I Cappuccini


Beato Francesco Solano Casey OFM Capp

27/11/2017 - Omelia del card. Amato

 

Riportiamo il testo dell’omelia tenuta dal card. Angelo Amato, il 18 novembre 2017 a Detroit (USA), in occasione della celebrazione eucaristica durante la quale è stato proclamato Beato il frate Minore Cappuccino Francesco Solano Casey (1870-1957).

 

Bernard Francis Casey nacque il 25 novembre del 1870 a Prescott, nel Wisconsin (USA), in una famiglia cattolica di ascendenza irlandese. Dopo aver lavorato per qualche anno, entrò nell’Ordine dei Cappuccini a Detroit in Michigan. Ordinato sacerdote nel 1904, espletò il suo apostolato in vari conventi nello stato di New York e nella stessa città, prima di essere trasferito a Detroit come portinaio, nel 1924. Nel 1931 fu nominato delegato della Seraphic Mass Association, ufficio che mantenne fino al 1955. Dopo una breve permanenza a Brooklyn (New York), fu trasferito nella comunità di Huntington (Indiana). Morì il 31 luglio 1957. Il suo corpo riposa in una cappella laterale della Chiesa cappuccina di San Bonaventura a Detroit.

 

1. La beatificazione di Padre Francis Solanus è un evento storico per la Diocesi di Detroit, per l’Ordine dei Francescani Cappuccini e per la Chiesa americana. È, infatti, la seconda beatificazione di un sacerdote nato in America, dopo quella del missionario Stanley Francis Rother, avvenuta il 23 settembre scorso a Oklahoma City. Mentre il Beato Stanley Rother morì martire in Guatemala, ucciso in odio alla fede, il Beato Francis Solanus Casey ha raggiunto la santità, qui, negli Stati Uniti d’America, salendo ogni giorno i gradini che portano all’incontro con Dio mediante l’amore verso i fratelli bisognosi. Gli altri, soprattutto i poveri, erano da lui visti non come peso o ostacolo per il suo cammino di perfezione, ma come via alla luce dello splendore divino.

 

I testimoni affermano che «amore, fede e fiducia erano i tre punti che egli sempre predicava al popolo». Fede, speranza e carità erano per lui il sigillo della Trinità nelle nostre anime. La loro pratica costituisce l’antidoto efficace per contrastare l’ateismo, la disperazione e l’odio, che inquinano la società umana. La predicazione di Padre Solanus non era annuncio sterile e disincarnato, perché era accompagnata dalla pratica concreta della fede, della speranza e della carità nella vita di tutti i giorni.

 

2. Finché c’è una scintilla di fede – egli soleva dire – non ci può essere scoraggiamento e tristezza. Provenendo fa una famiglia irlandese di profonde convinzioni cattoliche, la fede era per lui l’eredità più preziosa per affrontare le difficoltà della vita. Il senso della presenza provvidenziale di Dio era vivo non solo nei momenti formali della preghiera, della liturgia e dello studio, ma anche negli eventi feriali della sua esistenza familiare. Così, quando il giovane Bernardo Casey entrò nei Cappuccini diventando Francis Solanus, egli passò da una comunità di fede a un’altra.

 

Padre Solanus viveva di fede. La sua figura sembrava circondata da un alone soprannaturale. Pregava sempre, soprattutto davanti al tabernacolo. La preghiera era la sua costante pratica di pietà. Aveva una filiale devozione mariana e recitava con devozione il Rosario. La pratica dei sacramenti gli dava sicurezza e coraggio per il futuro.

 

La sua fede profonda gli permetteva un’accoglienza fraterna degli altri, indipendentemente dalla loro razza o religione. Rabbini e ministri di almeno sedici congregazioni protestanti lo visitavano spesso per discussioni e consiglio. Un giorno un ministro protestante chiese a Padre Solanus se avrebbe pregato per il suo figlio gravemente ammalato. «Certamente», rispose il Cappuccino: «Solo Dio può guarire il suo figliolo, ma io pregherò per lui». Il Cardinale John Dearden di Detroit notò: «Padre Solanus praticava l’ecumenismo molto prima del Vaticano II».

 

Il nostro Beato esortava, infatti, i non cattolici a vivere con autenticità la loro fede, anche se per lui il cattolicesimo era l’unica vera religione. Durante il suo apostolato a Yonkers ripeteva spesso un’affermazione paradossale pronunciata da Robert Hugh Benson, figlio dell’arcivescovo anglicano di Canterbury, convertito al cattolicesimo e diventato sacerdote e scrittore di successo: «La Chiesa Cattolica promette molto, ma per mia esperienza ella dà dieci volte di più. Se tu poni sulla bilancia la vita con il più alto successo fuori della Chiesa e la vita con il più alto insuccesso dentro la Chiesa, io sceglierei mille volte la seconda».

 

3. Padre Solanus viveva e insegnava ad avere grande confidenza in Dio e nella sua provvidenza paterna. La confidenza è l’anima del coraggio per affrontare le situazioni anche le più avverse. Era frequente sulle sue labbra la giaculatoria «Deo gratias!». Anzi egli esortava a ringraziare il Signore prima di ogni richiesta, e questo per impegnarlo di più ad esaudirla. Diceva che la confidenza in Dio genera serenità e gioia e rimuove la preoccupazione e la tristezza. La fiducia in Dio dirada l’oscurità e apre l’orizzonte della speranza nella eterna beatitudine celeste.

 

4. Padre Solanus esortava alla carità dicendo: «Dio ci ama, cerchiamo anche noi di amare Dio». Il suo apostolato sacerdotale si qualificava come pratica della carità verso il prossimo. Significativa la testimonianza di Fra Booker Ashe, Cappuccino, che aveva conosciuto il Beato negli anni ‘50: «Io sono il primo membro nero dell’Ordine Cappuccino negli Stati Uniti e penso che egli fosse avanti nel tempo per il modo con cui mi trattò. Io non avvertivo niente di razziale nel suo comportamento. Egli vedeva tutte le persone come esseri umani, immagini di Dio. Tutto il resto era secondario. Egli non prestava attenzione alla razza, al colore o al credo religioso».

 

I suoi beniamini erano i poveri, gli ammalati, gli emarginati e i senzatetto. Rimaneva anche digiuno, per donare loro il proprio pranzo. Passava ore e ore ad accogliere con pazienza, ascoltare e consigliare la gente sempre più numerosa, che si rivolgeva a lui. Praticamente la maggior parte del tempo come portiere, fu dedicata all’ascolto degli altri: dalle nove del mattino fino alle 9 di sera, quasi senza interruzione. Quando lo chiamavano mentre era a pranzo, accorreva subito dicendo: «Il cibo non è così importante come cercare di aiutare gli altri».

 

C’è un piccolo neo nella sua vita. A giudizio dei confratelli, infatti, Padre Solanus era scadente nella musica. Per questo, dopo un primo insucceso in comunità, con semplicità e umiltà, per non disturbare il prossimo, la domenica sera, si recava in cappella col suo violino e suonava canti religiosi irlandesi davanti al tabernacolo. Il Signore lo ascoltava pazientemente, perché il nostro Beato era carente in musica, ma non in virtù.

 

5. Durante la grande depressione del 1929, per venire incontro ai molti che pativano la fame, creò, con l’aiuto di benefattori, la cucina per la distribuzione gratuita della minestra ai poveri.

 

Un giorno non c’era più pane e rimaneva una lunga fila di più di duecento persone in attesa di qualcosa da mangiare. Padre Solanus si avvicinò e cominciò a recitare il Padre nostro. Dopo un poco, si sente bussare alla porta e appare il fornaio con un grosso cesto pieno di pane. Aveva anche portato un camioncino pieno di ogni ben di Dio. Quando la gente vide ciò cominciò a piangere di commozone. Padre Solanus commentò semplicemente: «Vedete, Dio provvede. Nessuno patirà privazioni se mettiamo la nostra fiducia nella Divina Provvidenza».

 

Per sostenere la sua cucina della carità andava in giro a persuadere agricoltori e compagnie a donare il cibo secondo questa intenzione. Erano, quindi, frequenti le visite alle fattorie per raccogliere i rifornimenti di cibo.

 

6. Padre Solanus rispondeva così alla parola di Gesù: «Quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). La vita del nostro Beato è una esemplare pagina evangelica, vissuta con intensità umana e cristiana. È una pagina da leggere con edificazione e commozione e da imitare con fervore.

 

Innalzando il Cappuccino Americano agli onori degli altari, Papa Francesco lo addita a tutta la Chiesa, come discepolo fedele di Cristo, buon pastore. Oggi la Chiesa e la società hanno ancora bisogno dell’esempio e dell’opere di Padre Solanus.

 

Beato Padre Solanus, prega per noi!

 

 

Sant'Angelo da Acri, Lucantonio Falcone è il nuovo santo promosso da Papa Francesco: chi è, la sua conversione e l'evangelizzazione in tutta la Calabria. Il miracolo per la canonizzazione

Sant'Angelo da Acri (Twitter)

 

È stato nominato oggi Sant’Angelo da Acri (Cosenza) tra i nuovi santi pronunciati dalla Chiesa Cattolica: sono 35 e l’unico italiano è proprio Angelo da Acri, al secolo Luca Antonio Falcone che nacque ad Acri (Cosenza) il 19 ottobre 1669.

Una figura di alto valore religioso e che nella storia della Chiesa ha rappresentato una vocazione davvero molto particolare.  La sua famiglia, molto religiosa, non contrastò il suo ingresso tra i Cappuccini, avvenuto a diciannove anni; tuttavia, pochi mesi dopo, il giovane lasciò il convento, in preda ai dubbi.

La fede e la scelta di una vita pienamente consacrato a Cristo lo aveva fatto desistere, uscendo dal seminario quando in quell’epoca era visto come un’onta e un’offesa gravissima. «Pur circondato dall’affetto della tenerissima madre, il suo cuore restava inquieto, perché i disegni di Dio su di lui erano diversi. Rientrò in convento per la terza volta: misticamente moriva Lucantonio Falcone e nasceva frate Angelo d’Acri.

A passi da gigante percorse tutte le tappe di vita religiosa che lo portarono al Sacerdozio, il 10 Aprile del 1700, nell’antica Cattedrale di Cassano allo Jonio», spiega il portale Santi e Beati, aggiornato proprio in vista della canonizzazione avvenuta oggi insieme ad altri 34 santi della Chiesa di Dio.

Dal 1702 al 1739, anno della sua morte, percorse instancabile tutta la Calabria e buona parte dell'Italia meridionale, predicando e tenendo esercizi spirituali e missioni popolari: in particolare, l’elemento davvero innovativo di Sant’Angelo da Acri fu il rapporto strettissimo con il confessionale, dove passava anche diverse ore con i suoi penitenti. Il senso del peccato e il perdono santo del Signore erano i punti cardine di questo uomo che morso dai dubbi sulla sua fede fece un lavoro di conversione incredibile che lo portò a divenire un esempio e un punto di riferimento per tanti.

 

LA CALABRIA IN FESTA

 

Dopo la cerimonia avvenuta oggi a Roma in piazza San Pietro, la Calabria intera è scoppiata in festa dalla provincia di Cosenza dove San’Angelo ha mosso i primi passi di evangelizzazione ormai trecento anni fa (ricordiamo che Papa Leone XIII lo beatificò il 18 dicembre 1825). Ad Acri un grande Santuario custodisce il suo corpo e oggi proprio in quella Chiesa si è tenuta la prima celebrazione eucaristica del Nuovo Santo alla presenza di tutto il Paese. Il parroco emozionato ha detto durante l’omelia, «questo è un giorno importante per noi, per la nostra Arcidiocesi e per la nostra comunità. Oggi il Signore ha visitato Acri», si legge nel report di Telemia.it. scene di giubilo per le strade con il riconoscimento di un’intera comunità dedita e fedele all’insegnamento di Lucantonio Falcone. Solo in Calabria, dopo la canonizzazione di Sant’Angelo da Acri, sono ben 5 i grandi santi della Chiesa: di questi, ben quattro vengono dalla provincia di Cosenza.

 

IL PAPA FA 35 NUOVI SANTI

 

Un uomo che ha predicato per oltre 40 anni con instancabile dedizione e volontà di testimoniare il Vangelo di Cristo: come spiega l’Ansa, per la sua santificazione, il Beato Angelo d’Acri è stato riconosciuto un miracolo in particolare. «La guarigione di un giovane acrense, Salvatore Palumbo, rimasto vittima di un incidente nel marzo 2010, mentre guidava un quad. Condotto all’ospedale dell’Annunziata a Cosenza, versò presto in gravi condizioni: aveva perso il controllo del mezzo e si era scontrato con un palo della linea telefonica. I parenti di Salvatore, allora, chiesero ai Cappuccini di Acri una reliquia del Beato Angelo: il cordone del suo saio fu posto accanto ai macchinari che tenevano in vita il giovane, che il giorno dopo ridiede segnali di ripresa e fu solo bisognoso di riabilitazione».

Da oggi però è ufficialmente santo e l’intera Calabria può riferirsi alla mediazione e intercessione di questo nuovo santo della Chiesa Cattolica: con lui sono stati canonizzati nella Santa Messa di Papa Francesco anche 30 martiri brasiliani e tre del Messico, oltre ad un altro prete europeo oltre Sant’Angelo da Acri, san Faustino Míguez.

 

Sant’Angelo d’Acri

 

C’è chi si vede contrastare la vocazione in famiglia e c’è chi i maggiori contrasti li incontra nel suo cuore: a quest’ultima categoria di persone appartiene Lucantonio Falcone, nato ad Acri, provincia di Cosenza, il 19 ottobre 1669.

 

La famiglia, religiosissima e di saldi principi, non si sarebbe mai sognata di contrastare la sua vocazione, ma il brutto è che Lucantonio i contrasti se li sente dentro. Quando a 15 anni incontra un cappuccino carismatico gli sembra di capire che solo tra i cappuccini potrà realizzare la sua vocazione.

 

A 19 anni prende il saio, ma pochi mesi dopo se ne torna a casa perché gli sembra di sentirsi chiamato a formare una famiglia tutta sua. Si ripente e torna in convento, ma torna a deporre il saio perché non si sente all’altezza della vocazione religiosa.

 

Non ci troviamo di fronte all’eterno indeciso o ad una vocazione fragile, ma semplicemente ad un giovane che con fatica ricerca la sua strada, certamente contrastato da colui che in seguito egli avrebbe sempre combattuto, il diavolo, che forse già prevede gli smacchi che quel cappuccino gli farà subire.

 

Torna così di nuovo in convento, questa volta per sempre. Gli cambiano il nome in fra Angelo e viene ordinato prete nel 1700: presto però lo soprannomineranno «angelo della pace» e «apostolo del Mezzogiorno». Infatti, se sulle sue spalle vengono a ricadere i pesanti e gravosi incarichi che il suo Odine gli affida, la sua “professione” principale diventa ben presto la predicazione.

 

Predica per quasi 40 anni: all’inizio come gli hanno insegnato e secondo l’uso del tempo, con ampollosità e retorica. Famosa è la predica “barocca”, preparata con tanta cura, che lo zelante predicatore impara a memoria prima di salire sul pulpito dove, appena giunto, perde subito il filo del discorso e fa scena muta, vergognandosene terribilmente.

 

Cambia allora stile, impara a parlare in modo popolare e semplice, per farsi capire anche dai “cafoni” che apprezzano la sua oratoria spontanea e si convertono in massa, tanto che quando predica «nelle case nun ci restavanu mancu li gatti».

 

Non così a Napoli, dove giunge chiamato dal cardinal Pignatelli e… “predica alle panche”, perché gli intellettuali, accorsi numerosi a sentire il famoso predicatore, rimangono delusi dalla sua oratoria scarna e senza fronzoli.

 

Uno solo intuisce il “danno” che un simile predicatore può fare e inizia a temere e boicottare padre Angelo: il demonio. Quasi anticipatore di padre Pio, padre Angelo intraprende una lunga lotta contro il maligno, ricevendone in cambio tentazioni e botte.

 

Come il santo di Pietrelcina, anche padre Angelo si ritrova con la testa fracassata, il corpo flagellato, le gambe sanguinanti dopo aver sostenuto battaglia contro il demonio, che lo chiama “straccione” e “ladro” perché gli porta via le anime che già credeva sue per sempre. E come Padre Pio, contro il demonio, oltre l’arma della preghiera e della penitenza, sfodera quella dell’umorismo.

 

Tutto contribuisce a sfinire questo predicatore e questo missionario, che se ne va il 30 ottobre 1739, poco più che settantenne. Padre Angelo fu beatificato da papa Leone XII il 18 dicembre 1825. La sua canonizzazione è stata ieri 15 ottobre 2017.

 

 

Autore: Gianpiero Pettiti



 

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Messaggio Cristiano
INCONTRO CON GLI STUDENTI IN OCCASIONE DEL GIUBILEO DEL MONDO EDUCATIVO - Aula Paolo VI, 30 ottobre 2025

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo,
La pace sia con voi!

Cari ragazzi, care ragazze, buongiorno!

Che gioia incontrarvi! Grazie a voi! Ho atteso questo momento con grande emozione: la vostra compagnia, infatti, mi fa ricordare gli anni nei quali insegnavo matematica a giovani vivaci come voi. Vi ringrazio per aver risposto così, per essere qui oggi, per condividere le riflessioni e le speranze che, attraverso di voi, consegno ai nostri amici sparsi in tutto il mondo.

Vorrei cominciare ricordando Pier Giorgio Frassati, uno studente italiano che, come sapete, è stato canonizzato durante quest’anno giubilare. Col suo animo appassionato per Dio e per il prossimo, questo giovane santo coniò due frasi che ripeteva spesso, quasi come un motto, lui diceva: “Vivere senza fede non è vivere, ma vivacchiare” e ancora: “Verso l’alto”. Sono affermazioni molto vere e incoraggianti. Anche a voi, perciò, dico: abbiate l’audacia di vivere in pienezza. Non accontentatevi delle apparenze o delle mode: un’esistenza appiattita su quel che passa non ci soddisfa mai. Invece, ognuno dica nel proprio cuore: “Sogno di più, Signore, ho voglia di più: ispirami tu!”. Questo desiderio è la vostra forza ed esprime bene l’impegno di giovani che progettano una società migliore, della quale non accettano di restare spettatori. Vi incoraggio, perciò, a tendere costantemente “verso l’alto”, accendendo il faro della speranza nelle ore buie della storia. Come sarebbe bello se un giorno la vostra generazione fosse riconosciuta come la “generazione plus”, ricordata per la marcia in più che saprete dare alla Chiesa e al mondo.

Questo, cari ragazzi, non può rimanere il sogno di una persona sola: uniamoci allora per realizzarlo, testimoniando insieme la gioia di credere in Gesù Cristo. Come possiamo riuscirci? La risposta è essenziale: attraverso l’educazione, uno degli strumenti più belli e potenti per cambiare il mondo.

L’amato Papa Francesco, cinque anni fa, ha lanciato il grande progetto del Patto Educativo Globale, e cioè un’alleanza di tutti coloro che, a vario titolo, lavorano nell’ambito dell’educazione e della cultura, per coinvolgere le giovani generazioni in una fraternità universale. Voi, infatti, non siete solo destinatari dell’educazione, ma i suoi protagonisti. Perciò oggi vi chiedo di allearvi per aprire una nuova stagione educativa, nella quale tutti — giovani e adulti — diventiamo credibili testimoni di verità e di pace. Per questo vi dico: siete chiamati a essere truth-speakers e peace-makers, persone di parola e costruttori di pace. Coinvolgete i vostri coetanei nella ricerca della verità e nella coltivazione della pace, esprimendo queste due passioni con la vostra vita, con le parole e con i gesti quotidiani.

In proposito, all’esempio di san Pier Giorgio Frassati unisco una riflessione di san John Henry Newman, un santo studioso, che presto sarà proclamato Dottore della Chiesa. Egli diceva che il sapere si moltiplica quando viene condiviso e che è nella conversazione delle menti che si accende la fiamma della verità. Così la vera pace nasce quando tante vite, come stelle, si uniscono e formano un disegno. Insieme possiamo formare costellazioni educative, che orientano il cammino futuro.

Da ex professore di matematica e fisica, permettetemi di fare con voi qualche calcolo. Avrete l’esame di matematica tra poco forse? Vediamo… Sapete quante stelle ci sono nell’universo osservabile? È un numero impressionante e meraviglioso: un sestilione di stelle – un 1 seguito da 21 zeri! Se le dividessimo tra gli 8 miliardi di abitanti della Terra, ogni uomo avrebbe per sé centinaia di miliardi di stelle. Ad occhio nudo, nelle notti limpide, possiamo scorgerne circa cinquemila. Anche se le stelle sono miliardi di miliardi, vediamo solo le costellazioni più vicine: queste però ci indicano una direzione, come quando si naviga per mare.

Da sempre i viaggiatori hanno trovato la rotta nelle stelle. I marinai seguivano la Stella Polare; i Polinesiani attraversavano l’oceano memorizzando mappe stellari. Secondo i contadini delle Ande, che ho incontrato da missionario in Perù, il cielo è un libro aperto che segna le stagioni della semina, della tosatura, dei cicli della vita. Persino i Magi hanno seguito una stella per arrivare a Betlemme ad adorare Gesù Bambino.

Come loro, anche voi avete stelle-guida: i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti, i buoni amici, bussole per non perdervi nelle vicende liete e tristi della vita. Come loro, siete chiamati a diventare a vostra volta luminosi testimoni per chi vi sta accanto. Ma, come dicevo, una stella da sola resta un punto isolato. Quando si unisce alle altre, invece, forma una costellazione, come la Croce del Sud. Così siete voi: ognuno è una stella, e insieme siete chiamati a orientare il futuro. L’educazione unisce le persone in comunità vive e organizza le idee in costellazioni di senso. Come scrive il profeta Daniele, «quelli che avranno insegnato a molti la giustizia risplenderanno come le stelle in eterno» (Dn 12,3): che meraviglia: siamo stelle, sì, perché siamo scintille di Dio. Educare significa coltivare questo dono.

L’educazione, infatti, ci insegna a guardare in alto, sempre più in alto. Quando Galileo Galilei puntò il cannocchiale al cielo, scoprì mondi nuovi: le lune di Giove, le montagne della Luna. Così è l’educazione: un cannocchiale che vi permette di guardare oltre, di scoprire ciò che da soli non vedreste. Non fermatevi, allora, a guardare lo smartphone e i suoi velocissimi frammenti d’immagini: guardate al Cielo, guardate verso l’alto.

Cari giovani, voi stessi avete suggerito la prima delle nuove sfide che ci impegnano nel nostro Patto Educativo Globale, esprimendo un desiderio forte e chiaro; avete detto: “Aiutateci nell’educazione alla vita interiore.” Sono rimasto veramente colpito da questa richiesta. Non basta avere grande scienza, se poi non sappiamo chi siamo e qual è il senso della vita. Senza silenzio, senza ascolto, senza preghiera, perfino le stelle si spengono. Possiamo conoscere molto del mondo e ignorare il nostro cuore: anche a voi sarà capitato di percepire quella sensazione di vuoto, di inquietudine che non lascia in pace. Nei casi più gravi, assistiamo a episodi di disagio, violenza, bullismo, sopraffazione, persino a giovani che si isolano e non vogliono più rapportarsi con gli altri. Penso che dietro a queste sofferenze ci sia anche il vuoto scavato da una società incapace di educare la dimensione spirituale, non solo tecnica, sociale e morale della persona umana.

Da giovane, sant’Agostino era un ragazzo brillante, ma profondamente insoddisfatto, come leggiamo nella sua autobiografia, Le Confessioni. Egli cercava dappertutto, tra carriera e piaceri, e ne combinava di tutti i colori, senza però trovare né verità né pace. Finché non ha scoperto Dio nel proprio cuore, scrivendo una frase densissima, che vale per tutti noi: «Il mio cuore è inquieto finché non riposa in Te». Ecco allora che cosa significa educare alla vita interiore: ascoltare la nostra inquietudine, non fuggirla né ingozzarla con ciò che non sazia. Il nostro desiderio d’infinito è la bussola che ci dice: “Non accontentarti, sei fatto per qualcosa di più grande”, “non vivacchiare, ma vivi”.

La seconda delle nuove sfide educative è un impegno che ci tocca ogni giorno e del quale voi siete maestri: l’educazione al digitale. Ci vivete dentro, e non è un male: ci sono opportunità enormi di studio e comunicazione. Non lasciate però che sia l’algoritmo a scrivere la vostra storia! Siate voi gli autori: usate con saggezza la tecnologia, ma non lasciate che la tecnologia usi voi.

Anche l’intelligenza artificiale è una grande novità – una delle rerum novarum, cioè delle cose nuove – del nostro tempo: non basta tuttavia essere “intelligenti” nella realtà virtuale, ma bisogna essere umani con gli altri, coltivando un’intelligenza emotiva, spirituale, sociale, ecologica. Perciò vi dico: educatevi ad umanizzare il digitale, costruendolo come uno spazio di fraternità e di creatività, non una gabbia dove rinchiudervi, non una dipendenza o una fuga. Anziché turisti della rete, siate profeti nel mondo digitale!

A questo riguardo, abbiamo davanti un attualissimo esempio di santità: San Carlo Acutis. Un ragazzo che non si è fatto schiavo della rete, usandola invece con abilità per il bene. San Carlo unì la sua bella fede alla passione per l’informatica, creando un sito sui miracoli eucaristici, e facendo così di Internet uno strumento per evangelizzare. La sua iniziativa ci insegna che il digitale è educativo quando non ci rinchiude in noi stessi, ma ci apre agli altri: quando non ti mette al centro, ma ti concentra su Dio e sugli altri.

Carissimi, arriviamo infine alla terza nuova grande sfida che oggi vi affido e che sta al cuore del nuovo Patto Educativo Globale: la educazione alla pace. Vedete bene quanto il nostro futuro venga minacciato dalla guerra e dall’odio che dividono i popoli. Questo futuro può essere cambiato? Certamente! Come? Con un’educazione alla pace disarmata e disarmante. Non basta, infatti, far tacere le armi: occorre disarmare i cuori, rinunciando a ogni violenza e volgarità. In tal modo, un’educazione disarmante e disarmata crea uguaglianza e crescita per tutti, riconoscendo l’uguale dignità di ogni ragazzo e ragazza, senza mai dividere i giovani tra pochi privilegiati che hanno accesso a scuole costosissime e tanti che non accesso all’educazione. Con grande fiducia in voi, vi invito a essere operatori di pace anzitutto lì dove vivete, in famiglia, a scuola, nello sport e tra gli amici, andando incontro a chi proviene da un’altra cultura.

Per concludere, carissimi, il vostro sguardo non sia rivolto alle stelle cadenti, cui si affidano desideri fragili. Guardate ancora più verso l’alto, verso Gesù Cristo, «il sole di giustizia» (cfr Lc 1,78), che vi guiderà sempre nei sentieri della vita.

LEONE XIV