Venerdì 26 Dicembre 2025


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A tutto campo


Savona dal colle dei Cappuccini

Mi è capitata tra le mani l'antologia critica di poesie e prose di Giuseppe Cava, intitolata: "Te veuggio ben Savonn-a"....

              Dopo tanti anni sono risalito ai Cappuccini. 76 metri circa sul livello del mare non sono l´Himalaia: pure una fatica dura e improba per i miei mezzi di locomozione. M´ha agevolato l´autobus di servizio alla Villetta. Ne ho avuto un compenso immenso di bellezza e di commozione. Un rapimento estatico, che di sullo stretto sacrato della chiesetta del convento, mi ha penetrato l´animo con l´incanto dello sconfinato spazio di cielo, di mare e di monti di cui i miei occhi si beavano avidamente insazi.

 

            Altre volte quassù ho invidiato ai modesti figli di San Francesco quest´eremo felice. In cospetto della circostante bellezza, della quale si ha l´impressione di essere il centro, la rinuncia al secolo e la povertà a cui volontariamente si costringono, non mi sono sembrate tanto dure. Dominano, spaziano, s´elevano verso quel cielo invocato nelle loro preghiere, clemente ai mortali che vivon giù ai loro piedi, schiavi dei muri e privati della infinita allegrezza della natura sparsa sul mondo, e dagli spettacoli immensi di luce e di colore ch´essa inscena e cangia di continuo, capricciosamente e superbamente incantatrice.

 

            Vista di là la città, di cui andiamo orgogliosi, sembra un grigio agglomerato di tetti accavallati, simili a un´ondata di lava rappresa e ancor fumigante dai mille comignoli ai piedi del colle. Una delusione, un formicaio in perpetua peregrinazione da una tana all´altra.

 

              Un tempo per raggiungere la cima del colle, dopo l´erta faticosa della Tagliata (ora con appropriato pensiero denominata Via Monte Grappa) si procedeva per strade incassate tra i muri di cinta dei giardini e degli orti. Oggi le case si sono arrampicate sino ai piedi della Croce, di dove comincia la breve salita alberata, che conduce al convento. Ancora qualche decennio, eppoi il convento si troverà dentro una cerchia di costruzioni. L´eremo diverrà prigioniero dell´abitato. L´assalto di Satana alla serafica vita contemplativa dei fratelli.

 

            Il bel colle soffuso di poesia e misticismo verrà sommerso, e il superbo panorama che vi si offre allo sguardo e che ha limiti soltanto nella potenza visiva, diverrà ostacolato dai tetti e dai muri delle case. Salendo quassù non avremo più il conforto di poter evadere per qualche ora dalla schiavitù dei muri che rendon l´uomo più piccino e più misero di quanto è nato. Non vi sarà differenza che nell´altimetria, come in certe città dell´Umbria e delle Marche fabbricate sui cocuzzoli delle colline.

 

            E allora tutto qui intorno diverrà piatto, grigio, convenzionale, artificioso.

            Come ai piedi del colle nella fabbricata distesa di cui siamo orgogliosi.

 

Da "Vecchia Savona", Marco Sabatelli Editore, 1967 e 1971 

 

 

 

 

 

Mi è capitata per caso tra le mani l´antologia critica di poesie e prose di Giuseppe Cava, intitolata: "Te veuggio ben Savonn-a". Naturalmente ho letto lo scritto: "Savona dal colle dei Cappuccini",  che mi ha fatto ritornare al 1944-46 quando, giovane frate, con una trentina di confratelli, seguivo il corso di filosofia.

Non conosco la data precisa in cui Giuseppe Cava ha dato alle stampe la sua opera (era deceduto pochi anni prima, nel ´40). Posso aggiungere però quanto segue.

La "Villetta" allora era veramente una "villetta", una distesa di orti, e le abitazioni cominciavano all´inizio superiore di Via Monte Grappa. In quel triennio di fine guerra, i Tedeschi, che risiedevano alle "NINFE"  - sulle alture soprastanti i Cappuccini   - avevano i loro cannocchiali puntati sulle montagne al di là di Valleggia e sovente mettevano in azione i loro cannoni a lunga gettata, per impaurire i partigiani che vi si trovavano.

Pure ad est dei Cappuccini, verso Valloria, erano poche le abitazioni, fino ad arrivare alle "Rondinine" per la vecchia strada di Loreto.

 

Siamo nel 2011 e sento di poter affermare che quanto è stato detto da Giuseppe Cava si è avverato: "Ancora qualche decennio, eppoi il convento si troverà dentro una cerchia di costruzioni. L´eremo diverrà prigioniero dell´abitato"… ma non del tutto! Qualcosa di "sacro", di "intimo e di eremitico" è rimasto e i cappuccini sempre più cercano di valorizzare i quattro ettari di terreno a bosco e ad uliveto, che circonda l´abitazione dei frati. La gente viene sempre più numerosa per cercare tranquillità e silenzio, per calmare lo stress della vita convulsa, che si svolge nelle strade e nei vicoli della sottostante città.

 

Se un tempo che fu, i cappuccini erano a servizio della gente desiderosa di ricevere i sacramenti della fede cristiana, oggi essi si tengono specialmente a disposizione di tutti, per ascoltare e rispondere ai quesiti, personali e familiari. Nel suggestivo parco c´è questa possibilità, sia rimanendo seduti che passeggiando.

 

                                                                      L'Ex



 

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Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE, Piazza San Pietro, 17 Dicembre 2025

Udienza Generale del 17 dicembre 2025 - Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. IV. La Risurrezione di Cristo e le sfide del mondo attuale. 8. La Pasqua come approdo del cuore inquieto

Saluto del Santo Padre ai malati in Aula Paolo VI prima dell’Udienza Generale

Buongiorno a tutti! Good morning! Welcome!

Faccio un breve saluto, una benedizione per ognuno di voi.

In questa giornata volevamo difendervi un po’ dagli elementi, dal freddo soprattutto... Non sta piovendo, però così forse state un po’ più comodi. Dopo potrete seguire l’Udienza sullo schermo, o se volete potete anche uscire, però approfittiamo di questo piccolo incontro un po’ più personale, così, per salutarvi, per offrirvi la benedizione del Signore, e anche un augurio. Siamo già vicino alla festa di Natale e vogliamo chiedere al Signore che la gioia di questo tempo di Natale vi accompagni tutti: le vostre famiglie, i vostri cari, e che siate sempre nelle mani del Signore con la fiducia, con l’amore che solo Dio ci può dare.

Do la benedizione a tutti adesso, poi passo a salutarvi.

Benedizione

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

La vita umana è caratterizzata da un movimento costante che ci spinge a fare, ad agire. Oggi si richiede ovunque rapidità nel conseguire risultati ottimali negli ambiti più svariati. In che modo la risurrezione di Gesù illumina questo tratto della nostra esperienza? Quando parteciperemo alla sua vittoria sulla morte, ci riposeremo? La fede ci dice: sì, riposeremo. Non saremo inattivi, ma entreremo nel riposo di Dio, che è pace e gioia. Ebbene, dobbiamo solo aspettare, o questo ci può cambiare fin da ora?

Siamo assorbiti da tante attività che non sempre ci rendono soddisfatti. Molte delle nostre azioni hanno a che fare con cose pratiche, concrete. Dobbiamo assumerci la responsabilità di tanti impegni, risolvere problemi, affrontare fatiche. Anche Gesù si è coinvolto con le persone e con la vita, non risparmiandosi, anzi donandosi fino alla fine. Eppure, percepiamo spesso quanto il troppo fare, invece di darci pienezza, diventi un vortice che ci stordisce, ci toglie serenità, ci impedisce di vivere al meglio ciò che è davvero importante per la nostra vita. Ci sentiamo allora stanchi, insoddisfatti: il tempo pare disperdersi in mille cose pratiche che però non risolvono il significato ultimo della nostra esistenza. A volte, alla fine di giornate piene di attività, ci sentiamo vuoti. Perché? Perché noi non siamo macchine, abbiamo un “cuore”, anzi, possiamo dire, siamo un cuore.

Il cuore è il simbolo di tutta la nostra umanità, sintesi di pensieri, sentimenti e desideri, il centro invisibile delle nostre persone. L’evangelista Matteo ci invita a riflettere sull’importanza del cuore, nel riportare questa bellissima frase di Gesù: «Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21).

È dunque nel cuore che si conserva il vero tesoro, non nelle casseforti della terra, non nei grandi investimenti finanziari, mai come oggi impazziti e ingiustamente concentrati, idolatrati al sanguinoso prezzo di milioni di vite umane e della devastazione della creazione di Dio.

È importante riflettere su questi aspetti, perché nei numerosi impegni che di continuo affrontiamo, sempre più affiora il rischio della dispersione, talvolta della disperazione, della mancanza di significato, persino in persone apparentemente di successo. Invece, leggere la vita nel segno della Pasqua, guardarla con Gesù Risorto, significa trovare l’accesso all’essenza della persona umana, al nostro cuore: cor inquietum. Con questo aggettivo “inquieto”, Sant’Agostino ci fa comprendere lo slancio dell’essere umano proteso al suo pieno compimento. La frase integrale rimanda all’inizio delle Confessioni, dove Agostino scrive: «Signore, ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto, finché non riposa in te» (I, 1,1).

L’inquietudine è il segno che il nostro cuore non si muove a caso, in modo disordinato, senza un fine o una meta, ma è orientato alla sua destinazione ultima, quella del “ritorno a casa”. E l’approdo autentico del cuore non consiste nel possesso dei beni di questo mondo, ma nel conseguire ciò che può colmarlo pienamente, ovvero l’amore di Dio, o meglio, Dio Amore. Questo tesoro, però, lo si trova solo amando il prossimo che si incontra lungo il cammino: i fratelli e le sorelle in carne e ossa, la cui presenza sollecita e interroga il nostro cuore, chiamandolo ad aprirsi e a donarsi. Il prossimo ti chiede di rallentare, di guardarlo negli occhi, a volte di cambiare programma, forse anche di cambiare direzione.

Carissimi, ecco il segreto del movimento del cuore umano: tornare alla sorgente del suo essere, godere della gioia che non viene meno, che non delude. Nessuno può vivere senza un significato che vada oltre il contingente, oltre ciò che passa. Il cuore umano non può vivere senza sperare, senza sapere di essere fatto per la pienezza, non per la mancanza.

Gesù Cristo, con la sua Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione ha dato fondamento solido a questa speranza. Il cuore inquieto non sarà deluso, se entra nel dinamismo dell’amore per cui è creato. L’approdo è certo, la vita ha vinto e in Cristo continuerà a vincere in ogni morte del quotidiano. Questa è la speranza cristiana: benediciamo e ringraziamo sempre il Signore che ce l’ha donata!

LEONE XIV