Domenica 7 Dicembre 2025


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Le parole del Papa


Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo

Basilica di San Pietro - Domenica, 21 novembre 2021

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

 

Due immagini, tratte dalla Parola di Dio che abbiamo ascoltato, ci aiutano ad accostarci a Gesù Re dell’Universo. La prima, tratta dall’Apocalisse di san Giovanni e anticipata dal profeta Daniele nella prima Lettura, è descritta dalle parole: «Viene con le nubi» (Ap 1,7; Dn 7,13). Si riferisce alla venuta gloriosa di Gesù come Signore e fine della storia. La seconda immagine è quella del Vangelo: Cristo che sta davanti a Pilato e gli dice: «Io sono re» (Gv 18,37). Ci fa bene, cari giovani, fermarci a contemplare queste immagini di Gesù, mentre iniziamo il cammino verso la Giornata Mondiale del 2023 a Lisbona.

 

Soffermiamoci allora sulla prima: Gesù che viene con le nubi. È un’immagine che parla della venuta di Cristo nella gloria alla fine dei tempi: ci fa capire che l’ultima parola sulla nostra esistenza sarà di Gesù, non la nostra! Egli – dice ancora la Scrittura – è Colui che «cavalca le nubi» (Sal 68,5) e nei cieli manifesta la sua potenza (cfr ibid., v. 34-35): è cioè il Signore, il Signore che viene dall’alto e non tramonta mai, è Colui che resiste a ciò che passa, è la nostra eterna incrollabile fiducia. È il Signore. Questa profezia di speranza illumina le nostre notti. Ci dice che Dio viene, che Dio è presente, che Dio è all’opera e che Dio volge la storia verso di Lui, verso il bene. Viene “con le nubi” per rassicurarci, come a dire: “Non vi lascio soli quando la vostra vita è avvolta da nubi oscure. Io sono sempre con voi. Vengo per rischiarare e far risplendere il sereno”.

 

Il profeta Daniele, però, specifica di aver visto il Signore venire con le nubi «guardando nelle visioni notturne» (Dn 7,13). Nelle visioni notturne: cioè Dio viene nella notte, tra le nubi spesso tenebrose che si addensano sulla nostra vita. Ognuno di noi conosce questi momenti. C’è bisogno di riconoscerlo, di guardare oltre la notte, di alzare lo sguardo per vederlo in mezzo alle oscurità.

 

Cari giovani, guardare nelle visioni notturne! Cosa vuol dire questo? Avere occhi luminosi anche dentro le tenebre, non smettere di cercare la luce in mezzo alle oscurità che tante volte portiamo nel cuore e vediamo attorno a noi. Alzare lo sguardo da terra, verso l’alto, non per fuggire, ma per vincere la tentazione di rimanere stesi sui pavimenti delle nostre paure. Questo è il pericolo: che ci reggano le nostre paure. Non rimanere rinchiusi nei nostri pensieri a piangerci addosso. Alza lo sguardo, àlzati! Questo è l’invito: alza lo sguardo, àlzati! È l’invito che il Signore ci rivolge, e al quale ho voluto fare eco nel Messaggio dedicato a voi giovani per accompagnare questo anno di cammino. È il compito più arduo, ma è il compito affascinante che vi è consegnato: stare in piedi mentre tutto sembra andare a rotoli; essere sentinelle che sanno vedere la luce nelle visioni notturne; essere costruttori in mezzo alle macerie – ce ne sono tante in questo mondo di oggi, tante! –; essere capaci di sognare. E questo per me è la chiave: un giovane che non è capace di sognare, poveretto, è diventato vecchio prima del tempo! Essere capaci di sognare, perché questo fa chi sogna: non si lascia assorbire dalla notte ma accende una fiamma, accende una luce di speranza che annuncia il domani. Sognate, siate svelti e guardate al futuro con coraggio.

 

Vorrei dirvi questo: noi, noi tutti, vi siamo grati quando sognate. “Ma davvero? I giovani quando sognano a volte fanno chiasso…”. Fate chiasso, perché il vostro chiasso è il frutto dei vostri sogni. Vuol dire che non volete vivere nella notte, quando fate di Gesù il sogno della vostra vita e lo abbracciate con gioia, con un entusiasmo contagioso che ci fa bene! Grazie, grazie, quando siete capaci di portare avanti i sogni con coraggio, per quando non smettete di credere nella luce anche dentro le notti della vita, per quando vi impegnate con passione per rendere più bello e umano il nostro mondo. Grazie per quando coltivate il sogno della fraternità, per quando avete a cuore le ferite del creato, lottate per la dignità dei più deboli e diffondete lo spirito della solidarietà e della condivisione. E soprattutto grazie perché in un mondo che, appiattito sui guadagni del presente, tende a soffocare i grandi ideali, non perdete in questo mondo la capacità di sognare! Non vivere o addormentati o anestetizzati. No: sognare vivi. Questo aiuta noi adulti e la Chiesa. Sì, abbiamo bisogno anche come Chiesa di sognare, abbiamo bisogno dell’entusiasmo, abbiamo bisogno dell’ardore dei giovani per essere testimoni di Dio che è sempre giovane!

 

E vorrei dirvi un’altra cosa: tanti vostri sogni corrispondono a quelli del Vangelo. La fraternità, la solidarietà, la giustizia, la pace: sono gli stessi sogni di Gesù per l’umanità. Non abbiate paura di aprirvi all’incontro con Lui: Egli ama i vostri sogni e vi aiuta a realizzarli. Il Cardinale Martini diceva che alla Chiesa e alla società servono «sognatori che ci mantengano aperti alle sorprese dello Spirito Santo» (Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede, p. 61). Sognatori che ci mantengano aperti alle sorprese dello Spirito Santo. È bello! Vi auguro di essere tra questi sognatori!

 

Ed ora veniamo alla seconda immagine, a Gesù che dice a Pilato: “Io sono re”. Colpiscono la sua determinazione, il suo coraggio, la sua suprema libertà. È stato arrestato, viene portato nel pretorio, è interrogato da chi può condannarlo a morte. E in una circostanza del genere, avrebbe potuto lasciar prevalere un naturale diritto a difendersi, magari cercando di “aggiustare le cose”, trovando un compromesso. E invece Gesù non nasconde la propria identità, non camuffa le sue intenzioni, non approfitta di uno spiraglio di salvezza che pure Pilato lasciava aperto. No, non approfitta. Con il coraggio della verità risponde: “Io sono re”. Si prende la responsabilità della sua vita: sono venuto per una missione e vado fino in fondo per testimoniare il Regno del Padre. Dice: «Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità» (Gv 18,37). Gesù è così. È venuto senza doppiezze, per proclamare con la vita che il suo Regno è diverso da quelli del mondo, che Dio non regna per aumentare il suo potere e schiacciare gli altri; non regna con gli eserciti e con la forza. Il suo è il Regno dell’amore: “io sono re”, ma di questo regno dell’amore; “io sono re” del regno di chi dona la propria vita per la salvezza degli altri.

 

Cari giovani, attira la libertà di Gesù! Lasciamo che ci vibri dentro, che ci scuota, che susciti in noi il coraggio della verità. E noi possiamo chiederci: se fossi qui, ora, al posto di Pilato davanti a Gesù, a guardarlo negli occhi, di che cosa mi vergognerei? Davanti alla verità di Gesù, alla verità che è Gesù, quali sono le mie falsità che non stanno in piedi, le mie doppiezze che a Lui non piacciono? Ognuno di noi ne ha. Cercarle, cercarle. Tutti ne abbiamo di queste doppiezze, di questi compromessi, di questo “aggiustare le cose” perché la croce si allontani. Ci serve metterci davanti a Gesù per fare la verità in noi. Ci serve adorarlo per essere liberi dentro, per fare luce sulla vita e non lasciarci ingannare dalle mode del momento, dai fuochi d’artificio del consumismo che abbaglia e paralizza. Amici, non siamo qui per farci incantare dalle sirene del mondo, ma per prendere in mano la nostra vita, per “mordere la vita”, per viverla pienamente!

 

Così, nella libertà di Gesù troviamo anche il coraggio di andare controcorrente. E questa è una parola che vorrei sottolineare: andare controcorrente, avere il coraggio di andare controcorrente; non contro qualcuno – che è la tentazione di ogni giorno –, come fanno i vittimisti e i complottisti, che caricano la colpa sempre sugli altri; no, contro la corrente malsana del nostro io egoista, chiuso e rigido, che tante volte cerca delle cordate per sopravvivere, no, non questo. Andare controcorrente per metterci nella scia di Gesù. Egli ci insegna ad andare contro il male con la sola forza mite e umile del bene. Senza scorciatoie, senza falsità, senza doppiezze. Il nostro mondo, ferito da tanti mali, non ha bisogno di altri compromessi ambigui, di gente che va di qua e di là come le onde del mare – dove li porta il vento, dove li portano i propri interessi –, di chi sta un po’ a destra e un po’ a sinistra dopo aver fiutato che cosa conviene. Gli “equilibristi”. Un cristiano che va così, sembra essere più equilibrista che cristiano. Gli equilibristi che cercano sempre una strada per non sporcarsi le mani, per non compromettere la vita, per non giocarsi sul serio. Per favore, abbiate paura di essere giovani equilibristi. Siate liberi, siate autentici, siate coscienza critica della società. Non avere paura di criticare! Noi abbiamo bisogno delle vostre critiche. Tanti di voi stanno criticando, per esempio, contro l’inquinamento ambientale. Abbiamo bisogno di questo! Siate liberi nelle critiche. Abbiate la passione della verità, perché con i vostri sogni possiate dire: la mia vita non è schiava delle logiche di questo mondo, perché regno con Gesù per la giustizia, per l’amore e la pace! Cari giovani, vi auguro che ciascuno di voi possa sentire la gioia di dire: “Con Gesù anch’io sono re”. Sono re: sono un segno vivente dell’amore di Dio, della sua compassione e della sua tenerezza. Sono un sognatore abbagliato dalla luce del Vangelo e guardo con speranza nelle visioni notturne. E quando cado, ritrovo in Gesù il coraggio di lottare e sperare, il coraggio di tornare a sognare. Ad ogni età della vita.



 

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CATECHESI DEL SANTO PADRE LEONE XIV

Catechesi. 10. Sperare è partecipare – Alberto Marvelli

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

Siamo da poco entrati nel periodo liturgico dell’Avvento, che ci educa all’attenzione ai segni dei tempi. Noi infatti ricordiamo la prima venuta di Gesù, il Dio con noi, per imparare a riconoscerlo ogni volta che viene e per prepararci a quando tornerà. Allora saremo per sempre insieme. Insieme con Lui, con tutti i nostri fratelli sorelle, con ogni altra creatura, in questo mondo finalmente redento: la nuova creazione.

Questa attesa non è passiva. Infatti, il Natale di Gesù ci rivela un Dio coinvolgente: Maria, Giuseppe, i pastori, Simeone, Anna, e più avanti Giovanni Battista, i discepoli e tutti coloro che incontrano il Signore sono coinvolti, sono chiamati a partecipare. È un onore grande, e che vertigine! Dio ci coinvolge nella sua storia, nei suoi sogni. Sperare, allora, è partecipare. Il motto del Giubileo, “Pellegrini di speranza”, non è uno slogan che tra un mese passerà! È un programma di vita: “pellegrini di speranza” vuol dire gente che cammina e che attende, non però con le mani in mano, ma partecipando.

Il Concilio Vaticano II ci ha insegnato a leggere i segni dei tempi: ci dice che nessuno riesce a farlo da solo, ma insieme, nella Chiesa e con tanti fratelli e sorelle, si leggono i segni dei tempi. Sono segni di Dio, di Dio che viene col suo Regno, attraverso le circostanze storiche. Dio non è fuori dal mondo, fuori da questa vita: abbiamo imparato nella prima venuta di Gesù, Dio-con-noi, a cercarlo fra le realtà della vita. Cercarlo con intelligenza, cuore e maniche rimboccate! E il Concilio ha detto che questa missione è in modo particolare dei fedeli laici, uomini e donne, perché il Dio che si è incarnato ci viene incontro nelle situazioni di ogni giorno. Nei problemi e nelle bellezze del mondo, Gesù ci aspetta e ci coinvolge, ci chiede che operiamo con Lui. Ecco perché sperare è partecipare!

Oggi vorrei ricordare un nome: quello di Alberto Marvelli, giovane italiano vissuto nella prima metà del secolo scorso. Educato in famiglia secondo il Vangelo, formatosi nell’Azione Cattolica, si laurea in ingegneria e si affaccia alla vita sociale al tempo della seconda guerra mondiale, che lui condanna fermamente. A Rimini e dintorni si impegna con tutte le forze a soccorrere i feriti, i malati, gli sfollati. Tanti lo ammirano per questa sua dedizione disinteressata e, dopo la guerra, viene eletto assessore e incaricato della commissione per gli alloggi e per la ricostruzione. Così entra nella vita politica attiva, ma proprio mentre si reca in bicicletta a un comizio viene investito da un camion militare. Aveva 28 anni. Alberto ci mostra che sperare è partecipare, che servire il Regno di Dio dà gioia anche in mezzo a grandi rischi. Il mondo diventa migliore, se noi perdiamo un po’ di sicurezza e di tranquillità per scegliere il bene. Questo è partecipare.

Chiediamoci: sto partecipando a qualche iniziativa buona, che impegna i miei talenti? Ho l’orizzonte e il respiro del Regno di Dio, quando faccio qualche servizio? Oppure lo faccio brontolando, lamentandomi che tutto va male? Il sorriso sulle labbra è il segno della grazia in noi.

Sperare è partecipare: questo è un dono che Dio ci fa. Nessuno salva il mondo da solo. E neanche Dio vuole salvarlo da solo: Lui potrebbe, ma non vuole, perché insieme è meglio. Partecipare ci fa esprimere e rende più nostro ciò che alla fine contempleremo per sempre, quando Gesù definitivamente tornerà.