Sabato 27 Aprile 2024
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Le parole del Papa


FESTA DEL BATTESIMO DEL SIGNORE E BATTESIMO DI ALCUNI BAMBINI

Cappella Sistina, Domenica 7 gennaio 2018

 
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO  

 

Cari genitori,

voi portate al Battesimo i vostri figli, e questo è il primo passo per quel compito che voi avete, il compito della trasmissione della fede.

 

Ma noi abbiamo bisogno dello Spirito Santo per trasmettere la fede, da soli non possiamo. Poter trasmettere la fede è una grazia dello Spirito Santo, la possibilità di trasmetterla; ed è per questo che voi portate qui i vostri figli, perché ricevano lo Spirito Santo, ricevano la Trinità – il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo – che abiterà nei loro cuori.

 

Vorrei dirvi una cosa soltanto, che riguarda voi: la trasmissione della fede si può fare soltanto “in dialetto”, nel dialetto della famiglia, nel dialetto di papà e mamma, di nonno e nonna. Poi verranno i catechisti a sviluppare questa prima trasmissione, con idee, con spiegazioni… Ma non dimenticatevi questo: si fa “in dialetto”, e se manca il dialetto, se a casa non si parla fra i genitori quella lingua dell’amore, la trasmissione non è tanto facile, non si potrà fare. Non dimenticatevi. Il vostro compito è trasmettere la fede ma farlo col dialetto dell’amore della vostra casa, della famiglia.

 

Anche loro [i bambini] hanno il proprio “dialetto”, che ci fa bene sentire! Adesso tutti stanno zitti, ma è sufficiente che uno dia il tono e poi l’orchestra segue! Il dialetto dei bambini! E Gesù ci consiglia di essere come loro, di parlare come loro. Noi non dobbiamo dimenticare questa lingua dei bambini, che parlano come possono, ma è la lingua che piace tanto a Gesù. E nelle vostre preghiere siate semplici come loro, dite a Gesù quello che viene nel vostro cuore come lo dicono loro. Oggi lo diranno col pianto, sì, come fanno i bambini. Il dialetto dei genitori che è l’amore per trasmettere la fede, e il dialetto dei bambini che va accolto dai genitori per crescere nella fede.

 

Continueremo adesso la cerimonia; e se loro incominciano a fare il concerto è perché non sono comodi, o hanno troppo caldo, o non si sentono a loro agio, o hanno fame… Se hanno fame, allattateli, senza paura, date loro da mangiare, perché anche questo è un linguaggio di amore.

 



 

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Messaggio Cristiano
Udienza Generale, 17 Aprile 2024

Catechesi. I vizi e le virtù. 15. La temperanza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi parlerò della quarta e ultima virtù cardinale: la temperanza. Con le altre tre, questa virtù condivide una storia che risale molto indietro nel tempo e che non appartiene ai soli cristiani. Per i greci la pratica delle virtù aveva come obbiettivo la felicità. Il filosofo Aristotele scrive il suo più importante trattato di etica indirizzandolo al figlio Nicomaco, per istruirlo nell’arte del vivere. Perché tutti cerchiamo la felicità eppure così pochi la raggiungono? Questa è la domanda. Per rispondere ad essa Aristotele affronta il tema delle virtù, tra le quali ha uno spazio di rilievo la enkráteia, cioè la temperanza. Il termine greco significa letteralmente “potere su sé stessi”. La temperanza è un potere su sé stessi. Questa virtù è dunque la capacità di autodominio, l’arte di non farsi travolgere da passioni ribelli, di mettere ordine in quello che il Manzoni chiama il “guazzabuglio del cuore umano”.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice che «la temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati». «Essa – prosegue il Catechismo – assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore» (n. 1809).

Dunque, la temperanza, come dice la parola italiana, è la virtù della giusta misura. In ogni situazione, si comporta con saggezza, perché le persone che agiscono mosse sempre dall’impeto o dall’esuberanza alla fine sono inaffidabili. Le persone senza temperanza sono sempre inaffidabili. In un mondo dove tanta gente si vanta di dire quello che pensa, la persona temperante preferisce invece pensare quello che dice. Capite la differenza? Non dire quello che mi viene in mente, così… No, pensare a quello che devo dire. Non fa promesse a vanvera, ma assume impegni nella misura in cui li può soddisfare.

Anche con i piaceri, la persona temperante agisce con giudizio. Il libero corso delle pulsioni e la totale licenza accordata ai piaceri, finiscono per ritorcersi contro noi stessi, facendoci precipitare in uno stato di noia. Quanta gente che ha voluto provare tutto con voracità si è ritrovata a perdere il gusto di ogni cosa! Meglio allora cercare la giusta misura: ad esempio, per apprezzare un buon vino, assaporarlo a piccoli sorsi è meglio che ingurgitarlo tutto d’un fiato. Tutti sappiamo questo.

La persona temperante sa pesare e dosare bene le parole. Pensa a quello che dice. Non permette che un momento di rabbia rovini relazioni e amicizie che poi solo con fatica potranno essere ricostruite. Specialmente nella vita famigliare, dove le inibizioni si abbassano, tutti corriamo il rischio di non tenere a freno tensioni, irritazioni, arrabbiature. C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere, ma entrambi richiedono la giusta misura. E questo vale per tante cose, ad esempio lo stare con gli altri e lo stare da soli.

Se la persona temperante sa controllare la propria irascibilità, non per questo la vedremo perennemente con il volto pacifico e sorridente. Infatti, qualche volta è necessario indignarsi, ma sempre nella giusta maniera. Queste sono le parole: la giusta misura, la giusta maniera. Una parola di rimprovero a volte è più salutare rispetto a un silenzio acido e rancoroso. Il temperante sa che nulla è più scomodo del correggere un altro, ma sa anche che è necessario: altrimenti si offrirebbe libero campo al male. In certi casi, il temperante riesce a tenere insieme gli estremi: afferma i principi assoluti, rivendica i valori non negoziabili, ma sa anche comprendere le persone e dimostra empatia per esse. Dimostra empatia.

Il dono del temperante è dunque l’equilibrio, qualità tanto preziosa quanto rara. Tutto, infatti, nel nostro mondo spinge all’eccesso. Invece la temperanza si sposa bene con atteggiamenti evangelici quali la piccolezza, la discrezione, il nascondimento, la mitezza. Chi è temperante apprezza la stima degli altri, ma non ne fa l’unico criterio di ogni azione e di ogni parola. È sensibile, sa piangere e non se ne vergogna, ma non si piange addosso. Sconfitto, si rialza; vincitore, è capace di tornare alla vita nascosta di sempre. Non cerca gli applausi, ma sa di avere bisogno degli altri.

Fratelli e sorelle, non è vero che la temperanza rende grigi e privi di gioie. Anzi, fa gustare meglio i beni della vita: lo stare insieme a tavola, la tenerezza di certe amicizie, la confidenza con le persone sagge, lo stupore per le bellezze del creato. La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita. Preghiamo il Signore perché ci dia questo dono: il dono della maturità, della maturità dell’età, della maturità affettiva, della maturità sociale. Il dono della temperanza.

Papa Francesco