Giovedì 21 Settembre 2023
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A tu per tu


Pensieri

Ogni azione cristiana è vera se è vissuta nell’Amore Reciproco; e questo diventa realtà se entrambi ci accettiamo così come siamo e come Dio ci ha sempre accettati. Personalmente sono pienamente d’accordo con te; spero che anche tu lo sia con me!

 

Mi spiego con una similitudine, per capire meglio l’importanza di questa realtà. Nell’OUBANGUI CHARI, all’inizio della mia attività missionaria 65 anni fa, il lavoro del fabbro era frenetico e lo rendeva il più ricco banchiere del paese. Si chiamava “Zo ti ndao”, in lingua sango. Ti spiego perché e insieme capiremo come il suo lavoro possa essere di esempio anche per la nostra Vita Spirituale, la sola realtà che porteremo con noi all’Incontro Finale!

 

Da sempre le pietre “ferrose” si trovavano in luoghi appartati, che solo gli anziani conoscevano e si tramandavano da generazioni. Gli adolescenti, con le informazioni date dai loro padri, andavano in alcuni ripostigli “ferrosi”, per preparare la dote alle loro spose. 

Trasformare quelle pietre era un lavoro difficile, ma necessario … Al tempo fissato, l’adolescente andava dall’addetto a fondere il pietrame ferroso in “liquido” e quindi in “lari”, che diventavano la moneta corrente di allora.

In genere, in ogni mercato paesano ogni merce era “barattata” con un'altra oppure, all’occasione, si scambiava con i cosiddetti “lari”, che avevano acquistato il valore di denaro – sotto forma di piastre di ferro, di 1 cm di larghezza e 4 di altezza, lunghi circa il palmo di una mano …

 

Per fondere le pietre ferrose era necessaria una tecnica che pochi conoscevano. Occorreva anzitutto un cono alto un metro o poco più, fatto di buona argilla, con lo spessore di cinque cm e il diametro di settanta/ottanta cm. In fondo al cono si trovavano tre aperture con altrettanti “soffietti”, che si mettevano in funzione quando il cono era pieno di carbone e di pietre ferrose.

Quando tutto era pronto, il responsabile di questa specie di “altoforno” dava fuoco ad uno strato di legna minuta, sotto il primo strato di carbone, sul quale, a intervalli, erano posti altri strati di pietre e carbone. All’inizio i soffietti si mettevano in moto lentamente, ma poi, per il forte calore, le pietre si fondevano e dai piccoli fori usciva il liquido da utilizzare per i “lari”. L’adolescente, per pagare il lavoro dell’ ”altoforno”, lavorava nei campi del proprietario per una stagione.

 

Caro mio amico e fratello, quello che ho detto sopra mi sembra sia sufficiente per fare un bel salto di qualità e aiutarci a risolvere la situazione in cui si trova la nostra Vita Spirituale e Soprannaturale.

Infatti, di pietrame ferroso ne abbiamo a volontà, essendo frutto dei nostri egoismi che, sempre pronti a scatenarsi, ne producono a bizzeffe! La loro presenza toglie pace e serenità all’anima, che per riaverla deve fare un viavai verso l’Altoforno del Buon Dio … “ricco in misericordia”. Lui soltanto sa cambiare tutto in preziosi “lari”, soldi nuovi di zecca, utilissimi a pagare il Dazio per entrare nella Casa Paterna!

Però è necessario riconoscere il proprio torto, chiedere perdono a Dio, che sa bene il male che abbiamo fatto, e proseguire con il fermo proposito di non farlo più … riconciliandosi tramite l’incaricato di Dio, il sacerdote.

 

Dio è “ricco in misericordia” verso chi riconosce il suo male e promette di non peccare più. Al sacerdote interessa che il penitente dia segno di contrizione. Nessuno può “barare” con Dio che sa tutto di noi … . In caso di ricaduta, dobbiamo rifare il cammino di riconciliazione e … ricominciare sempre sulla buona strada!

A Dio piace che noi facciamo gesti di umiltà, per diventare veri “bambini del Regno” e renderci “credibili” ovunque, davanti a tutti.

 

Con il fuoco le molteplici “scorie” sono bruciate e scompaiono, mentre il vero metallo salta fuori, pronto per essere utilizzato … specie per il cemento armato, che dà solidità ad ogni costruzione.

 

Riconosco di non avere tempo da perdere. Devo meditare sul FUOCO - il Buon Dio - che da sempre mi ama ed è a mia disposizione, per togliere tutte le scorie con cui quotidianamente il mio egoismo mi investe e mi contamina.

 


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Messaggio Cristiano
Udienza generale, 2O Settembre

Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 21. San Daniele Comboni, apostolo per l’Africa e profeta della missione

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel cammino di catechesi sulla passione evangelizzatrice, cioè lo zelo apostolico, oggi ci soffermiamo oggi sulla testimonianza di San Daniele Comboni. Egli è stato un apostolo pieno di zelo per l’Africa. Di quei popoli scrisse: «si sono impadroniti del mio cuore che vive soltanto per loro» (Scritti, 941), «morirò con l’Africa sulle mie labbra» (Scritti, 1441). È bello! … E a loro si rivolse così: «il più felice dei miei giorni sarà quello in cui potrò dare la vita per voi» (Scritti, 3159). Questa è l’espressione di una persona innamorata di Dio e dei fratelli che serviva in missione, a proposito dei quali non si stancava di ricordare che «Gesù Cristo patì e morì anche per loro» (Scritti, 2499; 4801).

Lo affermava in un contesto caratterizzato dall’orrore della schiavitù, di cui era testimone. La schiavitù “cosifica” l’uomo, il cui valore si riduce all’essere utile a qualcuno o a qualcosa. Ma Gesù, Dio fatto uomo, ha elevato la dignità di ogni essere umano e ha smascherato la falsità di ogni schiavitù. Comboni, alla luce di Cristo, prese consapevolezza del male della schiavitù; capì, inoltre, che la schiavitù sociale si radica in una schiavitù più profonda, quella del cuore, quella del peccato, dalla quale il Signore ci libera. Da cristiani, dunque, siamo chiamati a combattere contro ogni forma di schiavitù. Purtroppo, però, la schiavitù, così come il colonialismo, non è un ricordo del passato, purtroppo. Nell’Africa tanto amata da Comboni, oggi dilaniata da molti conflitti, «dopo quello politico, si è scatenato (…) un “colonialismo economico”, altrettanto schiavizzante (…). È un dramma davanti al quale il mondo economicamente più progredito chiude spesso gli occhi, le orecchie e la bocca». Rinnovo dunque il mio appello: «Basta soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare» (Incontro con le Autorità, Kinshasa, 31 gennaio 2023).

E torniamo alla vicenda di San Daniele. Trascorso un primo periodo in Africa, dovette lasciare la missione per motivi di salute. Troppi missionari erano morti dopo aver contratto malattie, complice la poca conoscenza della realtà locale. Tuttavia, se altri abbandonavano l’Africa, non così Comboni. Dopo un tempo di discernimento, avvertì che il Signore gli ispirava una nuova via di evangelizzazione, che lui sintetizzò in queste parole: «Salvare l’Africa con l’Africa» (Scritti, 2741s). È un’intuizione potente, niente di colonialismo, in questo: è un’intuizione potente che contribuì a rinnovare l’impegno missionario: le persone evangelizzate non erano solo “oggetti”, ma “soggetti” della missione. E San Daniele Comboni desiderava rendere tutti i cristiani protagonisti dell’azione evangelizzatrice. E con quest’animo pensò e agì in modo integrale, coinvolgendo il clero locale e promuovendo il servizio laicale dei catechisti. I catechisti sono un tesoro della Chiesa: i catechisti sono coloro che vanno avanti nell’evangelizzazione. Concepì così anche lo sviluppo umano, curando le arti e le professioni, favorendo il ruolo della famiglia e della donna nella trasformazione della cultura e della società. E quanto è importante, anche oggi, far progredire la fede e lo sviluppo umano dall’interno dei contesti di missione, anziché trapiantarvi modelli esterni o limitarsi a uno sterile assistenzialismo! Né modelli esterni né assistenzialismo. Prendere dalla cultura dei popoli la strada per fare l’evangelizzazione. Evangelizzare la cultura e inculturare il Vangelo: vanno insieme.

La grande passione missionaria di Comboni, tuttavia, non è stata principalmente frutto di impegno umano: egli non fu spinto dal suo coraggio o motivato solo da valori importanti, come la libertà, la giustizia e la pace; il suo zelo è nato dalla gioia del Vangelo, attingeva all’amore di Cristo e portava all’amore per Cristo! San Daniele scrisse: «Una missione così ardua e laboriosa come la nostra non può vivere di patina, di soggetti dal collo storto pieni di egoismo e di sé stessi, che non curano come si deve la salute e conversione delle anime». Questo è il dramma del clericalismo, che porta i cristiani, anche i laici, a clericalizzarsi e a trasformarli – come dice qui – in soggetti dal collo storto pieni di egoismo. Questa è la peste del clericalismo. E aggiunse: «bisogna accenderli di carità, che abbia la sua sorgente da Dio, e dall’amore di Cristo; e quando si ama davvero Cristo, allora sono dolcezze le privazioni, i patimenti e il martirio» (Scritti, 6656). Il suo desiderio era quello di vedere missionari ardenti, gioiosi, impegnati: missionari – scrisse – «santi e capaci. […] Primo: santi, cioè alieni dal peccato e umili. Ma non basta: ci vuole carità che fa capaci i soggetti» (Scritti, 6655). La fonte della capacità missionaria, per Comboni, è dunque la carità, in particolare lo zelo nel fare proprie le sofferenze altrui.

La sua passione evangelizzatrice, inoltre, non lo portò mai ad agire da solista, ma sempre in comunione, nella Chiesa. «Io non ho che la vita da consacrare alla salute di quelle anime – scrisse – ne vorrei avere mille per consumarle a tale scopo» (Scritti, 2271).

Fratelli e sorelle, San Daniele testimonia l’amore del buon Pastore, che va a cercare chi è perduto e dà la vita per il gregge. Il suo zelo è stato energico e profetico nell’opporsi all’indifferenza e all’esclusione. Nelle lettere richiamava accoratamente la sua amata Chiesa, che per troppo tempo aveva dimenticato l’Africa. Il sogno di Comboni è una Chiesa che fa causa comune con i crocifissi della storia, per sperimentare con loro la risurrezione. Io, in questo momento, vi do un suggerimento. Pensate ai crocifissi della storia di oggi: uomini, donne, bambini, vecchi che sono crocifissi da storie di ingiustizia e di dominazione. Pensiamo a loro e preghiamo. La sua testimonianza sembra ripetere a tutti noi, uomini e donne di Chiesa: “Non dimenticate i poveri, amateli, perché in loro è presente Gesù crocifisso, in attesa di risorgere”. Non dimenticate i poveri: prima di venire qui, ho avuto una riunione con legislatori brasiliani che lavorano per i poveri, che cercano di promuovere i poveri con l’assistenza e la giustizia sociale. E loro non dimenticano i poveri: lavorano per i poveri. A voi dico: non dimenticatevi dei poveri, perché saranno loro ad aprirvi la porta del Cielo.

Papa Francesco