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Letture e meditazioni


LO SGUARDO FEMMINILE SULLA CHIESA DI PAPA FRANCESCO

17 Maggio 2016

Ci sono ruoli, aiuti che possono essere svolti attorno all’altare da una donna che ancora attualmente non gli sono riconosciuti. Domande che negli anni hanno impegnato i predecessori di papa Francesco in puntualizzazioni non semplici e in contestazioni da parte di alcuni gruppi femminili ben radicati.

 

La questione viene nuovamente posta, questa volta in maniera più pacata, durante l’udienza nell’aula Paolo VI in Vaticano, alle circa 900 religiose appartenenti all’Unione internazionale superiore generali. Così la questione è stato sollevata nuovamente, durante un lungo dialogo a braccio, come fa il più delle volte Francesco, per rispondere alle tante questioni che le consacrate avvertono come urgenti. E tra queste una riguarda la presenza delle donne nei processi decisionali della Chiesa. Qui Francesco si dice d’accordo a un aumento delle responsabilità a vari livelli da parte di personalità femminili, nei casi in cui non sia prevista la giurisdizione che è connessa all’ordine sacro.

 

FRANCESCO E DONNEQuesto soprattutto perché dice il papa, lo sguardo di una donna può contribuire ad arricchire sia la fase di elaborazione di una decisione, sia quella esecutiva. Le superiori poi sottolineano come siano già protagoniste nel servizio ai poveri e malati, nella catechesi e in molti altri ministeri ecclesiali, un trampolino questo per un’altra questione non di poco conto.

 

L’apertura alle donne del diaconato permanente, con riferimento alla chiesa primitiva. Il papa ricorda loro che l’antico ruolo delle diaconesse non risulta tuttora molto chiaro e si è detto disponibile a interessare della questione una Commissione di studio. Riguardo alla possibilità di tenere l’omelia durante la messa, Francesco distingue tra la predica tenuta durante una Liturgia della Parola – che può essere svolta senza difficoltà da una donna, consacrata o laica – dalla Liturgia eucaristica, nella quale l’omelia è collegata alla presidenza della celebrazione, che è propria del sacerdote.

 

Ma il papa si trova coinvolto e si lascia coinvolgere in questo ragionamento tanto che parlando di un migliore inserimento delle consacrate nella vita della chiesa, auspica la loro presenza nelle assemblee del dicastero dei religiosi e nelle assemblee in cui si dibattono questioni di loro pertinenza. Francesco si ferma poi ad apprezzare la maternità che religiose e consacrate esprimono nella cura delle varie forme di emarginazione.

 

“La Chiesa ha bisogno che le donne entrino nel processo decisionale” nei casi in cui non sia prevista la giurisdizione che è connessa all’ordine sacro, ha detto infatti Francesco ai membri della UISG; e magari “anche che possano guidare un ufficio in Vaticano”. La Chiesa – ha aggiunto – deve “coinvolgere consacrate e laiche nella consultazione, ma anche nelle decisioni perché ha bisogno del loro punto di vista” che può arricchire sia la fase di elaborazione di una decisione, sia quella esecutiva. Secondo il papa “troppe donne consacrate sono ‘donnette’ piuttosto che persone coinvolte nel ministero del servizio”, come capita ad esempio nelle canoniche. E questo non va, perché “la vita consacrata è un cammino di povertà, non un suicidio”. Mentre Francesco è favorevole ad un “ruolo crescente delle donne nella Chiesa”. “Non si tratta di “femminismo”, ma di “un diritto di tutti i battezzati: maschi e femmine”.

 

Ora una commissione studierà tutte queste questioni per rispondere a tutte le domande. Il cardinale Kasper sul diaconato femminile: “Il Papa stupisce molto perché non si ferma al già noto, ai pregiudizi, a ciò che di un argomento si ritiene di conoscere a priori. Ma chiede che si guardi oltre, affinché sia lo Spirito di Dio a guidare la sua Chiesa in modo ogni volta nuovo”.

 

          Silvano Gianti

 

 

 

 


 

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Messaggio Cristiano
Udienza Generale, 17 Aprile 2024

Catechesi. I vizi e le virtù. 15. La temperanza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi parlerò della quarta e ultima virtù cardinale: la temperanza. Con le altre tre, questa virtù condivide una storia che risale molto indietro nel tempo e che non appartiene ai soli cristiani. Per i greci la pratica delle virtù aveva come obbiettivo la felicità. Il filosofo Aristotele scrive il suo più importante trattato di etica indirizzandolo al figlio Nicomaco, per istruirlo nell’arte del vivere. Perché tutti cerchiamo la felicità eppure così pochi la raggiungono? Questa è la domanda. Per rispondere ad essa Aristotele affronta il tema delle virtù, tra le quali ha uno spazio di rilievo la enkráteia, cioè la temperanza. Il termine greco significa letteralmente “potere su sé stessi”. La temperanza è un potere su sé stessi. Questa virtù è dunque la capacità di autodominio, l’arte di non farsi travolgere da passioni ribelli, di mettere ordine in quello che il Manzoni chiama il “guazzabuglio del cuore umano”.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice che «la temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati». «Essa – prosegue il Catechismo – assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore» (n. 1809).

Dunque, la temperanza, come dice la parola italiana, è la virtù della giusta misura. In ogni situazione, si comporta con saggezza, perché le persone che agiscono mosse sempre dall’impeto o dall’esuberanza alla fine sono inaffidabili. Le persone senza temperanza sono sempre inaffidabili. In un mondo dove tanta gente si vanta di dire quello che pensa, la persona temperante preferisce invece pensare quello che dice. Capite la differenza? Non dire quello che mi viene in mente, così… No, pensare a quello che devo dire. Non fa promesse a vanvera, ma assume impegni nella misura in cui li può soddisfare.

Anche con i piaceri, la persona temperante agisce con giudizio. Il libero corso delle pulsioni e la totale licenza accordata ai piaceri, finiscono per ritorcersi contro noi stessi, facendoci precipitare in uno stato di noia. Quanta gente che ha voluto provare tutto con voracità si è ritrovata a perdere il gusto di ogni cosa! Meglio allora cercare la giusta misura: ad esempio, per apprezzare un buon vino, assaporarlo a piccoli sorsi è meglio che ingurgitarlo tutto d’un fiato. Tutti sappiamo questo.

La persona temperante sa pesare e dosare bene le parole. Pensa a quello che dice. Non permette che un momento di rabbia rovini relazioni e amicizie che poi solo con fatica potranno essere ricostruite. Specialmente nella vita famigliare, dove le inibizioni si abbassano, tutti corriamo il rischio di non tenere a freno tensioni, irritazioni, arrabbiature. C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere, ma entrambi richiedono la giusta misura. E questo vale per tante cose, ad esempio lo stare con gli altri e lo stare da soli.

Se la persona temperante sa controllare la propria irascibilità, non per questo la vedremo perennemente con il volto pacifico e sorridente. Infatti, qualche volta è necessario indignarsi, ma sempre nella giusta maniera. Queste sono le parole: la giusta misura, la giusta maniera. Una parola di rimprovero a volte è più salutare rispetto a un silenzio acido e rancoroso. Il temperante sa che nulla è più scomodo del correggere un altro, ma sa anche che è necessario: altrimenti si offrirebbe libero campo al male. In certi casi, il temperante riesce a tenere insieme gli estremi: afferma i principi assoluti, rivendica i valori non negoziabili, ma sa anche comprendere le persone e dimostra empatia per esse. Dimostra empatia.

Il dono del temperante è dunque l’equilibrio, qualità tanto preziosa quanto rara. Tutto, infatti, nel nostro mondo spinge all’eccesso. Invece la temperanza si sposa bene con atteggiamenti evangelici quali la piccolezza, la discrezione, il nascondimento, la mitezza. Chi è temperante apprezza la stima degli altri, ma non ne fa l’unico criterio di ogni azione e di ogni parola. È sensibile, sa piangere e non se ne vergogna, ma non si piange addosso. Sconfitto, si rialza; vincitore, è capace di tornare alla vita nascosta di sempre. Non cerca gli applausi, ma sa di avere bisogno degli altri.

Fratelli e sorelle, non è vero che la temperanza rende grigi e privi di gioie. Anzi, fa gustare meglio i beni della vita: lo stare insieme a tavola, la tenerezza di certe amicizie, la confidenza con le persone sagge, lo stupore per le bellezze del creato. La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita. Preghiamo il Signore perché ci dia questo dono: il dono della maturità, della maturità dell’età, della maturità affettiva, della maturità sociale. Il dono della temperanza.

Papa Francesco