizzando mappe stellari. Secondo i contadini delle Ande, che ho incontrato da missionario in Perù, il cielo è un libro aperto che segna le stagioni della semina, della tosatura, dei cicli della vita. Persino i Magi hanno seguito una stella per arrivare a Betlemme ad adorare Gesù Bambino.

Come loro, anche voi avete stelle-guida: i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti, i buoni amici, bussole per non perdervi nelle vicende liete e tristi della vita. Come loro, siete chiamati a diventare a vostra volta luminosi testimoni per chi vi sta accanto. Ma, come dicevo, una stella da sola resta un punto isolato. Quando si unisce alle altre, invece, forma una costellazione, come la Croce del Sud. Così siete voi: ognuno è una stella, e insieme siete chiamati a orientare il futuro. L’educazione unisce le persone in comunità vive e organizza le idee in costellazioni di senso. Come scrive il profeta Daniele, «quelli che avranno insegnato a molti la giustizia risplenderanno come le stelle in eterno» (Dn 12,3): che meraviglia: siamo stelle, sì, perché siamo scintille di Dio. Educare significa coltivare questo dono.

L’educazione, infatti, ci insegna a guardare in alto, sempre più in alto. Quando Galileo Galilei puntò il cannocchiale al cielo, scoprì mondi nuovi: le lune di Giove, le montagne della Luna. Così è l’educazione: un cannocchiale che vi permette di guardare oltre, di scoprire ciò che da soli non vedreste. Non fermatevi, allora, a guardare lo smartphone e i suoi velocissimi frammenti d’immagini: guardate al Cielo, guardate verso l’alto.

Cari giovani, voi stessi avete suggerito la prima delle nuove sfide che ci impegnano nel nostro Patto Educativo Globale, esprimendo un desiderio forte e chiaro; avete detto: “Aiutateci nell’educazione alla vita interiore.” Sono rimasto veramente colpito da questa richiesta. Non basta avere grande scienza, se poi non sappiamo chi siamo e qual è il senso della vita. Senza silenzio, senza ascolto, senza preghiera, perfino le stelle si spengono. Possiamo conoscere molto del mondo e ignorare il nostro cuore: anche a voi sarà capitato di percepire quella sensazione di vuoto, di inquietudine che non lascia in pace. Nei casi più gravi, assistiamo a episodi di disagio, violenza, bullismo, sopraffazione, persino a giovani che si isolano e non vogliono più rapportarsi con gli altri. Penso che dietro a queste sofferenze ci sia anche il vuoto scavato da una società incapace di educare la dimensione spirituale, non solo tecnica, sociale e morale della persona umana.

Da giovane, sant’Agostino era un ragazzo brillante, ma profondamente insoddisfatto, come leggiamo nella sua autobiografia, Le Confessioni. Egli cercava dappertutto, tra carriera e piaceri, e ne combinava di tutti i colori, senza però trovare né verità né pace. Finché non ha scoperto Dio nel proprio cuore, scrivendo una frase densissima, che vale per tutti noi: «Il mio cuore è inquieto finché non riposa in Te». Ecco allora che cosa significa educare alla vita interiore: ascoltare la nostra inquietudine, non fuggirla né ingozzarla con ciò che non sazia. Il nostro desiderio d’infinito è la bussola che ci dice: “Non accontentarti, sei fatto per qualcosa di più grande”, “non vivacchiare, ma vivi”.

La seconda delle nuove sfide educative è un impegno che ci tocca ogni giorno e del quale voi siete maestri: l’educazione al digitale. Ci vivete dentro, e non è un male: ci sono opportunità enormi di studio e comunicazione. Non lasciate però che sia l’algoritmo a scrivere la vostra storia! Siate voi gli autori: usate con saggezza la tecnologia, ma non lasciate che la tecnologia usi voi.

Anche l’intelligenza artificiale è una grande novità – una delle rerum novarum, cioè delle cose nuove – del nostro tempo: non basta tuttavia essere “intelligenti” nella realtà virtuale, ma bisogna essere umani con gli altri, coltivando un’intelligenza emotiva, spirituale, sociale, ecologica. Perciò vi dico: educatevi ad umanizzare il digitale, costruendolo come uno spazio di fraternità e di creatività, non una gabbia dove rinchiudervi, non una dipendenza o una fuga. Anziché turisti della rete, siate profeti nel mondo digitale!

A questo riguardo, abbiamo davanti un attualissimo esempio di santità: San Carlo Acutis. Un ragazzo che non si è fatto schiavo della rete, usandola invece con abilità per il bene. San Carlo unì la sua bella fede alla passione per l’informatica, creando un sito sui miracoli eucaristici, e facendo così di Internet uno strumento per evangelizzare. La sua iniziativa ci insegna che il digitale è educativo quando non ci rinchiude in noi stessi, ma ci apre agli altri: quando non ti mette al centro, ma ti concentra su Dio e sugli altri.

Carissimi, arriviamo infine alla terza nuova grande sfida che oggi vi affido e che sta al cuore del nuovo Patto Educativo Globale: la educazione alla pace. Vedete bene quanto il nostro futuro venga minacciato dalla guerra e dall’odio che dividono i popoli. Questo futuro può essere cambiato? Certamente! Come? Con un’educazione alla pace disarmata e disarmante. Non basta, infatti, far tacere le armi: occorre disarmare i cuori, rinunciando a ogni violenza e volgarità. In tal modo, un’educazione disarmante e disarmata crea uguaglianza e crescita per tutti, riconoscendo l’uguale dignità di ogni ragazzo e ragazza, senza mai dividere i giovani tra pochi privilegiati che hanno accesso a scuole costosissime e tanti che non accesso all’educazione. Con grande fiducia in voi, vi invito a essere operatori di pace anzitutto lì dove vivete, in famiglia, a scuola, nello sport e tra gli amici, andando incontro a chi proviene da un’altra cultura.

Per concludere, carissimi, il vostro sguardo non sia rivolto alle stelle cadenti, cui si affidano desideri fragili. Guardate ancora più verso l’alto, verso Gesù Cristo, «il sole di giustizia» (cfr Lc 1,78), che vi guiderà sempre nei sentieri della vita.

LEONE XIV