Venerdì 26 Dicembre 2025


Buon Natale!
Amore al fratello!ContattiLa Parola di DioBlog
A tutto campo


Noi, preti del Policlinico di Milano, testimoni di dolore ed eroismo

14 Marzo 2020

La solitudine di chi, contagiato, entra nell’ombra della morte senza poter avere il conforto di un familiare al capezzale. E senza poter chiamare un prete per confessarsi e fare la comunione. Lo strazio dei parenti per l’impossibilità di accompagnare la degenza e l’agonia del proprio caro. La dedizione quotidiana, eroica, dei medici e degli infermieri. «E i bambini che continuano a nascere – tanti! – alla clinica Mangiagalli e ci riempiono di gioia e di speranza». Ecco, nelle parole dei suoi cappellani, il Policlinico di Milano al tempo dell’emergenza coronavirus. Tempo di dolore. Di prova. Di fraternità che si rinnova. Tempo che mette a nudo quello che siamo davvero.

 

Qui, oggi, è atteso l’arcivescovo Mario Delpini per celebrare – alle 11 nella chiesa di San Giuseppe ai Padiglioni, una delle quattro del Policlinico – la Messa nella terza domenica di Quaresima. «L’arcivescovo di Milano è il parroco di Santa Maria Annunciata, la parrocchia dell’Ospedale Maggiore Policlinico. Qui, dunque, è di casa. E viene, pur nelle limitazioni imposte dall’emergenza sanitaria, per stare fra la sua gente, come fa ogni buon parroco. Lo accogliamo con gioia e riconoscenza. La sua presenza, per chi crede, è un segno di speranza; per chi ha altre fedi o convinzioni, è un segno di umanità, di quell’umanità che tutti ci unisce al di là di ogni differenza», spiega don Giuseppe Scalvini, rettore vicario di questa parrocchia – con i suoi quattro preti, l’ausiliaria diocesana e le sei suore di Maria Bambina – al servizio della complessa, articolata comunità del Policlinico.

 

«In questo tempo d’emergenza – incalza, al suo fianco, don Marco Gianolanon possiamo avvicinare gli ammalati, né quelli di Covid-19 né gli altri, per non essere vettori del virus. Così ci dedichiamo ai medici e agli infermieri, sottoposti a carichi di lavoro, ansie e stress che è difficile immaginare. "All’inizio sembrava un’onda, ora è arrivato lo tsunami", mi diceva un medico in questi giorni. Come preti cerchiamo di essere un segno di speranza e di prossimità nella fatica e nell’angoscia». «Quello che diamo – riprende don Scalvini – sono cose semplici: un sorriso, un saluto, un po’ di ascolto. Nel personale vediamo un eroismo che non nasce ora: qui è così ogni giorno, qui lo straordinario è ordinario, ma è questa emergenza che ora lo porta alla luce. Io vedo persone che lavorano mettendo in gioco tutta la propria umanità».

 

 

{1}

 

Per tante persone, è come essere messi nuovamente alla luce. «Un’infermiera che mi diceva di non essere molto religiosa mi ha raccontato, in lacrime, di essere entrata in chiesa, dopo turni di lavoro massacranti, giorni e notti senza riposo, e di aver affidato tutto alla Madonna. È stato come riscoprire qualcosa – Qualcuno? – che si portava dentro fin da bambina. Il dolore, a volte, può allontanarci da Dio, altre volte ci avvicina», riflette don Gianola. «A preoccupare chi lavora qui – riprende – è anche il timore di portare il virus a casa, di contagiare figli, mariti, mogli, genitori magari anziani».

 

Avvicinare i degenti, dunque, è impossibile. La pastorale ordinaria, qui come in ogni altra parrocchia, è messa in fuori gioco. «Così, la sera, passiamo sotto i padiglioni per una preghiera e una benedizione – racconta don Scalvini –. Un paio di settimane fa, quando l’emergenza era ai primi passi e – con adeguata protezione – potevamo ancora accostarci ai malati, mi ha fatto grande tenerezza un signore di 93 anni, ricoverato per coronavirus e poi deceduto, che mi ha chiamato dicendo: "Sono sereno, mi fido di Dio, ma vorrei mettere le cose a posto". E ha chiesto di confessarsi. Ma per chi è venuto dopo, non è stato più possibile».


 

«Ora ci troviamo a fare molte benedizioni in camera mortuaria – testimonia don Gianola – e a condividere lo strazio dei familiari che non hanno potuto in alcun modo accompagnare l’agonia e la morte del loro caro, né possono portarlo al cimitero con il funerale come si è sempre fatto». «Siamo di fronte a esperienze di dolore che è difficile immaginare – scandisce don Scalvini – . Per chi è uscito dalla malattia come per quanti hanno perso un familiare o un amico, credo ci vorranno grandi tempi di rielaborazione, e servirà l’aiuto e l’ascolto di sacerdoti, psicologi e altre figure competenti».

 

A dare sostegno e sollievo al cammino di degenti, familiari e lavoratori, intanto, le tre chiese rimaste aperte per la preghiera personale (la quarta, la chiesa dell’Annunciata, è chiusa come l’Università Statale della cui sede fa parte) e la Messa celebrata ogni giorno senza fedeli, ma che un’app permette di seguire sullo smartphone. Questa Quaresima al tempo del coronavirus «si offre come occasione per riscoprire l’essenziale e risvegliare il desiderio di Dio e dei sacramenti – osserva don Gianola –. Forse non daremo più per scontate la Messa e l’Eucaristia, come ben sanno tanti nostri fratelli del Terzo Mondo». «In questo dramma – conclude don Scalvini – vedo tanta dedizione, generosità, solidarietà. Vedo cose straordinarie che ci restituiscono la bellezza e la grazia della nostra umanità. E se non si è uomini e donne in pienezza, è difficile essere cristiani e diventare santi».

 

 



 

Versione senza grafica
Versione PDF


<<<  Torna alla pagina precedente

Home - Cerca  
Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE, Piazza San Pietro, 17 Dicembre 2025

Udienza Generale del 17 dicembre 2025 - Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. IV. La Risurrezione di Cristo e le sfide del mondo attuale. 8. La Pasqua come approdo del cuore inquieto

Saluto del Santo Padre ai malati in Aula Paolo VI prima dell’Udienza Generale

Buongiorno a tutti! Good morning! Welcome!

Faccio un breve saluto, una benedizione per ognuno di voi.

In questa giornata volevamo difendervi un po’ dagli elementi, dal freddo soprattutto... Non sta piovendo, però così forse state un po’ più comodi. Dopo potrete seguire l’Udienza sullo schermo, o se volete potete anche uscire, però approfittiamo di questo piccolo incontro un po’ più personale, così, per salutarvi, per offrirvi la benedizione del Signore, e anche un augurio. Siamo già vicino alla festa di Natale e vogliamo chiedere al Signore che la gioia di questo tempo di Natale vi accompagni tutti: le vostre famiglie, i vostri cari, e che siate sempre nelle mani del Signore con la fiducia, con l’amore che solo Dio ci può dare.

Do la benedizione a tutti adesso, poi passo a salutarvi.

Benedizione

_____________________

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

La vita umana è caratterizzata da un movimento costante che ci spinge a fare, ad agire. Oggi si richiede ovunque rapidità nel conseguire risultati ottimali negli ambiti più svariati. In che modo la risurrezione di Gesù illumina questo tratto della nostra esperienza? Quando parteciperemo alla sua vittoria sulla morte, ci riposeremo? La fede ci dice: sì, riposeremo. Non saremo inattivi, ma entreremo nel riposo di Dio, che è pace e gioia. Ebbene, dobbiamo solo aspettare, o questo ci può cambiare fin da ora?

Siamo assorbiti da tante attività che non sempre ci rendono soddisfatti. Molte delle nostre azioni hanno a che fare con cose pratiche, concrete. Dobbiamo assumerci la responsabilità di tanti impegni, risolvere problemi, affrontare fatiche. Anche Gesù si è coinvolto con le persone e con la vita, non risparmiandosi, anzi donandosi fino alla fine. Eppure, percepiamo spesso quanto il troppo fare, invece di darci pienezza, diventi un vortice che ci stordisce, ci toglie serenità, ci impedisce di vivere al meglio ciò che è davvero importante per la nostra vita. Ci sentiamo allora stanchi, insoddisfatti: il tempo pare disperdersi in mille cose pratiche che però non risolvono il significato ultimo della nostra esistenza. A volte, alla fine di giornate piene di attività, ci sentiamo vuoti. Perché? Perché noi non siamo macchine, abbiamo un “cuore”, anzi, possiamo dire, siamo un cuore.

Il cuore è il simbolo di tutta la nostra umanità, sintesi di pensieri, sentimenti e desideri, il centro invisibile delle nostre persone. L’evangelista Matteo ci invita a riflettere sull’importanza del cuore, nel riportare questa bellissima frase di Gesù: «Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21).

È dunque nel cuore che si conserva il vero tesoro, non nelle casseforti della terra, non nei grandi investimenti finanziari, mai come oggi impazziti e ingiustamente concentrati, idolatrati al sanguinoso prezzo di milioni di vite umane e della devastazione della creazione di Dio.

È importante riflettere su questi aspetti, perché nei numerosi impegni che di continuo affrontiamo, sempre più affiora il rischio della dispersione, talvolta della disperazione, della mancanza di significato, persino in persone apparentemente di successo. Invece, leggere la vita nel segno della Pasqua, guardarla con Gesù Risorto, significa trovare l’accesso all’essenza della persona umana, al nostro cuore: cor inquietum. Con questo aggettivo “inquieto”, Sant’Agostino ci fa comprendere lo slancio dell’essere umano proteso al suo pieno compimento. La frase integrale rimanda all’inizio delle Confessioni, dove Agostino scrive: «Signore, ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto, finché non riposa in te» (I, 1,1).

L’inquietudine è il segno che il nostro cuore non si muove a caso, in modo disordinato, senza un fine o una meta, ma è orientato alla sua destinazione ultima, quella del “ritorno a casa”. E l’approdo autentico del cuore non consiste nel possesso dei beni di questo mondo, ma nel conseguire ciò che può colmarlo pienamente, ovvero l’amore di Dio, o meglio, Dio Amore. Questo tesoro, però, lo si trova solo amando il prossimo che si incontra lungo il cammino: i fratelli e le sorelle in carne e ossa, la cui presenza sollecita e interroga il nostro cuore, chiamandolo ad aprirsi e a donarsi. Il prossimo ti chiede di rallentare, di guardarlo negli occhi, a volte di cambiare programma, forse anche di cambiare direzione.

Carissimi, ecco il segreto del movimento del cuore umano: tornare alla sorgente del suo essere, godere della gioia che non viene meno, che non delude. Nessuno può vivere senza un significato che vada oltre il contingente, oltre ciò che passa. Il cuore umano non può vivere senza sperare, senza sapere di essere fatto per la pienezza, non per la mancanza.

Gesù Cristo, con la sua Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione ha dato fondamento solido a questa speranza. Il cuore inquieto non sarà deluso, se entra nel dinamismo dell’amore per cui è creato. L’approdo è certo, la vita ha vinto e in Cristo continuerà a vincere in ogni morte del quotidiano. Questa è la speranza cristiana: benediciamo e ringraziamo sempre il Signore che ce l’ha donata!

LEONE XIV