Testimoni del nostro tempo


Nazarena, l'ultima reclusa

Dal blog di Fabio Ciardi

 

L'ultima finestra a destra è quella della cella di sr. Nazarena
Il roseto e il Circo Massimo dalla finestra di sr. Nazarena
 
 
Dalla finestra di sr. Nazarena lo sguardo spazia sugli antichi ruderi del palazzo imperiale, la basilica di san Gregorio al Celio e quella di sant’Anastasia ai piedi del Palatino. In primo pieno il roseto di Roma e più sotto il Circo Massimo. Prima di scendere in mezzo ai giovani che attendono l’incontro con Papa Francesco, li abbraccio dall’alto, radunati nel Circo, con lo sguardo di sr. Nazarena che da quella finestra poteva contemplare tanta bellezza.
Tutto il mondo era in quella finestra e solo in quella. 
 
 
Quanto originale la storia di sr. Nazarena, l’ultima reclusa. Morta nel 1990 ha vissuto segregata nella cella per 45 anni, in completa solitudine.
Nata negli Stati Uniti, nel Connecticut, nel 1907, Julia Crotta ha avuto una vita da romanzo: studia musica, suona, compone, fino a diventare un’eccellente musicista; gioca nella squadra di pallacanestro favorita anche dall’altezza notevole; si laura in letteratura, scrive racconti… Custodisce un segreto, nella notte del venerdì santo del 1934, sente una “voce” che la chiama per nome: “Giulia!”, poi ancora “Giulia!”, fino a quando le appare Gesù che le dice: “Vieni con Me nel deserto. Sono troppo solo – vieni con Me! Non ti lascerò mai!”. Prova a confidarsi con qualche sacerdote ma nessuno le crede, la prendono per una esaltata.
 

 

L'abito di sr. Nazarena
La cella di sr. Nazarena
 
 
 
Comincia un cammino che, attraverso mille esperienze, nel 1937 la porta finalmente a Roma. Ma anche a Roma il suo cammino è irto di difficoltà, tra la mendicità e un impiego prestigioso presso l’Agenzia finanziaria alleata (gli Americani sono da poco entrati in Roma). Infine l’udienza con Pio XII al quale presenta il progetto di vita che vuole abbracciare. “Non le pare un po’ rigido?”, osserva il Papa (intanto Julia, rendendosi conto che è più alta del papa si è subito gettata in ginocchio!). “Non lo è tanto quanto io l’avrei voluto!” esclama Giulia, Allora i Santo Padre, con un sorriso: “Se lo vuole così, lo prenda pure così”.
 
 
Giulia entra nel monastero delle Camaldolesi all’Aventino, l’unica istituzione che le consente si chiudersi nella reclusione di una cella per tutta la vita, e prende il nome di Nazarena.
Visito la sua cella, con una cassapanca per letto, senza un tavolo, senza una sedia: solo uno sgabello. La sedia di vimini che adesso è lì, le fu portata soltanto poco prima che morisse. L’abito, ancora appeso nell’armadio, è di sacco. In un cassetto gli strumenti di penitenza. Una finestrina si apre sulla chiesa e una porticina dà su un terrazzino stretto stretto. Lavoro, fino a dodici ore al giorno, di intreccio delle palme, a pane e acqua… Una vita impossibile. È l’ultima reclusa.
45 anni! Ho letto la sua biografia, con le lettere che scriveva al confessore, alla badessa… Vita esteriore ridotta a zero, vita interiore tutta un mistero d’amore di Dio e di vita per la Chiesa, l’umanità: “Più mi ritiro in Dio, nel silenzio più profondo in Lui e con Lui, più mi sento… vicina a tutti; più trovo tutti; più desidero di fare i miei piccoli sforzi per aiutare tutti secondo la mia vocazione, senza che si veda qualsiasi frutto… Anche se quel dare tutto non è che un centesimo,,, Dio lo ricambia col suo tutto”.
Una vita impossibile, inimitabile. Eppure una risposta a una chiamata: “Vieni con Me nel deserto”. Una vita resa possibile per un dono carismatico: “Lo Spirito Santo è il Superiore della reclusione, e la Madonna ne è la Madre Superiora e Maestra… essere ben docile ed obbediente a Essi”.
 

 

La porta esterna della cella
 
 
 
Nel Circo Massimo Papa Francesco, rivolgendosi a 70.000 giovani, sta dicendo loro: «Non stiamo alla larga dai luoghi di sofferenza, di sconfitta, di morte». Sr. Nazarena nella sua cella sembra aver fugato tutto, a cominciare dalla famiglia, che non ha più rivisto da quanto partì dagli Stati Uniti nel 1937. Eppure di immola per redimere i luoghi di sofferenza, di sconfitta, di morte.
Nel Circo Massimo Papa Francesco spiega ai giovani: «Sì, il segreto è tutto lì, nell’essere e nel sapere di essere “amato”, “amata” da Lui, Gesù, il Signore, ci ama! E ognuno di noi, tornando a casa, metta questo nel cuore e nella mente: Gesù, il Signore, mi ama. Sono amato. Sono amata. Sentire la tenerezza di Gesù che mi ama».
Nella sua cella sr. Nazarena ha sperimentato questo amore.
 
 
 
 


 

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Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE Piazza San Pietro, Mercoledì 22 ottobre 2025

Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. IV. La Risurrezione di Cristo e le sfide del mondo attuale. 2. La Risurrezione di Cristo, risposta alla tristezza dell’essere umano

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! E benvenuti tutti!

La risurrezione di Gesù Cristo è un evento che non si finisce mai di contemplare e di meditare, e più lo si approfondisce, più si resta pieni di meraviglia, si viene attratti, come da una luce insostenibile e al tempo stesso affascinante. È stata un’esplosione di vita e di gioia che ha cambiato il senso dell’intera realtà, da negativo a positivo; eppure non è avvenuta in modo eclatante, men che meno violento, ma mite, nascosto, si direbbe umile.

Oggi rifletteremo su come la risurrezione di Cristo può guarire una delle malattie del nostro tempo: la tristezza. Invasiva e diffusa, la tristezza accompagna le giornate di tante persone. Si tratta di un sentimento di precarietà, a volte di disperazione profonda che invade lo spazio interiore e che sembra prevalere su ogni slancio di gioia.

La tristezza sottrae senso e vigore alla vita, che diventa come un viaggio senza direzione e senza significato. Questo vissuto così attuale ci rimanda al celebre racconto del Vangelo di Luca (24,13-29) sui due discepoli di Emmaus. Essi, delusi e scoraggiati, se ne vanno da Gerusalemme, lasciandosi alle spalle le speranze riposte in Gesù, che è stato crocifisso e sepolto. Nelle battute iniziali, questo episodio mostra come un paradigma della tristezza umana: la fine del traguardo su cui si sono investite tante energie, la distruzione di ciò che appariva l’essenziale della propria vita. La speranza è svanita, la desolazione ha preso possesso del cuore. Tutto è imploso in brevissimo tempo, tra il venerdì e il sabato, in una drammatica successione di eventi.

Il paradosso è davvero emblematico: questo triste viaggio di sconfitta e di ritorno all’ordinario si compie lo stesso giorno della vittoria della luce, della Pasqua che si è pienamente consumata. I due uomini danno le spalle al Golgota, al terribile scenario della croce ancora impresso nei loro occhi e nel loro cuore. Tutto sembra perduto. Occorre tornare alla vita di prima, col profilo basso, sperando di non essere riconosciuti.

A un certo punto, si affianca ai due discepoli un viandante, forse uno dei tanti pellegrini che sono stati a Gerusalemme per la Pasqua. È Gesù risorto, ma loro non lo riconoscono. La tristezza annebbia il loro sguardo, cancella la promessa che il Maestro aveva fatto più volte: che sarebbe stato ucciso e che il terzo giorno sarebbe risuscitato. Lo sconosciuto si accosta e si mostra interessato alle cose che loro stanno dicendo. Il testo dice che i due «si fermarono, col volto triste» (Lc 24,17). L’aggettivo greco utilizzato descrive una tristezza integrale: sul loro viso traspare la paralisi dell’anima.

Gesù li ascolta, lascia che sfoghino la loro delusione. Poi, con grande franchezza, li rimprovera di essere «stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!» (v. 25), e attraverso le Scritture dimostra che il Cristo doveva soffrire, morire e risorgere. Nei cuori dei due discepoli si riaccende il calore della speranza, e allora, quando ormai scende la sera e arrivano alla meta, invitano il misterioso compagno a restare con loro.

Gesù accetta e siede a tavola con loro. Poi prende il pane, lo spezza e lo offre. In quel momento i due discepoli lo riconoscono… ma Lui subito sparisce dalla loro vista (vv. 30-31). Il gesto del pane spezzato riapre gli occhi del cuore, illumina di nuovo la vista annebbiata dalla disperazione. E allora tutto si chiarisce: il cammino condiviso, la parola tenera e forte, la luce della verità… Subito si riaccende la gioia, l’energia scorre di nuovo nelle membra stanche, la memoria torna a farsi grata. E i due tornano in fretta a Gerusalemme, per raccontare tutto agli altri.

“Il Signore è veramente Risorto” (cfr v. 34). In questo avverbio, veramente, si compie l’approdo certo della nostra storia di esseri umani. Non a caso è il saluto che i cristiani si scambiano nel giorno di Pasqua. Gesù non è risorto a parole, ma con i fatti, con il suo corpo che conserva i segni della passione, sigillo perenne del suo amore per noi. La vittoria della vita non è una parola vana, ma un fatto reale, concreto.

La gioia inattesa dei discepoli di Emmaus ci sia di dolce monito quando il cammino si fa duro. È il Risorto che cambia radicalmente la prospettiva, infondendo la speranza che riempie il vuoto della tristezza. Nei sentieri del cuore, il Risorto cammina con noi e per noi. Testimonia la sconfitta della morte, afferma la vittoria della vita, nonostante le tenebre del Calvario. La storia ha ancora molto da sperare in bene.

Riconoscere la Risurrezione significa cambiare sguardo sul mondo: tornare alla luce per riconoscere la Verità che ci ha salvato e ci salva. Sorelle e fratelli, restiamo vigili ogni giorno nello stupore della Pasqua di Gesù risorto. Lui solo rende possibile l’impossibile!

LEONE XIV