Testimoni del nostro tempo


UNA RAGAZZA CHIAMATA CIELO (Gilda Quartini)

Il 21 agosto 1971, all’età di 15 anni, Gilda Quartini di Genova, figlia di Angela, volontaria di Dio e di Vincenzo, focolarino sposato, è partita per il paradiso ed è stata sepolta a Loppiano. Chiara (Lubich) scriverà ai genitori che Cielo è stata la prima pietra del movimento Gen.

 

Sentiamo il desiderio di ricordarla perchè la sua giovane vita ha segnato profondamente la nascente comunità del Movimento dei Focolari a Genova e pensiamo possa ancora ispirare “cose grandi” a chi non l’ha conosciuta.

 

 

Il 23 dicembre 1969 Gilda compie 14 anni. Da tempo è in contatto con le Gen  ed è anche nel mondo scout una capo delle guide. All’inizio del ’70 confida alla mamma di sentire fortemente nella sua anima il richiamo a seguire la volontà di Dio.    E’ una bella ragazzina, intelligente (compie gli studi di 1° liceo brillantemente) ma nella primavera ’70 comincia a smagrire e dopo numerosi esami, la diagnosi: carcinoma.

 

Gilda scrive a Chiara e le chiede il nome ideale. Chiara le risponde: Cielo.

 

Ripercorriamo i mesi della sua malattia attraverso stralci delle sue lettere scritte in clinica a Suor Anna, riportati in un articolo di Città Nuova del 1972/5.

 

 Stralci da un articolo sulla rivista  Città Nuova (1972/5)

 

E’ possibile oggi, in piena civiltà tecnolo­gica, avere a quindici anni una esperienza intensa di certe realtà che sembrano essere escluse dal giro degli interessi attuali: la vita spirituale, la scoperta del dolore, l’amore vis­suto in una dimensione sublime? Questi stralci di diario e di lettere di una bella ragazzina genovese, Gilda Quartini, che gli amici chia­mavano Cielo (e cosí la chiameremo anche noi), morta qualche mese fa, lo affermano in modo impressionante. Li riporteremo qui nudi e crudi, come sono, senza aggiungere altro che qualche notizia telegrafica per ambientarli nel luogo e nel momento in cui sono stati scritti.

 

1 settembre 1970: A una suora che l’assiste: “Lei mi ha fatto capire che si può passare una vita ad amare il prossimo vedendo in lui Gesú. E questo mi ha fatto tanto piacere. Essere per lei un Gesú da confortare, da me­dicare, non è bellissimo?… Forse le sarà meno difficile perdermi; giacché ha lasciato padre, madre, ecc. per seguire Dio. Spero che lui mi dia la forza di separarmi da tutto ciò che non è giusto e onesto in questa terra”.

Il 25 settembre Cielo va in pellegrinaggio a Lourdes con altri malati.

 

13 ottobre: “Ho visto tanti scouts e guide che aiutavano, e anch’io avrei voluto fare come loro, ma Gesú vuole ognuno al proprio posto, perché è al nostro posto che facciamo la volontà di Dio… (Zia Nini) mi ha detto: “Canta”. In quel momento (ero senza voce, la chitarra scordata) avrei voluto sprofondare; ma sapevo che ciò che conta è un atto di amore e per far dono di amore ai miei fra­telli, all’arcivescovo e a tutti ho preso il coraggio a due mani e ho cantato “Ama e capirai…”.

 

Igenitori Vincenzo e Angela

 

Nell’ottobre Genova è invasa dall’alluvione.

. Gran numero di giovani si prodigano nel soccorso. “In questi giorni vorrei anche io andare a spalare fango… ma non posso a mo­tivo del mio piede e perciò offro questa mia piccola sofferenza a Dio”.

In seguito alle cure, Cielo può riprendere la scuola. Ogni tanto deve interromperla per sottoporsi alle fleboclisi. Le vene si rompono sempre piú facilmente: ematomi dolorosi. Il braccio è bloccato. Ma riesce tra le prime della classe. ………

 

13 novembre: ……… Le vene quasi non si trovano più. Da un po’, Cielo ha la parrucca perché i capelli sono quasi scomparsi. Cammina claudicando, ma la massa tumorale è molto ridotta.

 

26 novembre : “Ho trovato in questi giorni che cosa offrire e che cosa chiedere per Natale. Offrirò la mia sofferenza, che continua tutti i giorni e chiederò di poter essere santificata in questo modo giacchè Gesù ci vuole tutti santi. Ieri sera a Messa mi ha colpito questa frase “qualunque cosa chiediate nella preghiera essa è già vostra, pòerchè così dovrà avvenire per voi”. Ciò mi ha riempito di gioia, mi ha fatto dimenticare tutto ciò che ho passato e mi son messa ad amare gli altri con una nuova carica….mi vien proprio da dire “ Quant’è buono il Signore con me”.

 

11 dicembre: “Come passa in fretta il tempo. Mi sembra ancora ieri quando ero in questo letto e pensavo con terrore all’indoma­ni mattina, che sarebbe poi stato il fatidico 10 luglio, giorno in cui sono entrata in clinica. Sono passati ben cinque mesi e come sono cambiata! …….

 

Il 23 dicembre Cielo compie 15 anni. Vista la persistente riduzione della massa tumorale, i medici pensano alla possibilità di un nuovo intervento.

 

12 gennaio:  Ti lascio con questa frase che mi ha sollevata parecchio:… “Io sarò in ogni vostro dolore. Io sarò in ogni vostra gioia”.

 

Cielo va a Roma in aereo per un consulto. L’operazione si farà a Roma, ma intanto ritor­na a Genova.

 

18 gennaio:  “In fondo questa mia malattia è qualcosa che mi purifica sempre di più; in fondo la cosa piú importante è amare gli altri e questa (malattia) mi aiuta a fare sempre ciò”.

 

Cielo entra in clinica a Roma dove viene operata con successo il 25 gennaio.

 

1 febbraio: L’operazione è andata bene. Avevo un po’ di paura perché sapevo che se andava male potevo salire presto in cielo, ma Gesú ha voluto che io rimanessi ancora qui, ed io sono qui al mio posto. Gli esami prima dell’operazione sono andati maluccio per le mie vene che devono aver scoperto qualche nascondiglio buono. Mi hanno bucato sia alle mani sia ai piedi ed io pensavo proprio a Gesú crocifisso e dicevo “mi manca solo la lancia nel costato, ma presto mi faranno un taglio un po’ piú giú e sarà lo stesso”. Effetti­vamente mi hanno messo in un piede un ago grosso come un chiodo, ma dopo tre giorni me l‘hanno tolto. Ora basta flebo e cliniche… . Ritorno a Genova. ……..

 

4 febbraio: “ Il dolore, per chi ha fede, ha la stessa forza dell’amore”. Cielo riprende la scuola. Fa a piedi il lungo tragitto per riadattare al cammino la gamba ancora zoppicante.

 

2 maggio: “Sono di nuovo a Villa Serena… pensavo alla Gilda di quasi un anno fa, su questo letto, con i capelli lunghi, ormai ridotti a pochi fili, il viso scarno e il corpo magro, il volto teso alla luce che veniva dalla finestra, perché se uno è nella luce è nella vita. Pensavo alla Gilda che l’estate scorsa ha dovuto “lasciar perdere” molte cose alle quali teneva e che aveva la sua morte e non la sua vita da offrire agli altri. Poco, niente, tutto? Poco per gli altri, niente per il mondo, tutto per me. …….

 

Il mondo non vuole saperne di dolore. Perciò lo sfugge; e lo dimentica, lo vuole dimenticare. Eppure il dolore ha una funzione paradossale, è il canale della felicità…

 

Il 4 maggio l’operazione: rivela un tumore della forma più maligna, diffuso in tutta la zona addominale. Non si ritiene di poterle dire subito tutta la verità. Si ritentano le cure del­l’anno precedente.

 

Fine maggio. Cielo torna a casa. Si tenta una nuova cura, ma tutti  sanno

 

 

Preghiera di Cielo (clicca sopra per  ingrandire)

 

che è inutile. Sta male, rientra in clinica. Ogni giorno sarà d’ora in poi un giorno di sofferenza. Il 23 luglio, dal Congresso internazionale Gen a Grottaferrata le mandano un telegramma, chiamandola “pie­tra viva”: Il vescovo di Mondovì dedica a Cielo la “prima pietra” di una chiesa per una stazione di sport invernali a Prato Nevoso.

 

5 agosto: Il suo addome è diventato enor­me. “Papà, è la stessa cosa dell’anno scorso?”. “ Sí”. “Quando ve ne siete accorti?”. “Duran­te l’operazione di appendicite”. “Non si può togliere nulla?” – “Solo un piccolo pezzo”. Cielo tace. Non c’è cambiamento nel suo sguardo, solo un attimo di riflessione. Di lì a poco tornerà a sorridere. ……..

 

I5 agosto: La mamma le dice che vuol vederla guarita. “Mamma, è Gesú che mi vuole così”.

 

16 agosto: “Ieri era l’Assunta. Credevo che sarei volata in cielo anch’io”.

 

Poi, i giorni seguenti, sotto l’effetto dei cal­manti, è tranquilla. Ma riesce a parlare a fatica: “Papà, sono brava?”. Il 20 agosto, il male si aggrava ancora, e il 21, alle 14,20, Cielo si spegne. Le sue ultime parole sono: “Sì, sì”.

 

Vicini di casa di casa di Angela e Vincenzo, dopo la Messa del funerale, hanno detto: “ voi siete l’ossigeno del mondo; senza di voi il mondo soffocherebbe.”

 



 

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Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE Piazza San Pietro, Mercoledì 22 ottobre 2025

Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. IV. La Risurrezione di Cristo e le sfide del mondo attuale. 2. La Risurrezione di Cristo, risposta alla tristezza dell’essere umano

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! E benvenuti tutti!

La risurrezione di Gesù Cristo è un evento che non si finisce mai di contemplare e di meditare, e più lo si approfondisce, più si resta pieni di meraviglia, si viene attratti, come da una luce insostenibile e al tempo stesso affascinante. È stata un’esplosione di vita e di gioia che ha cambiato il senso dell’intera realtà, da negativo a positivo; eppure non è avvenuta in modo eclatante, men che meno violento, ma mite, nascosto, si direbbe umile.

Oggi rifletteremo su come la risurrezione di Cristo può guarire una delle malattie del nostro tempo: la tristezza. Invasiva e diffusa, la tristezza accompagna le giornate di tante persone. Si tratta di un sentimento di precarietà, a volte di disperazione profonda che invade lo spazio interiore e che sembra prevalere su ogni slancio di gioia.

La tristezza sottrae senso e vigore alla vita, che diventa come un viaggio senza direzione e senza significato. Questo vissuto così attuale ci rimanda al celebre racconto del Vangelo di Luca (24,13-29) sui due discepoli di Emmaus. Essi, delusi e scoraggiati, se ne vanno da Gerusalemme, lasciandosi alle spalle le speranze riposte in Gesù, che è stato crocifisso e sepolto. Nelle battute iniziali, questo episodio mostra come un paradigma della tristezza umana: la fine del traguardo su cui si sono investite tante energie, la distruzione di ciò che appariva l’essenziale della propria vita. La speranza è svanita, la desolazione ha preso possesso del cuore. Tutto è imploso in brevissimo tempo, tra il venerdì e il sabato, in una drammatica successione di eventi.

Il paradosso è davvero emblematico: questo triste viaggio di sconfitta e di ritorno all’ordinario si compie lo stesso giorno della vittoria della luce, della Pasqua che si è pienamente consumata. I due uomini danno le spalle al Golgota, al terribile scenario della croce ancora impresso nei loro occhi e nel loro cuore. Tutto sembra perduto. Occorre tornare alla vita di prima, col profilo basso, sperando di non essere riconosciuti.

A un certo punto, si affianca ai due discepoli un viandante, forse uno dei tanti pellegrini che sono stati a Gerusalemme per la Pasqua. È Gesù risorto, ma loro non lo riconoscono. La tristezza annebbia il loro sguardo, cancella la promessa che il Maestro aveva fatto più volte: che sarebbe stato ucciso e che il terzo giorno sarebbe risuscitato. Lo sconosciuto si accosta e si mostra interessato alle cose che loro stanno dicendo. Il testo dice che i due «si fermarono, col volto triste» (Lc 24,17). L’aggettivo greco utilizzato descrive una tristezza integrale: sul loro viso traspare la paralisi dell’anima.

Gesù li ascolta, lascia che sfoghino la loro delusione. Poi, con grande franchezza, li rimprovera di essere «stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!» (v. 25), e attraverso le Scritture dimostra che il Cristo doveva soffrire, morire e risorgere. Nei cuori dei due discepoli si riaccende il calore della speranza, e allora, quando ormai scende la sera e arrivano alla meta, invitano il misterioso compagno a restare con loro.

Gesù accetta e siede a tavola con loro. Poi prende il pane, lo spezza e lo offre. In quel momento i due discepoli lo riconoscono… ma Lui subito sparisce dalla loro vista (vv. 30-31). Il gesto del pane spezzato riapre gli occhi del cuore, illumina di nuovo la vista annebbiata dalla disperazione. E allora tutto si chiarisce: il cammino condiviso, la parola tenera e forte, la luce della verità… Subito si riaccende la gioia, l’energia scorre di nuovo nelle membra stanche, la memoria torna a farsi grata. E i due tornano in fretta a Gerusalemme, per raccontare tutto agli altri.

“Il Signore è veramente Risorto” (cfr v. 34). In questo avverbio, veramente, si compie l’approdo certo della nostra storia di esseri umani. Non a caso è il saluto che i cristiani si scambiano nel giorno di Pasqua. Gesù non è risorto a parole, ma con i fatti, con il suo corpo che conserva i segni della passione, sigillo perenne del suo amore per noi. La vittoria della vita non è una parola vana, ma un fatto reale, concreto.

La gioia inattesa dei discepoli di Emmaus ci sia di dolce monito quando il cammino si fa duro. È il Risorto che cambia radicalmente la prospettiva, infondendo la speranza che riempie il vuoto della tristezza. Nei sentieri del cuore, il Risorto cammina con noi e per noi. Testimonia la sconfitta della morte, afferma la vittoria della vita, nonostante le tenebre del Calvario. La storia ha ancora molto da sperare in bene.

Riconoscere la Risurrezione significa cambiare sguardo sul mondo: tornare alla luce per riconoscere la Verità che ci ha salvato e ci salva. Sorelle e fratelli, restiamo vigili ogni giorno nello stupore della Pasqua di Gesù risorto. Lui solo rende possibile l’impossibile!

LEONE XIV