Giovedì 25 Aprile 2024
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PELLEGRINAGGIO ECUMENICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO A GINEVRA IN OCCASIONE DEL 70° ANNIVERSARIO DELLA FONDAZIONE DEL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE

CONFERENZA STAMPA DURANTE IL VOLO DI RITORNO DA GINEVRA

Giovedì, 21 giugno 2018

 

Greg Burke:

Grazie, intanto. “Camminare, pregare, lavorare insieme” [Tema del Viaggio]. Abbiamo camminato, abbiamo pregato, diverse volte, e adesso ci tocca lavorare un po’ – e anche mangiare, dopo. Però, si vede che camminare insieme porta frutto: oggi, l’accoglienza. Abbiamo visto che, dopo tanti anni di dialogo, c’è rispetto mutuo e qualcosa di più: c’è anche amicizia. Però c’è ancora tanto lavoro da fare e tante sfide, e questo ci interessa normalmente: le sfide.

Forse Lei vuole dire qualcosa prima…

 

Papa Francesco:

Grazie del vostro lavoro! E’ stata una giornata un po’ pesante, almeno per me. Ma sono contento. Sono contento perché le diverse cose che abbiamo fatto, sia la preghiera all’inizio, poi il dialogo durante il pranzo, che è stato bellissimo, e poi la Messa, sono cose che mi hanno fatto felice. Stancano, ma sono cose buone. Grazie tante. E adesso, sono a vostra disposizione.

 

Greg Burke:

Bene. Incominciamo con gli svizzeri: Arnaud Bédat, della rivista “L’Illustre”:

Arnaud Bédat:

Santo Padre, estuvo en Ginebra pero también en Suiza. ¿Qué imágenes, qué momentos importantes, fuertes, le han marcado durante esta jornada?

[Santo Padre, è stato a Ginevra ma anche in Svizzera. Che immagine, che momenti importanti, forti, l’hanno colpita durante questa giornata?]

 

Papa Francesco:

Grazie. Credo che – direi – c’è una parola comune: incontro. E’ stata una giornata di incontri. Variegati. La parola giusta della giornata è incontro, e quando una persona incontra un’altra e sente piacere dell’incontro, questo tocca sempre il cuore. Sono stati incontri positivi, anche belli, incominciando dal dialogo con il Presidente [della Confederazione Svizzera], all’inizio, che è stato non solo un dialogo di cortesia, normale, ma un dialogo profondo, su argomenti mondiali profondi e con una intelligenza che mi ha colpito. Incominciando da questo. Poi, gli incontri che voi tutti avete visto… E quello che voi non avete visto è l’incontro del pranzo, che è stato molto profondo nel modo di toccare tanti argomenti. Forse l’argomento sul quale siamo rimasti più tempo è quello dei giovani, perché anche tutte le Confessioni sono preoccupate, nel senso buono, per i giovani. E il pre-Sinodo che è stato fatto a Roma, dal 19 marzo in poi, ha attirato abbastanza l’attenzione, perché erano giovani di tutte le Confessioni, anche agnostici, e di tutti i Paesi. Pensate: 315 giovani presenti e 15 mila collegati in rete che “entravano e uscivano”. Questo forse ha svegliato un interesse speciale. Ma la parola che a me dà forse l’insieme del viaggio è che è stato un viaggio di incontro. L’esperienza dell’incontro. Non mera cortesia, nessuna cosa puramente formale, ma incontro umano. E questo, tra protestanti e cattolici, è dire tutto… Grazie.

 

Greg Burke:

Grazie, Santità. Adesso del gruppo tedesco c’è Roland Juchem, dell’agenzia cattolica tedesca CIC.

Roland Juchem:

Grazie, Santo Padre. Lei parla spesso di passi concreti da fare nell’ecumenismo. Oggi, ad esempio, lo ha nuovamente riferito dicendo: “Vediamo ciò che è possibile fare concretamente, piuttosto che scoraggiarci per ciò che non lo è”. Allora, i vescovi tedeschi, ultimamente, hanno deciso di fare un passo [sulla cosiddetta “inter-Comunione”], e allora ci chiediamo come mai l’arcivescovo Ladaria [Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede] abbia scritto una lettera che sembra un poco come una frenata d’emergenza. Dopo l’incontro dello scorso 3 maggio era stato affermato che i vescovi tedeschi avrebbero dovuto trovare una soluzione, possibilmente all’unanimità. Quali saranno i prossimi passi? Sarà necessario un intervento da parte del Vaticano, per chiarire, o i vescovi tedeschi dovranno trovare un accordo?

 

Papa Francesco:

Bene. Questa non è una novità, perché nel Codice di diritto canonico è previsto quello di cui i vescovi tedeschi parlavano: la Comunione in casi speciali. E loro guardavano al problema dei matrimoni misti: se è possibile o non è possibile. Però, il Codice dice che il vescovo della Chiesa particolare – questa parola è importante: particolare, se è di una diocesi – deve gestire questa cosa: è nelle sue mani. Questo c’è nel Codice. I vescovi tedeschi, poiché avevano visto che il caso non era chiaro, e anche che alcuni sacerdoti facevano cose non d’accordo con il vescovo, hanno voluto studiare questo tema e hanno fatto questo studio che – non voglio esagerare – è stato uno studio di più di un anno, non so bene ma più di un anno, ben fatto, ben fatto. E lo studio è restrittivo: quello che i vescovi volevano è dire chiaramente quello che c’è nel Codice. E anch’io, che l’ho letto, dico: questo è un documento restrittivo. Non era un “aprire a tutti”. No. Era una cosa ben pensata, con spirito ecclesiale. E hanno voluto farlo per la Chiesa locale: non quella particolare. Non hanno voluto. E’ scivolata la cosa fino a lì, cioè, dicendo che è per la Conferenza episcopale tedesca. E lì c’è un problema, perché il Codice non prevede questo. Prevede la competenza del vescovo diocesano, ma non della Conferenza episcopale. Perché? Perché una cosa approvata in una Conferenza episcopale, subito diventa universale. E questa è stata la difficoltà della discussione: non tanto il contenuto, ma questo. Hanno inviato il documento; poi ci sono stati due o tre incontri di dialogo e di chiarimento; e l’arcivescovo Ladaria ha inviato quella lettera, ma con il mio permesso, non l’ha fatto da solo. Gli ho detto: “Sì, è meglio fare un passo avanti e dire che il documento ancora non è maturo – questo diceva la lettera – e che si doveva studiare di più la cosa”. Poi c’è stata un’altra riunione, e alla fine studieranno la cosa. Credo che questo sarà un documento orientativo, perché ognuno dei vescovi diocesani possa gestire quello che già il Diritto canonico permette. Non c’è stata nessuna frenata, no. E’ stato un gestire la cosa perché andasse per la buona strada. Quando ho fatto la visita alla Chiesa luterana di Roma, è stata fatta una domanda del genere e io ho risposto secondo lo spirito del Codice di diritto canonico, quello spirito che loro [i vescovi] cercano adesso. Forse non c’è stata un’informazione giusta nei momenti giusti, c’è un po’ di confusione, ma questa è la cosa. Nella Chiesa particolare, il Codice lo permette; nella Chiesa locale, non può, perché sarebbe universale. E’ questo.

 

Roland Juchem:

La Chiesa locale è la Conferenza?

Papa Francesco:

… è la Conferenza. Ma la Conferenza può studiare e dare linee orientative per aiutare i vescovi nel gestire i casi particolari. Grazie.

 

Greg Burke:

Adesso, del gruppo spagnolo c’è Eva Fernández della Cope, la Radio spagnola.

Eva Fernández:

Grazie, Santo Padre. Abbiamo visto che anche il Segretario Generale del Consiglio ecumenico delle Chiese ha parlato dell’aiuto ai rifugiati. Ultimamente abbiamo visto l’incidente della nave “Aquarius” e altri casi, come pure la separazione delle famiglie negli Stati Uniti. Pensa che alcuni governi strumentalizzino il dramma dei rifugiati? Grazie.

 

Papa Francesco:

Ho parlato tanto sui rifugiati e i criteri sono in quello che ho detto: “accogliere, proteggere, promuovere, integrare”. Sono criteri per tutti i rifugiati. Poi ho detto che ogni Paese deve fare questo con la virtù del governo che è la prudenza, perché un Paese deve accogliere tanti rifugiati quanti può e quanti può integrare: integrare, cioè educare, dare lavoro… Questo, direi, è il piano tranquillo, sereno dei rifugiati. Qui stiamo vivendo un’ondata di rifugiati che fuggono dalle guerre e dalla fame. Guerra e fame in tanti Paesi dell’Africa, guerre e persecuzione nel Medio Oriente. L’Italia e la Grecia sono state generosissime ad accogliere. Per il Medio Oriente – riguardo alla Siria – la Turchia ne ha ricevuti tanti; il Libano, tanti: il Libano ha tanti siriani quanti sono i libanesi; e poi la Giordania, e altri Paesi. Anche la Spagna ne aveva accolti. C’è il problema del traffico dei migranti. E c’è anche il problema dei casi in cui ritornano, perché devono ritornare: c’è questo caso… Non conosco bene i termini dell’accordo, ma se sono nelle acque libiche devono tornare… E lì ho visto le fotografie delle carceri dei trafficanti. I trafficanti subito separano donne da uomini: donne e bambini vanno Dio sa dove… Questo fanno i trafficanti. C’è anche un caso, che conosco, in cui i trafficanti si sono avvicinati a una nave che aveva accolto dei profughi dai barconi e hanno detto: “Dateci le donne e i bambini e portate via i maschi”. Questo fanno i trafficanti. E le carceri dei trafficanti, per quelli che sono tornati, sono terribili, sono terribili. Nei lager della II guerra mondiale si vedevano queste cose. Anche mutilazioni, torture…. E poi li buttano nelle fosse comuni, gli uomini. Per questo i governi si preoccupano che non tornino e non cadano nelle mani di questa gente. C’è una preoccupazione mondiale. So che i governi parlano di questo e vogliono trovare un accordo, anche modificare l’Accordo di Dublino. In Spagna, voi avete avuto il caso di questa nave che è approdata a Valencia. Ma tutto questo fenomeno è un disordine. Il problema delle guerre è difficile da risolvere; il problema della persecuzione dei cristiani anche, in Medio Oriente e anche in Nigeria. Ma il problema della fame, si può risolvere. E tanti governi europei stanno pensando a un piano d’urgenza per investire in quei Paesi, investire intelligentemente, per dare lavoro ed educazione, queste due cose. Nei Paesi dai quali provengono queste persone. Perché – senza offendere, ma è la verità – nell’inconscio collettivo c’è un motto brutto: “L’Africa va sfruttata” - Africa es para ser explotada. Questo è nell’inconscio: “Eh, sono africani!…”. Terra di schiavi. E questo deve cambiare con questo piano di investimenti, di educazione, di sviluppo, perché il popolo africano ha tante ricchezze culturali, tante. E hanno un’intelligenza grande: i bambini sono intelligentissimi e possono, con una buona educazione, andare oltre. Questa sarà la strada a medio termine. Ma sul momento devono mettersi d’accordo i governi per andare avanti con questa emergenza. Questo, qui in Europa.

Andiamo in America. In America, c’è un problema migratorio grande, in America Latina, e c’è anche il problema migratorio interno. Nella mia patria c’è un problema migratorio dal nord al sud; la gente lascia la campagna perché non c’è lavoro e va nelle grandi città, e ci sono queste megalopoli, le baraccopoli, e tutte queste cose… Ma c’è anche una migrazione esterna verso altri Paesi che danno lavoro. Parlando concretamente, verso gli Stati Uniti. Io sono d’accordo con quello che dicono i Vescovi di quel Paese. Mi schiero con loro. Grazie.

 

Greg Burke:

Grazie, Santità. Adesso, il gruppo inglese: Deborah Castellano Lubov, dell’agenzia Zenit.

Deborah Castellano Lubov:

Grazie, Santità. Santità, nel suo discorso di oggi all’Incontro ecumenico, Lei ha fatto riferimento all’enorme forza del Vangelo. Sappiamo che alcune delle Chiese del World Council of Churches sono cosiddette “Chiese della pace”, che credono che un cristiano non possa usare la violenza. Ricordiamo che due anni fa, in Vaticano, c’è stata una conferenza organizzata per riconsiderare la dottrina della “guerra giusta”. Allora, Santità, la domanda è se Lei pensa che sia il caso per la Chiesa Cattolica di unirsi a queste cosiddette “Chiese della pace” e mettere da parte la teoria della “guerra giusta”. Grazie.

 

Papa Francesco:

Un chiarimento: perché Lei dice che ci sono “Chiese della pace”?

Deborah Castellano Lubov:

Sono considerate “Chiese della pace” perché hanno questa concezione, che una persona utilizza la violenza non può essere più considerata cristiana.

 

Papa Francesco:

Grazie, ho capito. Lei ha messo il dito nella piaga… Oggi, a pranzo, un Pastore ha detto che forse il primo diritto umano è il diritto alla speranza, e questo mi è piaciuto, e rientra un po’ in questo tema. Abbiamo parlato della crisi dei diritti umani oggi. Credo che devo incominciare da questo per arrivare alla sua domanda. La crisi dei diritti umani appare chiara. Si parla un po’ di diritti umani, ma tanti gruppi o alcuni Paesi prendono le distanze. Sì, abbiamo i diritti umani ma… non c’è la forza, l’entusiasmo, la convinzione non dico di 70 anni fa, ma di 20 anni fa. E questo è grave, perché dobbiamo vedere le cause. Quali sono le cause per le quali siamo arrivati a questo? Che oggi i diritti umani sono  relativi. Anche il diritto alla pace è relativo. E’ una crisi dei diritti umani. Questo credo che dobbiamo pensarlo a fondo.

 

Poi, le cosiddette “Chiese della pace”. Credo che tutte le Chiese che hanno questo spirito di pace debbano riunirsi e lavorare insieme, come abbiamo detto nei discorsi oggi, sia io che le altre persone che hanno parlato, e a pranzo se ne è parlato. L’unità per la pace. Oggi la pace è un’esigenza, perché c’è il rischio di una guerra… Qualcuno ha detto: questa terza guerra mondiale, se si fa, noi sappiamo con quali armi si farà, ma, se ce ne fosse una quarta, si farà con i bastoni, perché l’umanità sarà distrutta. L’impegno per la pace è una cosa seria. Quando si pensa ai soldi che si spendono in armamenti! Per questo, le “Chiese della pace”: ma è il mandato di Dio! La pace, la fratellanza, l’umanità unita… E tutti i conflitti, non bisogna risolverli come Caino, ma risolverli con il negoziato, con il dialogo, con le mediazioni. Per esempio, siamo in crisi di mediazioni! La mediazione, che è una figura giuridica tanto preziosa, oggi è in crisi. Crisi di speranza, crisi di diritti umani, crisi di mediazioni, crisi di pace. Ma poi, se Lei dice che ci sono “Chiese della pace”, io mi domando: ma ci sono “Chiese della guerra”? E’ difficile capire questo, è difficile, ma ci sono certamente alcuni gruppi, e io direi in quasi tutte le religioni, gruppi piccoli, un po’ semplificando dirò “fondamentalisti”, che cercano le guerre. Anche noi cattolici ne abbiamo qualcuno, che cerca sempre la distruzione. E questo è molto importante averlo sotto gli occhi. Non so se ho risposto…

Mi dicono che la gente chiede la cena, che c’è il tempo giusto per arrivare con lo stomaco pieno…

Soltanto, una parola voglio dire chiaramente: che oggi è stata una giornata ecumenica, proprio ecumenica. E a pranzo abbiamo detto una bella cosa, che io lascio a voi perché ci pensiate e riflettiate e facciate una bella considerazione su questo: nel movimento ecumenico dobbiamo togliere dal dizionario una parola: proselitismo. Chiaro? Non può esserci ecumenismo con proselitismo, bisogna scegliere: o sei di spirito ecumenico, o sei un “proselitista”.

Grazie. Io continuerei a parlare perché mi piace, ma…

E adesso, facciamo venire il Sostituto [della Segreteria di Stato] perché è l’ultimo viaggio che fa con noi, perché adesso cambierà di “colore” [diventando Cardinale]: ma non per vergogna! Vogliamo congedarlo e ci sarà la torta sarda per festeggiare.

 

Mons. Becciu:

Grazie! E’ una sorpresa duplice, chiamarmi qui e ringraziarmi davanti a voi. E poi una torta sarda… bene!, l’assaggeremo con piacere. Io ringrazio davvero il Santo Padre per questa occasione, ma per tutto, per tutto, perché mi ha fatto fare questa esperienza magnifica di viaggiare tanto con lui. Agli inizi, mi aveva spaventato, aveva detto: “No, io farò pochi viaggi”, si ricorda? E poi, dopo uno ne aggiungeva un altro, e un altro, e ci dicemmo: “Meno male che aveva detto che sarebbero stati pochi!”, e sono stati tanti. Un’esperienza magnifica: vedere il Santo Padre con coraggio diffondere la Parola di Dio. Il mio servizio è stato solo questo: di aiutarlo in questo. Grazie a tutti voi e a chi ci ha aiutato. Grazie.

 

Papa Francesco:

Buon appetito, buona cena e grazie tante. E pregate per me, per favore. Grazie.

 



 

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Messaggio Cristiano
Udienza Generale, 17 Aprile 2024

Catechesi. I vizi e le virtù. 15. La temperanza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi parlerò della quarta e ultima virtù cardinale: la temperanza. Con le altre tre, questa virtù condivide una storia che risale molto indietro nel tempo e che non appartiene ai soli cristiani. Per i greci la pratica delle virtù aveva come obbiettivo la felicità. Il filosofo Aristotele scrive il suo più importante trattato di etica indirizzandolo al figlio Nicomaco, per istruirlo nell’arte del vivere. Perché tutti cerchiamo la felicità eppure così pochi la raggiungono? Questa è la domanda. Per rispondere ad essa Aristotele affronta il tema delle virtù, tra le quali ha uno spazio di rilievo la enkráteia, cioè la temperanza. Il termine greco significa letteralmente “potere su sé stessi”. La temperanza è un potere su sé stessi. Questa virtù è dunque la capacità di autodominio, l’arte di non farsi travolgere da passioni ribelli, di mettere ordine in quello che il Manzoni chiama il “guazzabuglio del cuore umano”.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice che «la temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati». «Essa – prosegue il Catechismo – assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore» (n. 1809).

Dunque, la temperanza, come dice la parola italiana, è la virtù della giusta misura. In ogni situazione, si comporta con saggezza, perché le persone che agiscono mosse sempre dall’impeto o dall’esuberanza alla fine sono inaffidabili. Le persone senza temperanza sono sempre inaffidabili. In un mondo dove tanta gente si vanta di dire quello che pensa, la persona temperante preferisce invece pensare quello che dice. Capite la differenza? Non dire quello che mi viene in mente, così… No, pensare a quello che devo dire. Non fa promesse a vanvera, ma assume impegni nella misura in cui li può soddisfare.

Anche con i piaceri, la persona temperante agisce con giudizio. Il libero corso delle pulsioni e la totale licenza accordata ai piaceri, finiscono per ritorcersi contro noi stessi, facendoci precipitare in uno stato di noia. Quanta gente che ha voluto provare tutto con voracità si è ritrovata a perdere il gusto di ogni cosa! Meglio allora cercare la giusta misura: ad esempio, per apprezzare un buon vino, assaporarlo a piccoli sorsi è meglio che ingurgitarlo tutto d’un fiato. Tutti sappiamo questo.

La persona temperante sa pesare e dosare bene le parole. Pensa a quello che dice. Non permette che un momento di rabbia rovini relazioni e amicizie che poi solo con fatica potranno essere ricostruite. Specialmente nella vita famigliare, dove le inibizioni si abbassano, tutti corriamo il rischio di non tenere a freno tensioni, irritazioni, arrabbiature. C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere, ma entrambi richiedono la giusta misura. E questo vale per tante cose, ad esempio lo stare con gli altri e lo stare da soli.

Se la persona temperante sa controllare la propria irascibilità, non per questo la vedremo perennemente con il volto pacifico e sorridente. Infatti, qualche volta è necessario indignarsi, ma sempre nella giusta maniera. Queste sono le parole: la giusta misura, la giusta maniera. Una parola di rimprovero a volte è più salutare rispetto a un silenzio acido e rancoroso. Il temperante sa che nulla è più scomodo del correggere un altro, ma sa anche che è necessario: altrimenti si offrirebbe libero campo al male. In certi casi, il temperante riesce a tenere insieme gli estremi: afferma i principi assoluti, rivendica i valori non negoziabili, ma sa anche comprendere le persone e dimostra empatia per esse. Dimostra empatia.

Il dono del temperante è dunque l’equilibrio, qualità tanto preziosa quanto rara. Tutto, infatti, nel nostro mondo spinge all’eccesso. Invece la temperanza si sposa bene con atteggiamenti evangelici quali la piccolezza, la discrezione, il nascondimento, la mitezza. Chi è temperante apprezza la stima degli altri, ma non ne fa l’unico criterio di ogni azione e di ogni parola. È sensibile, sa piangere e non se ne vergogna, ma non si piange addosso. Sconfitto, si rialza; vincitore, è capace di tornare alla vita nascosta di sempre. Non cerca gli applausi, ma sa di avere bisogno degli altri.

Fratelli e sorelle, non è vero che la temperanza rende grigi e privi di gioie. Anzi, fa gustare meglio i beni della vita: lo stare insieme a tavola, la tenerezza di certe amicizie, la confidenza con le persone sagge, lo stupore per le bellezze del creato. La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita. Preghiamo il Signore perché ci dia questo dono: il dono della maturità, della maturità dell’età, della maturità affettiva, della maturità sociale. Il dono della temperanza.

Papa Francesco