Testimoni del nostro tempo


Don Giuseppe Berardino

Guidonia

Don Giuseppe Berardino

 

Grande partecipazione di tutta la comunità parrocchiale ai funerali di don Giuseppe Berardino, presieduti dal cardinale Agostino Vallini a Santa Maria a Setteville di Guidonia.

 

La vicenda del 51enne sacerdote, malato di Sla, aveva commosso il mondo appena due settimane fa, quando papa Francesco aveva visitato la parrocchia.

In quell’occasione il Santo Padre aveva avuto un colloquio privato con lo sfortunato presbitero, dicendogli: “Giuseppe, sono il tuo vescovo. Sono venuto per dirti che il Signore ti è molto, molto vicino”.

 

Inviato alla cerimonia funebre, in rappresentanza del Vescovo di Roma, il cardinale Vallini è stato il primo ad informare Francesco del decesso del sacerdote e il Papa si è detto contento di averlo potuto visitare di persona e ha pregato il vicario di portare la sua benedizione alla parrocchia di Setteville di Guidonia.

 

Nell’omelia, Vallini ha ricordato don Berardino come un testimone esemplare del Vangelo, che ha voluto vivere fino in fondo nella fede la sua malattia.

 

Da parte sua il viceparroco don Francesco Zanoni ha raccontato: “Abbiamo visto attorno al letto di don Giuseppe riconciliazioni, persone che si sono perdonate, genitori che hanno accettato la croce di un figlio malato, che hanno trovato conforto, veri miracoli attorno a quel letto”.

 

 

ROMA 05/02/06 don andrea santoro presso il deserto delle tentazioni
Foto ARCIERI

 

Il prossimo 5 febbraio 2016 sarà il decimo anniversario della morte di don Andrea Santoro, il sacerdote della diocesi di Roma, martirizzato in Turchia.

 

Due gli eventi in programma per ricordarlo: lunedì 1 febbraio, dalle 10.30 alle 12, presso il Seminario Maggiore Romano, il vescovo ausiliare Angelo De Donatis terrà un incontro-dibattito per il clero e i seminaristi sul tema La spiritualità di don Andrea; venerdì 5 febbraio, alle 19, il cardinale vicario di Roma, Agostino Vallini, presiederà la santa messa di suffragio nella basilica di San Giovanni in Laterano.

 

Nato a Priverno nel 1945, Andrea Santoro fu ordinato sacerdote nel 1970. Viceparroco e poi parroco in varie parrocchie della diocesi di Roma, don Santoro compì nell’arco di trent’anni, numerosi viaggi in Terra Santa e in Medio Oriente, che accesero in lui un forte zelo missionario e una particolare sensibilità verso il dialogo interreligioso, in special modo islamo-cristiano.

 

Nel 2000, il cardinale vicario di Roma, Camillo Ruini, lo invia missionario in Turchia, dove svolge attività pastorale prima ad Urfa, nel Sud Est del paese, poi a Trebisonda, una città di 200mila abitanti, dove la comunità cattolica è di appena 15 persone.

 

Nei suoi ultimi anni, don Santoro si distinse, tra le altre cose, per la sua lotta contro lo sfruttamento della prostituzione: potrebbe essere stata questa la causa del suo omicidio, avvenuto all’interno della sua parrocchia a Trebisonda, il 5 febbraio 2006.

 

Don Andrea venne freddato da alcuni colpi di pistola, sparati da un ragazzo di 16 anni, mentre pregava davanti al Santissimo, con una Bibbia in lingua turca tra le mani. Il suo omicidio avviene in un momento di forte tensione nel mondo musulmano, a seguito della pubblicazione di alcune vignette blasfeme contro Maometto, su un giornale danese.

 

Nel 2011 la diocesi di Roma ha avviato il suo processo di canonizzazione. [L.M.]

 

 

 

 



 

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Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE Piazza San Pietro, Mercoledì 22 ottobre 2025

Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. IV. La Risurrezione di Cristo e le sfide del mondo attuale. 2. La Risurrezione di Cristo, risposta alla tristezza dell’essere umano

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! E benvenuti tutti!

La risurrezione di Gesù Cristo è un evento che non si finisce mai di contemplare e di meditare, e più lo si approfondisce, più si resta pieni di meraviglia, si viene attratti, come da una luce insostenibile e al tempo stesso affascinante. È stata un’esplosione di vita e di gioia che ha cambiato il senso dell’intera realtà, da negativo a positivo; eppure non è avvenuta in modo eclatante, men che meno violento, ma mite, nascosto, si direbbe umile.

Oggi rifletteremo su come la risurrezione di Cristo può guarire una delle malattie del nostro tempo: la tristezza. Invasiva e diffusa, la tristezza accompagna le giornate di tante persone. Si tratta di un sentimento di precarietà, a volte di disperazione profonda che invade lo spazio interiore e che sembra prevalere su ogni slancio di gioia.

La tristezza sottrae senso e vigore alla vita, che diventa come un viaggio senza direzione e senza significato. Questo vissuto così attuale ci rimanda al celebre racconto del Vangelo di Luca (24,13-29) sui due discepoli di Emmaus. Essi, delusi e scoraggiati, se ne vanno da Gerusalemme, lasciandosi alle spalle le speranze riposte in Gesù, che è stato crocifisso e sepolto. Nelle battute iniziali, questo episodio mostra come un paradigma della tristezza umana: la fine del traguardo su cui si sono investite tante energie, la distruzione di ciò che appariva l’essenziale della propria vita. La speranza è svanita, la desolazione ha preso possesso del cuore. Tutto è imploso in brevissimo tempo, tra il venerdì e il sabato, in una drammatica successione di eventi.

Il paradosso è davvero emblematico: questo triste viaggio di sconfitta e di ritorno all’ordinario si compie lo stesso giorno della vittoria della luce, della Pasqua che si è pienamente consumata. I due uomini danno le spalle al Golgota, al terribile scenario della croce ancora impresso nei loro occhi e nel loro cuore. Tutto sembra perduto. Occorre tornare alla vita di prima, col profilo basso, sperando di non essere riconosciuti.

A un certo punto, si affianca ai due discepoli un viandante, forse uno dei tanti pellegrini che sono stati a Gerusalemme per la Pasqua. È Gesù risorto, ma loro non lo riconoscono. La tristezza annebbia il loro sguardo, cancella la promessa che il Maestro aveva fatto più volte: che sarebbe stato ucciso e che il terzo giorno sarebbe risuscitato. Lo sconosciuto si accosta e si mostra interessato alle cose che loro stanno dicendo. Il testo dice che i due «si fermarono, col volto triste» (Lc 24,17). L’aggettivo greco utilizzato descrive una tristezza integrale: sul loro viso traspare la paralisi dell’anima.

Gesù li ascolta, lascia che sfoghino la loro delusione. Poi, con grande franchezza, li rimprovera di essere «stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!» (v. 25), e attraverso le Scritture dimostra che il Cristo doveva soffrire, morire e risorgere. Nei cuori dei due discepoli si riaccende il calore della speranza, e allora, quando ormai scende la sera e arrivano alla meta, invitano il misterioso compagno a restare con loro.

Gesù accetta e siede a tavola con loro. Poi prende il pane, lo spezza e lo offre. In quel momento i due discepoli lo riconoscono… ma Lui subito sparisce dalla loro vista (vv. 30-31). Il gesto del pane spezzato riapre gli occhi del cuore, illumina di nuovo la vista annebbiata dalla disperazione. E allora tutto si chiarisce: il cammino condiviso, la parola tenera e forte, la luce della verità… Subito si riaccende la gioia, l’energia scorre di nuovo nelle membra stanche, la memoria torna a farsi grata. E i due tornano in fretta a Gerusalemme, per raccontare tutto agli altri.

“Il Signore è veramente Risorto” (cfr v. 34). In questo avverbio, veramente, si compie l’approdo certo della nostra storia di esseri umani. Non a caso è il saluto che i cristiani si scambiano nel giorno di Pasqua. Gesù non è risorto a parole, ma con i fatti, con il suo corpo che conserva i segni della passione, sigillo perenne del suo amore per noi. La vittoria della vita non è una parola vana, ma un fatto reale, concreto.

La gioia inattesa dei discepoli di Emmaus ci sia di dolce monito quando il cammino si fa duro. È il Risorto che cambia radicalmente la prospettiva, infondendo la speranza che riempie il vuoto della tristezza. Nei sentieri del cuore, il Risorto cammina con noi e per noi. Testimonia la sconfitta della morte, afferma la vittoria della vita, nonostante le tenebre del Calvario. La storia ha ancora molto da sperare in bene.

Riconoscere la Risurrezione significa cambiare sguardo sul mondo: tornare alla luce per riconoscere la Verità che ci ha salvato e ci salva. Sorelle e fratelli, restiamo vigili ogni giorno nello stupore della Pasqua di Gesù risorto. Lui solo rende possibile l’impossibile!

LEONE XIV