Venerdì 26 Dicembre 2025


Buon Natale!
Amore al fratello!ContattiLa Parola di DioBlog
A tutto campo


RITORNO ALL'ESSENZIALE

Messaggio di Papa Francesco

Oggi dobbiamo andare verso le periferie senza aver paura di decentrarsi perché il cristiano ha il suo centro in Gesù Cristo.
È questo l’unica via possibile per vincere il rischio, presente per tutti, anche per i cristiani, di vivere una tristezza individualista, isolata anche in mezzo a una quantità di beni di consumo, dai quali comunque tanti restano esclusi.
Tutte le persone di buona volontà devono lavorare per il ritorno all’essenziale, essenziale che per i cristiani assume una veste specifica: Gesù Cristo.

Papa Francesco al Meeting di Rimini

 

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

1° Gennaio 2017
 

La non violenza: stile di una politica per la pace

 

1. All’inizio di questo nuovo anno porgo i miei sinceri auguri di pace ai popoli e alle nazioni del mondo, ai Capi di Stato e di Governo, nonché ai responsabili delle comunità religiose e delle varie espressioni della società civile. Auguro pace ad ogni uomo, donna, bambino e bambina e prego affinché l’immagine e la somiglianza di Dio in ogni persona ci consentano di riconoscerci a vicenda come doni sacri dotati di una dignità immensa. Soprattutto nelle situazioni di conflitto, rispettiamo questa «dignità più profonda»[1] e facciamo della nonviolenza attiva il nostro stile di vita.

 

Questo è il Messaggio per la 50ª Giornata Mondiale della Pace. Nel primo, il beato Papa Paolo VI si rivolse a tutti i popoli, non solo ai cattolici, con parole inequivocabili: «E’ finalmente emerso chiarissimo che la pace è l’unica e vera linea dell’umano progresso (non le tensioni di ambiziosi nazionalismi, non le conquiste violente, non le repressioni apportatrici di falso ordine civile)». Metteva in guardia dal «pericolo di credere che le controversie internazionali non siano risolvibili per le vie della ragione, cioè delle trattative fondate sul diritto, la giustizia, l’equità, ma solo per quelle delle forze deterrenti e micidiali». Al contrario, citando la Pacem in terris del suo predecessore san Giovanni XXIII, esaltava «il senso e l’amore della pace fondata sulla verità, sulla giustizia, sulla libertà, sull’amore».[2] Colpisce l’attualità di queste parole, che oggi non sono meno importanti e pressanti di cinquant’anni fa.

 

In questa occasione desidero soffermarmi sulla nonviolenza come stile di una politica di pace e chiedo a Dio di aiutare tutti noi ad attingere alla nonviolenza nelle profondità dei nostri sentimenti e valori personali. Che siano la carità e la nonviolenza a guidare il modo in cui ci trattiamo gli uni gli altri nei rapporti interpersonali, in quelli sociali e in quelli internazionali. Quando sanno resistere alla tentazione della vendetta, le vittime della violenza possono essere i protagonisti più credibili di processi nonviolenti di costruzione della pace. Dal livello locale e quotidiano fino a quello dell’ordine mondiale, possa la nonviolenza diventare lo stile caratteristico delle nostre decisioni, delle nostre relazioni, delle nostre azioni, della politica in tutte le sue forme.

 

Un mondo frantumato

 

2. Il secolo scorso è stato devastato da due guerre mondiali micidiali, ha conosciuto la minaccia della guerra nucleare e un gran numero di altri conflitti, mentre oggi purtroppo siamo alle prese con una terribile guerra mondiale a pezzi. Non è facile sapere se il mondo attualmente sia più o meno violento di quanto lo fosse ieri, né se i moderni mezzi di comunicazione e la mobilità che caratterizza la nostra epoca ci rendano più consapevoli della violenza o più assuefatti ad essa.

 

In ogni caso, questa violenza che si esercita “a pezzi”, in modi e a livelli diversi, provoca enormi sofferenze di cui siamo ben consapevoli: guerre in diversi Paesi e continenti; terrorismo, criminalità e attacchi armati imprevedibili; gli abusi subiti dai migranti e dalle vittime della tratta; la devastazione dell’ambiente. A che scopo? La violenza permette di raggiungere obiettivi di valore duraturo? Tutto quello che ottiene non è forse di scatenare rappresaglie e spirali di conflitti letali che recano benefici solo a pochi “signori della guerra”?

 

La violenza non è la cura per il nostro mondo frantumato. Rispondere alla violenza con la violenza conduce, nella migliore delle ipotesi, a migrazioni forzate e a immani sofferenze, poiché grandi quantità di risorse sono destinate a scopi militari e sottratte alle esigenze quotidiane dei giovani, delle famiglie in difficoltà, degli anziani, dei malati, della grande maggioranza degli abitanti del mondo. Nel peggiore dei casi, può portare alla morte, fisica e spirituale, di molti, se non addirittura di tutti.

 

La Buona Notizia

 

3. Anche Gesù visse in tempi di violenza. Egli insegnò che il vero campo di battaglia, in cui si affrontano la violenza e la pace, è il cuore umano: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive» (Mc 7,21). Ma il messaggio di Cristo, di fronte a questa realtà, offre la risposta radicalmente positiva: Egli predicò instancabilmente l’amore incondizionato di Dio che accoglie e perdona e insegnò ai suoi discepoli ad amare i nemici (cfr Mt 5,44) e a porgere l’altra guancia (cfr Mt 5,39). Quando impedì a coloro che accusavano l’adultera di lapidarla (cfr Gv 8,1-11) e quando, la notte prima di morire, disse a Pietro di rimettere la spada nel fodero (cfr Mt 26,52), Gesù tracciò la via della nonviolenza, che ha percorso fino alla fine, fino alla croce, mediante la quale ha realizzato la pace e distrutto l’inimicizia (cfr Ef 2,14-16). Perciò, chi accoglie la Buona Notizia di Gesù, sa riconoscere la violenza che porta in sé e si lascia guarire dalla misericordia di Dio, diventando così a sua volta strumento di riconciliazione, secondo l’esortazione di san Francesco d’Assisi: «La pace che annunziate con la bocca, abbiatela ancor più copiosa nei vostri cuori».[3]

 

Essere veri discepoli di Gesù oggi significa aderire anche alla sua proposta di nonviolenza. Essa – come ha affermato il mio predecessore Benedetto XVI – «è realistica, perché tiene conto che nel mondo c’è troppa violenza, troppa ingiustizia, e dunque non si può superare questa situazione se non contrapponendo un di più di amore, un di più di bontà. Questo “di più” viene da Dio».[4] Ed egli aggiungeva con grande forza: «La nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità. L’amore del nemico costituisce il nucleo della “rivoluzione cristiana”».[5] Giustamente il vangelo dell’amate i vostri nemici (cfr Lc 6,27) viene considerato «la magna charta della nonviolenza cristiana»: esso non consiste «nell’arrendersi al male […] ma nel rispondere al male con il bene (cfr Rm 12,17-21), spezzando in tal modo la catena dell’ingiustizia».[6]

 

Più potente della violenza

 

4. La nonviolenza è talvolta intesa nel senso di resa, disimpegno e passività, ma in realtà non è così. Quando Madre Teresa ricevette il premio Nobel per la Pace nel 1979, dichiarò chiaramente il suo messaggio di nonviolenza attiva: «Nella nostra famiglia non abbiamo bisogno di bombe e di armi, di distruggere per portare pace, ma solo di stare insieme, di amarci gli uni gli altri […] E potremo superare tutto il male che c’è nel mondo».[7] Perché la forza delle armi è ingannevole. «Mentre i trafficanti di armi fanno il loro lavoro, ci sono i poveri operatori di pace che soltanto per aiutare una persona, un’altra, un’altra, un’altra, danno la vita»; per questi operatori di pace, Madre Teresa è «un simbolo, un’icona dei nostri tempi».[8] Nello scorso mese di settembre ho avuto la grande gioia di proclamarla Santa. Ho elogiato la sua disponibilità verso tutti attraverso «l’accoglienza e la difesa della vita umana, quella non nata e quella abbandonata e scartata. […] Si è chinata sulle persone sfinite, lasciate morire ai margini delle strade, riconoscendo la dignità che Dio aveva loro dato; ha fatto sentire la sua voce ai potenti della terra, perché riconoscessero le loro colpe dinanzi ai crimini – dinanzi ai crimini! – della povertà creata da loro stessi».[9] In risposta, la sua missione – e in questo rappresenta migliaia, anzi milioni di persone – è andare incontro alle vittime con generosità e dedizione, toccando e fasciando ogni corpo ferito, guarendo ogni vita spezzata.

 

La nonviolenza praticata con decisione e coerenza ha prodotto risultati impressionanti. I successi ottenuti dal Mahatma Gandhi e Khan Abdul Ghaffar Khan nella liberazione dell’India, e da Martin Luther King Jr contro la discriminazione razziale non saranno mai dimenticati. Le donne, in particolare, sono spesso leader di nonviolenza, come, ad esempio, Leymah Gbowee e migliaia di donne liberiane, che hanno organizzato incontri di preghiera e protesta nonviolenta (pray-ins) ottenendo negoziati di alto livello per la conclusione della seconda guerra civile in Liberia.

 

Né possiamo dimenticare il decennio epocale conclusosi con la caduta dei regimi comunisti in Europa. Le comunità cristiane hanno dato il loro contributo con la preghiera insistente e l’azione coraggiosa. Speciale influenza hanno esercitato il ministero e il magistero di san Giovanni Paolo II. Riflettendo sugli avvenimenti del 1989 nell’Enciclica Centesimus annus (1991), il mio predecessore evidenziava che un cambiamento epocale nella vita dei popoli, delle nazioni e degli Stati si realizza «mediante una lotta pacifica, che fa uso delle sole armi della verità e della giustizia».[10] Questo percorso di transizione politica verso la pace è stato reso possibile in parte «dall’impegno non violento di uomini che, mentre si sono sempre rifiutati di cedere al potere della forza, hanno saputo trovare di volta in volta forme efficaci per rendere testimonianza alla verità». E concludeva: «Che gli uomini imparino a lottare per la giustizia senza violenza, rinunciando alla lotta di classe nelle controversie interne ed alla guerra in quelle internazionali».[11]

 

La Chiesa si è impegnata per l’attuazione di strategie nonviolente di promozione della pace in molti Paesi, sollecitando persino gli attori più violenti in sforzi per costruire una pace giusta e duratura.

 

Questo impegno a favore delle vittime dell’ingiustizia e della violenza non è un patrimonio esclusivo della Chiesa Cattolica, ma è proprio di molte tradizioni religiose, per le quali «la compassione e la nonviolenza sono essenziali e indicano la via della vita».[12] Lo ribadisco con forza: «Nessuna religione è terrorista».[13] La violenza è una profanazione del nome di Dio.[14] Non stanchiamoci mai di ripeterlo: «Mai il nome di Dio può giustificare la violenza. Solo la pace è santa. Solo la pace è santa, non la guerra!».[15]

 

La radice domestica di una politica non violenta

 

5. Se l’origine da cui scaturisce la violenza è il cuore degli uomini, allora è fondamentale percorrere il sentiero della nonviolenza in primo luogo all’interno della famiglia. È una componente di quella gioia dell’amore che ho presentato nello scorso marzo nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia, a conclusione di due anni di riflessione da parte della Chiesa sul matrimonio e la famiglia. La famiglia è l’indispensabile crogiolo attraverso il quale coniugi, genitori e figli, fratelli e sorelle imparano a comunicare e a prendersi cura gli uni degli altri in modo disinteressato, e dove gli attriti o addirittura i conflitti devono essere superati non con la forza, ma con il dialogo, il rispetto, la ricerca del bene dell’altro, la misericordia e il perdono.[16] Dall’interno della famiglia la gioia dell’amore si propaga nel mondo e si irradia in tutta la società.[17] D’altronde, un’etica di fraternità e di coesistenza pacifica tra le persone e tra i popoli non può basarsi sulla logica della paura, della violenza e della chiusura, ma sulla responsabilità, sul rispetto e sul dialogo sincero. In questo senso, rivolgo un appello in favore del disarmo, nonché della proibizione e dell’abolizione delle armi nucleari: la deterrenza nucleare e la minaccia della distruzione reciproca assicurata non possono fondare questo tipo di etica.[18] Con uguale urgenza supplico che si arrestino la violenza domestica e gli abusi su donne e bambini.

 

Il Giubileo della Misericordia, conclusosi nel novembre scorso, è stato un invito a guardare nelle profondità del nostro cuore e a lasciarvi entrare la misericordia di Dio. L’anno giubilare ci ha fatto prendere coscienza di quanto numerosi e diversi siano le persone e i gruppi sociali che vengono trattati con indifferenza, sono vittime di ingiustizia e subiscono violenza. Essi fanno parte della nostra “famiglia”, sono nostri fratelli e sorelle. Per questo le politiche di nonviolenza devono cominciare tra le mura di casa per poi diffondersi all’intera famiglia umana. «L’esempio di santa Teresa di Gesù Bambino ci invita alla pratica della piccola via dell’amore, a non perdere l’opportunità di una parola gentile, di un sorriso, di qualsiasi piccolo gesto che semini pace e amicizia. Una ecologia integrale è fatta anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo».[19]

 

Il mio invito

 

6. La costruzione della pace mediante la nonviolenza attiva è elemento necessario e coerente con i continui sforzi della Chiesa per limitare l’uso della forza attraverso le norme morali, mediante la sua partecipazione ai lavori delle istituzioni internazionali e grazie al contributo competente di tanti cristiani all’elaborazione della legislazione a tutti i livelli. Gesù stesso ci offre un “manuale” di questa strategia di costruzione della pace nel cosiddetto Discorso della montagna. Le otto Beatitudini (cfr Mt 5,3-10) tracciano il profilo della persona che possiamo definire beata, buona e autentica. Beati i miti – dice Gesù –, i misericordiosi, gli operatori di pace, i puri di cuore, coloro che hanno fame e sete di giustizia.

 

Questo è anche un programma e una sfida per i leader politici e religiosi, per i responsabili delle istituzioni internazionali e i dirigenti delle imprese e dei media di tutto il mondo: applicare le Beatitudini nel modo in cui esercitano le proprie responsabilità. Una sfida a costruire la società, la comunità o l’impresa di cui sono responsabili con lo stile degli operatori di pace; a dare prova di misericordia rifiutando di scartare le persone, danneggiare l’ambiente e voler vincere ad ogni costo. Questo richiede la disponibilità «di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo».[20] Operare in questo modo significa scegliere la solidarietà come stile per fare la storia e costruire l’amicizia sociale. La nonviolenza attiva è un modo per mostrare che davvero l’unità è più potente e più feconda del conflitto. Tutto nel mondo è intimamente connesso.[21] Certo, può accadere che le differenze generino attriti: affrontiamoli in maniera costruttiva e nonviolenta, così che «le tensioni e gli opposti [possano] raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita», conservando «le preziose potenzialità delle polarità in contrasto».[22]

 

Assicuro che la Chiesa Cattolica accompagnerà ogni tentativo di costruzione della pace anche attraverso la nonviolenza attiva e creativa. Il 1° gennaio 2017 vede la luce il nuovo Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, che aiuterà la Chiesa a promuovere in modo sempre più efficace «i beni incommensurabili della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato» e della sollecitudine verso i migranti, «i bisognosi, gli ammalati e gli esclusi, gli emarginati e le vittime dei conflitti armati e delle catastrofi naturali, i carcerati, i disoccupati e le vittime di qualunque forma di schiavitù e di tortura».[23] Ogni azione in questa direzione, per quanto modesta, contribuisce a costruire un mondo libero dalla violenza, primo passo verso la giustizia e la pace.

 

In conclusione

 

7. Come da tradizione, firmo questo Messaggio l’8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria. Maria è la Regina della Pace. Alla nascita di suo Figlio, gli angeli glorificavano Dio e auguravano pace in terra agli uomini e donne di buona volontà (cfr Lc 2,14). Chiediamo alla Vergine di farci da guida.

 

«Tutti desideriamo la pace; tante persone la costruiscono ogni giorno con piccoli gesti e molti soffrono e sopportano pazientemente la fatica di tanti tentativi per costruirla».[24] Nel 2017, impegniamoci, con la preghiera e con l’azione, a diventare persone che hanno bandito dal loro cuore, dalle loro parole e dai loro gesti la violenza, e a costruire comunità nonviolente, che si prendono cura della casa comune. «Niente è impossibile se ci rivolgiamo a Dio nella preghiera. Tutti possono essere artigiani di pace».[25]

 

Dal Vaticano, 8 dicembre 2016

Francesco

 

 


[1] Esort. ap. Evangelii gaudium, 228.

[2] Messaggio per la celebrazione della 1a Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 1968.

[3] «Leggenda dei tre compagni»: Fonti Francescane, n. 1469.

[4] Angelus, 18 febbraio 2007.

[5] Ibid.

[6] Ibid.

[7] Madre Teresa, Discorso per il Premio Nobel, 11 dicembre 1979.

[8] Meditazione “La strada della pace”, Cappella della Domus Sanctae Marthae, 19 novembre 2015.

[9] Omelia per la canonizzazione della Beata Madre Teresa di Calcutta, 4 settembre 2016.

[10] N. 23.

[11] Ibid.

[12] Discorso nell’Udienza interreligiosa, 3 novembre 2016.

[13] Discorso al 3° Incontro mondiale dei movimenti popolari, 5 novembre 2016.

[14] Cfr Discorso nell’Incontro con lo Sceicco dei Musulmani del Caucaso e con Rappresentanti delle altre Comunità religiose, Baku, 2 ottobre 2016.

[15] Discorso, Assisi, 20 settembre 2016.

[16] Cfr Esort. ap. postsin. Amoris laetitia, 90-130.

[17] Cfr ibid., 133.194.234.

[18] Cfr Messaggio in occasione della Conferenza sull’impatto umanitario delle armi nucleari, 7 dicembre 2014.

[19] Enc. Laudato si’, 230.

[20] Esort. ap. Evangelii gaudium, 227.

[21] Cfr Enc. Laudato si‘, 16.117.138.

[22] Esort. ap. Evangelii gaudium, 228.

[23] Lettera apostolica in forma di “Motu proprio” con la quale si istituisce il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, 17 agosto 2016.

[24] Regina Caeli, Betlemme, 25 maggio 2014.

[25] Appello, Assisi, 20 settembre 2016.

 

 



 

Versione senza grafica
Versione PDF


<<<  Torna alla pagina precedente

Home - Cerca  
Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE, Piazza San Pietro, 17 Dicembre 2025

Udienza Generale del 17 dicembre 2025 - Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. IV. La Risurrezione di Cristo e le sfide del mondo attuale. 8. La Pasqua come approdo del cuore inquieto

Saluto del Santo Padre ai malati in Aula Paolo VI prima dell’Udienza Generale

Buongiorno a tutti! Good morning! Welcome!

Faccio un breve saluto, una benedizione per ognuno di voi.

In questa giornata volevamo difendervi un po’ dagli elementi, dal freddo soprattutto... Non sta piovendo, però così forse state un po’ più comodi. Dopo potrete seguire l’Udienza sullo schermo, o se volete potete anche uscire, però approfittiamo di questo piccolo incontro un po’ più personale, così, per salutarvi, per offrirvi la benedizione del Signore, e anche un augurio. Siamo già vicino alla festa di Natale e vogliamo chiedere al Signore che la gioia di questo tempo di Natale vi accompagni tutti: le vostre famiglie, i vostri cari, e che siate sempre nelle mani del Signore con la fiducia, con l’amore che solo Dio ci può dare.

Do la benedizione a tutti adesso, poi passo a salutarvi.

Benedizione

_____________________

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

La vita umana è caratterizzata da un movimento costante che ci spinge a fare, ad agire. Oggi si richiede ovunque rapidità nel conseguire risultati ottimali negli ambiti più svariati. In che modo la risurrezione di Gesù illumina questo tratto della nostra esperienza? Quando parteciperemo alla sua vittoria sulla morte, ci riposeremo? La fede ci dice: sì, riposeremo. Non saremo inattivi, ma entreremo nel riposo di Dio, che è pace e gioia. Ebbene, dobbiamo solo aspettare, o questo ci può cambiare fin da ora?

Siamo assorbiti da tante attività che non sempre ci rendono soddisfatti. Molte delle nostre azioni hanno a che fare con cose pratiche, concrete. Dobbiamo assumerci la responsabilità di tanti impegni, risolvere problemi, affrontare fatiche. Anche Gesù si è coinvolto con le persone e con la vita, non risparmiandosi, anzi donandosi fino alla fine. Eppure, percepiamo spesso quanto il troppo fare, invece di darci pienezza, diventi un vortice che ci stordisce, ci toglie serenità, ci impedisce di vivere al meglio ciò che è davvero importante per la nostra vita. Ci sentiamo allora stanchi, insoddisfatti: il tempo pare disperdersi in mille cose pratiche che però non risolvono il significato ultimo della nostra esistenza. A volte, alla fine di giornate piene di attività, ci sentiamo vuoti. Perché? Perché noi non siamo macchine, abbiamo un “cuore”, anzi, possiamo dire, siamo un cuore.

Il cuore è il simbolo di tutta la nostra umanità, sintesi di pensieri, sentimenti e desideri, il centro invisibile delle nostre persone. L’evangelista Matteo ci invita a riflettere sull’importanza del cuore, nel riportare questa bellissima frase di Gesù: «Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21).

È dunque nel cuore che si conserva il vero tesoro, non nelle casseforti della terra, non nei grandi investimenti finanziari, mai come oggi impazziti e ingiustamente concentrati, idolatrati al sanguinoso prezzo di milioni di vite umane e della devastazione della creazione di Dio.

È importante riflettere su questi aspetti, perché nei numerosi impegni che di continuo affrontiamo, sempre più affiora il rischio della dispersione, talvolta della disperazione, della mancanza di significato, persino in persone apparentemente di successo. Invece, leggere la vita nel segno della Pasqua, guardarla con Gesù Risorto, significa trovare l’accesso all’essenza della persona umana, al nostro cuore: cor inquietum. Con questo aggettivo “inquieto”, Sant’Agostino ci fa comprendere lo slancio dell’essere umano proteso al suo pieno compimento. La frase integrale rimanda all’inizio delle Confessioni, dove Agostino scrive: «Signore, ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto, finché non riposa in te» (I, 1,1).

L’inquietudine è il segno che il nostro cuore non si muove a caso, in modo disordinato, senza un fine o una meta, ma è orientato alla sua destinazione ultima, quella del “ritorno a casa”. E l’approdo autentico del cuore non consiste nel possesso dei beni di questo mondo, ma nel conseguire ciò che può colmarlo pienamente, ovvero l’amore di Dio, o meglio, Dio Amore. Questo tesoro, però, lo si trova solo amando il prossimo che si incontra lungo il cammino: i fratelli e le sorelle in carne e ossa, la cui presenza sollecita e interroga il nostro cuore, chiamandolo ad aprirsi e a donarsi. Il prossimo ti chiede di rallentare, di guardarlo negli occhi, a volte di cambiare programma, forse anche di cambiare direzione.

Carissimi, ecco il segreto del movimento del cuore umano: tornare alla sorgente del suo essere, godere della gioia che non viene meno, che non delude. Nessuno può vivere senza un significato che vada oltre il contingente, oltre ciò che passa. Il cuore umano non può vivere senza sperare, senza sapere di essere fatto per la pienezza, non per la mancanza.

Gesù Cristo, con la sua Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione ha dato fondamento solido a questa speranza. Il cuore inquieto non sarà deluso, se entra nel dinamismo dell’amore per cui è creato. L’approdo è certo, la vita ha vinto e in Cristo continuerà a vincere in ogni morte del quotidiano. Questa è la speranza cristiana: benediciamo e ringraziamo sempre il Signore che ce l’ha donata!

LEONE XIV