Giovedì 19 Settembre 2024
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Africa di ieri e di oggi


Udienza generale, 8 Febbraio 2O23

PAPA FRANCESCO

Il viaggio apostolico nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

La scorsa settimana ho visitato due Paesi africani: la Repubblica Democratica del Congo e il Sud Sudan. Ringrazio Dio che mi ha permesso di compiere questo viaggio, da tempo desiderato. Due “sogni”: visitare il popolo congolese, custode di un Paese immenso, polmone verde dell’Africa: insieme all’Amazzonia, sono i due polmoni del mondo. Terra ricca di risorse e insanguinata da una guerra che non finisce mai perché c’è sempre chi alimenta il fuoco. E visitare il popolo sud sudanese, in un pellegrinaggio di pace insieme all’Arcivescovo di Canterbury Justin Welby e al Moderatore generale della Chiesa di Scozia, Iain Greenshields: siamo andati insieme per testimoniare che è possibile e doveroso collaborare nella diversità, specialmente se si condivide la fede in Gesù Cristo.

 

I primi tre giorni sono stato a Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo. Rinnovo la mia gratitudine al Presidente e alle altre Autorità del Paese per l’accoglienza riservatami. Subito dopo il mio arrivo, presso il Palazzo Presidenziale, ho potuto indirizzare il messaggio alla Nazione: il Congo è come un diamante, per la sua natura, per le sue risorse, soprattutto per la sua gente; ma questo diamante è diventato motivo di contesa, di violenze, e paradossalmente di impoverimento del popolo. È una dinamica che si riscontra anche in altre regioni africane, e che vale in generale per quel continente: continente colonizzato, sfruttato, saccheggiato. Di fronte a tutto questo ho detto due parole: la prima è negativa: “basta!”, basta sfruttare l’Africa! Ho detto altre volte che nell’inconscio collettivo c’è “Africa va sfruttata”: basta di questo! Ho detto quello. La seconda è positiva: insieme, insieme con dignità, tutti insieme, con rispetto reciproco, insieme nel nome di Cristo, nostra speranza, andare avanti. Non sfruttare e andare avanti insieme.

 

E nel nome di Cristo ci siamo radunati nella grande Celebrazione eucaristica.

 

Sempre a Kinshasa si sono svolti poi i diversi incontri: quello con le vittime della violenza nell’est del Paese, la regione che da anni è lacerata dalla guerra tra gruppi armati manovrati da interessi economici e politici. Non sono potuto andare a Goma. La gente vive nella paura e nell’insicurezza, sacrificata sull’altare di affari illeciti. Ho ascoltato le testimonianze sconvolgenti di alcune vittime, specialmente donne, che hanno deposto ai piedi della Croce armi e altri strumenti di morte. Con loro ho detto “no” alla violenza, “no” alla rassegnazione, “sì” alla riconciliazione e alla speranza. Hanno sofferto tanto e continuano a soffrire.

 

Ho incontrato poi i rappresentanti di diverse opere caritative presenti nel Paese, per ringraziarli e incoraggiarli. Il loro lavoro con i poveri e per i poveri non fa rumore, ma giorno dopo giorno fa crescere il bene comune. E soprattutto con la promozione:le iniziative di carità devono essere sempre in primo luogo per la promozione, non solo per l’assistenza ma per la promozione. Assistenza sì, ma promozione.

 

Un momento entusiasmante è stato quello con i giovani e i catechisti congolesi nello stadio. È stata come un’immersione nel presente proiettato verso il futuro. Pensiamo alla forza di rinnovamento che può portare quella nuova generazione di cristiani, formati e animati dalla gioia del Vangelo! A loro, ai giovani, ho indicato cinque strade: la preghiera, la comunità, l’onestà, il perdono e il servizio. Ai giovani del Congo ho detto: la vostra strada è questa: preghiera, vita comunitaria, onestà, perdono e servizio. Il Signore ascolti il loro grido che invoca pace e giustizia.

 

Poi, nella Cattedrale di Kinshasa ho incontrato i sacerdoti, i diaconi, i consacrati e le consacrate e i seminaristi. Sono tanti e sono giovani, perché le vocazioni sono numerose: è una grazia di Dio. Li ho esortati ad essere servitori del popolo come testimoni dell’amore di Cristo, superando tre tentazioni: la mediocrità spirituale, la comodità mondana e la superficialità. Che sono tentazioni – io direi – universali, per i seminaristi e per i preti. Certo, la mediocrità spirituale, quando un prete cade nella mediocrità, è triste; la comodità mondana, cioè la mondanità, che è uno dei peggiori mali che possono accadere alla Chiesa; e la superficialità. Infine, con i Vescovi congolesi ho condiviso la gioia e la fatica del servizio pastorale. Li ho invitati a lasciarsi consolare dalla vicinanza di Dio e ad essere profeti per il popolo, con la forza della Parola di Dio, essere segni di come è il Signore, dell’atteggiamento che ha il Signore con noi: la compassione, la vicinanza e la tenerezza. Sono tre modi di come il Signore fa con noi: si fa vicino – la vicinanza – con compassione e con tenerezza. Questo ho chiesto ai preti e ai vescovi.

 

Poi, la seconda parte del Viaggio si è svolta a Giuba, capitale del Sud Sudan, Stato nato nel 2011. Questa visita ha avuto una fisionomia del tutto particolare, espressa dal motto che riprendeva le parole di Gesù: “Prego che siano tutti una cosa sola” (cfr Gv 17,21). Si è trattato infatti di un pellegrinaggio ecumenico di pace, compiuto insieme ai Capi di due Chiese storicamente presenti in quella terra: la Comunione Anglicana e la Chiesa di Scozia. Era il punto di arrivo di un cammino iniziato alcuni anni fa, che ci aveva visti riuniti a Roma nel 2019, con le Autorità sud sudanesi, per assumere l’impegno di superare il conflitto e costruire la pace. Nel 2019 è stato fatto un ritiro spirituale qui, in Curia, di due giorni, con tutti questi politici, con tutta questa gente aspirante ai posti, alcuni nemici tra loro, ma erano tutti nel ritiro. E questo ha dato forza per andare avanti. Purtroppo il processo di riconciliazione non è avanzato tanto, e il neonato Sud Sudan è vittima della vecchia logica del potere, della rivalità, che produce guerra, violenze, profughi e sfollati interni. Ringrazio tanto il signor presidente dell’accoglienza che ci ha dato e di come sta cercando di gestire questa strada niente facile, per dire “no” alla corruzione e ai traffici di armi e “sì” all’incontro e al dialogo. E questo è vergognoso: tanti Paesi cosiddetti civilizzati offrono aiuto al Sud Sudan, e l’aiuto consiste in armi, armi, armi per fomentare la guerra. Questo è una vergogna. E sì, andare avanti dicendo “no” alla corruzione e ai traffici di armi e “sì” all’incontro e al dialogo. Solo così potrà esserci sviluppo, la gente potrà lavorare in pace, i malati curarsi, i bambini andare a scuola.

 

Il carattere ecumenico della visita in Sud Sudan si è manifestato in particolare nel momento di preghiera celebrato insieme con i fratelli Anglicani e quelli della Chiesa di Scozia. Insieme abbiamo ascoltato la Parola di Dio, insieme gli abbiamo rivolto preghiere di lode, di supplica e di intercessione. In una realtà fortemente conflittuale come quella sud sudanese questo segno è fondamentale, e non è scontato, perché purtroppo c’è chi abusa del nome di Dio per giustificare violenze e soprusi.

 

Fratelli e sorelle, il Sud Sudan è un Paese di circa 11 milioni di abitanti – piccolino! –, di cui, a causa dei conflitti armati, due milioni sono sfollati interni e altrettanti sono fuggiti in Paesi confinanti. Per questo ho voluto incontrare un grande gruppo di sfollati interni, ascoltarli e far sentire loro la vicinanza della Chiesa. In effetti, le Chiese e le organizzazioni di ispirazione cristiana sono in prima linea accanto a questa povera gente, che da anni vive nei campi per sfollati. In particolare mi sono rivolto alle donne – ci sono brave donne, lì –, che sono la forza che può trasformare il Paese; e ho incoraggiato tutti ad essere semi di un nuovo Sud Sudan, senza violenza, riconciliato e pacificato.

 

Poi, nell’incontro con i Pastori e i consacrati di quella Chiesa locale, abbiamo guardato a Mosè come modello di docilità a Dio e di perseveranza nell’intercessione.

 

E nella celebrazione eucaristica, ultimo atto della visita in Sud Sudan e anche di tutto il viaggio, mi sono fatto eco del Vangelo incoraggiando i cristiani ad essere “sale e luce” in quella terra tanto tribolata. Dio ripone la sua speranza non nei grandi e nei potenti, ma nei piccoli e negli umili. E questo è il modo di andare di Dio.

 

Ringrazio le autorità del Sud Sudan, il signor presidente, gli organizzatori dei viaggi e tutti coloro che hanno messo il loro sforzo, il loro lavoro perché la visita potesse andare bene. Ringrazio i miei fratelli, Justin Welby e Iain Greenshields, per avermi accompagnato in questo viaggio ecumenico.

 

Preghiamo perché, nella Repubblica Democratica del Congo e nel Sud Sudan, e in tutta l’Africa, germoglino i semi del suo Regno di amore, di giustizia e di pace.

 

 

L’Europa chieda scusa all’Africa. Ne abbia il coraggio. Sarebbe un gesto di dignità morale, politica e storica, se la nuova legislatura del Parlamento di Strasburgo si aprisse con un atto di contrita consapevolezza circa il ruolo predatorio che nei secoli e ancora oggi, tutti (o quasi) i Paesi europei hanno avuto nei confronti di quel continente. Se siamo ancora capaci di memoria e di pensiero dobbiamo ricordare e riconoscere i ripetuti sfruttamento umani, le varie forme di schiavitù e le depredazioni delle enormi risorse altrui, e dunque dovremmo deciderci a chiedere scusa. Se ancora siamo capaci di provare sentimenti di colpa, vergogna, pietà e compassione, non dovremmo esitare.
 
 
Se è vero che costituzioni, diritti e giustizia e abbiamo fatti nostri si fondano sulla centralità della persona, senza distinzioni di pelle e origine e convinzioni, dovremmo chiedere scusa. Se è vero che crediamo in libertà, uguaglianza e fraternità, dovremmo chiedere scusa. Se riconosciamo che i nostri Pil grondano grasso grazie anche alle vendite di armi, da importazioni che sfruttano il basso costo della loro manodopera e da fatto nascondiamo nei loro territori i rifiuti che non smaltiamo nelle nostre terre, allora dovremmo chiedere scusa. Se riconosciamo che per sostenere la nostra agricoltura accettiamo che nei campi i figli d’Africa siano sfruttati sotto il sole per pochi euro al giorno e quando si fa sera non vogliamo sapere della loro esistenza, allora dovremmo chiedere scusa. Se invochiamo le radici cristiane dell’Europa, allora a maggior ragione dovremmo ascoltare la voce della coscienza e saper chiedere scusa per averli messi in croce.
 
 
E, soprattutto, se oggi di fronte alla temeraria speranza che porta tanta povera gente a disperatamente a gettarsi nel mare tra loro e noi, arriviamo persino a negare tra paura e collera il primo gesto che ci rende 'umani', cioè la mano tesa a soccorso, dobbiamo deciderci chiedere scusa. Sì, dobbiamo chiedere scusa e cambiare registro. E per cominciare dobbiamo riconoscere e ringraziare i tanti missionari laici e religiosi, i tanti giovani che si prodigano per portare soccorsi e futuro, riscattando la nostra indifferenza e cinismo. I buoni samaritani del nostro tempo non sono nemici, ma ridanno senso alla nostra esistenza, alle nostre anime e alle nostre leggi. È ora che lo slogan 'aiutiamoli a casa loro' non sia più una furba formula per negare soccorsi e spazi qui da noi, ma un reale piano politico ed economico di sostegno allo sviluppo.
 
 
A che cosa servono, che senso hanno gli enormi sviluppi tecnico-scientifici ed economici conseguiti in questo ultimo secolo se non siamo capaci di affrontare i drammi che stanno oltre il Mediterraneo e da cui inevitabilmente di dipende il futuro delle nostre invecchiate civiltà? Verrà forse il giorno che i popoli che abitano il continente africano ci porteranno tutti a giudizio dinanzi alla storia, ma ciò che è certo già oggi è che ne dovremo rendere conto a Dio. Parafrasando De André: se questo naufragio fa a meno del nostro coraggio, se pensiamo che tutto passerà risparmiando la nostra vita e siamo convinti di allontanare la paura di cambiare, per quanto noi ci crediamo assolti siamo per sempre coinvolti. Che la pietà non ci rimanga in tasca. E che la retta coscienza finalmente trionfi.
 

 

 

 

Finalmente un po’ di “verità”!

 

Nel 1992 il Santo Padre Giovanni Paolo II, durante la sua visita al memoriale nell’isola senegalese di Dakar, affermò : “Da questo santuario africano testimone del dolore nero, impetriamo perdono al cielo per l’orribile aberrazione di coloro che riducevano in condizioni di schiavitù i fratelli e le sorelle, che il Vangelo ha chiamato a libertà”.

 

Ricordo bene che i mass-media,  a lungo, hanno parlato dell’avvenimento ed anche tra noi missionari si sono fatti dei commenti … naturalmente approvando il discorso del Santo Padre e il suo coraggio nel domandare perdono all’Africa per le azioni riprovevoli dei  “negrieri bianchi”.

 

Per almeno trent’anni, quando avevo l’occasione, ho cercato di informarmi presso gli anziani e tutti mi hanno ripetuto la stessa accusa : “Più che i negrieri bianchi essi conoscevano bene i … “negrieri neri”, quelli che chiamavano “gli arabi”.

 

 

 



 

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Messaggio Cristiano
CONFERENZA STAMPA DEL SANTO PADRE DURANTE IL VOLO DI RITORNO da SINGAPORE

13 settembre 2024

Matteo Bruni

Eccoci. Salve, Santità. Grazie per questi giorni – molti giorni – di viaggio. Grazie anche per averci fatto percepire di più la gioia della gente che la nostra stanchezza. E adesso ci sono un po’ di domande da parte dei giornalisti che hanno viaggiato con Lei. Le prime, come da tradizione.

Papa Francesco

Prima di tutto voglio ringraziare tutti voi per questo lavoro, per questa compagnia nel viaggio, che per me è molto importante. Poi, io vorrei congratularmi con la “decana”, perché Valentina Alazraki fa il 160° viaggio, con questo! Io non le dirò che deve andare in pensione, ma che continui così!

Bene, adesso fate le domande. E grazie tante!

Matteo Bruni

Bene. La prima domanda è di una giornalista che viene da Singapore, Santità: Pei Ting Wong (The Streits Times). Farà la domanda in inglese e la traduco per Lei.

Pei Ting Wong (The Streits Times)

Papa Francesco, sono felice che Lei stia bene e che stia tornando a Roma. Spero che abbia apprezzato la visita a Singapore e anche il cibo locale. Siamo freschi dell’esperienza di Singapore e possiamo partire da lì. In generale, cosa ha valorizzato maggiormente di Singapore: la cultura, la gente? È stato sorpreso da quello che ha visto? E cosa può imparare Singapore dagli altri tre Paesi che abbiamo visitato, in modo specifico mi riferisco al Suo messaggio riguardo a un compenso equo ai lavoratori migranti a basso reddito: cosa ha ispirato questo messaggio, quale il pensiero all’origine? E l’altra domanda – mi scusi, ne ho un’altra –: Lei ha detto che Singapore ha un ruolo molto speciale da svolgere in ambito internazionale. Cosa può fare Singapore in questo mondo di conflitti, e come il Vaticano, in quanto alleato diplomatico, può contribuire? Grazie.

Papa Francesco

Grazie a Lei. Prima di tutto, io non mi aspettavo di trovare Singapore così. Dicono che la chiamano la New York dell’Oriente: un Paese sviluppato, pulito, gente educata, la città con grattacieli grandi e anche una grande cultura interreligiosa. L’incontro interreligioso che ho avuto alla fine è stato un modello, un modello di fratellanza. Poi ho visto anche, già parlando dei migranti, i grattacieli per gli operai. I grattacieli lussuosi e gli altri sono ben fatti e puliti, e questo mi è piaciuto tanto. Io non ho sentito che ci sia una discriminazione, non ho sentito. Mi ha colpito la cultura. Con gli studenti, per esempio, l’ultimo giorno: sono rimasto colpito dalla cultura. Il ruolo internazionale: ho visto che la prossima settimana c’è una “Formula Uno”, credo… Il ruolo internazionale è di una capitale che attira le culture e questo è importante. È una grande capitale. Io non mi aspettavo di trovare una cosa del genere.

Pei Ting Wong

C’è l’altra domanda: Singapore può imparare dai tre Paesi – Papua Nuova Guinea, Indonesia e Timor Est?

Papa Francesco

Sai, sempre si può imparare qualcosa, perché ogni persona e ogni Paese ha una ricchezza diversa dall’altro. Per questo è importante la fratellanza nella comunicazione. Per esempio, se penso a Timor Est, una cosa è che lì ho visto tanti bambini, e a Singapore non ne ho visti tanti. È forse una cosa da imparare…

Pei Ting Wong

Sì, noi abbiamo un tasso di natalità basso.

Papa Francesco

Hanno paura? Qual è il vostro tasso di natalità?

Pei Ting Wong

Inferiore a 1,2%, più basso di quello del Giappone, per quanto ne sappia.

Papa Francesco

Il futuro sono i bambini! Pensate a questo. Grazie. Ah, un’altra cosa: voi, gli abitanti di Singapore, siete simpaticissimi. You smile, smile…

Matteo Bruni

La seconda domanda, Santità, è di Delfim De Oliveira, che è un giornalista di GMN TV di Timor Est. Lui farà la domanda in portoghese, ma noi abbiamo la traduzione della sua domanda.

Delfim De Oliveira, GMN TV (Grupo Média Nacional) di Timor Est

Santo Padre, muito obrigado por esta oportunidade. A sua mensagem no final da missa em Taci Tolu é o assunto mais discutido agora em Timor. O senhor utilizou o termo “crocodilos” para chamar a atenção dos timorenses em relação a presença de crocodilos em Timor. O que o Papa queria dizer com isso?

(Santo Padre, La ringrazio per questa opportunità. Il Suo messaggio finale nella Messa a Taci Tolu, è la notizia più diffusa adesso in Timor. Lei ha utilizzato l’espressione “coccodrilli” per attirare l’attenzione dei timoresi sulla presenza dei coccodrilli a Timor Est. Cosa intendeva dire con questo?)

Papa Francesco

Ho preso l’immagine dei coccodrilli che vengono sulla spiaggia. Timor Est ha una cultura semplice, familiare, gioiosa e ha una cultura di vita, ha tanti bambini, tanti, e io, quando parlavo di coccodrilli, parlavo delle idee che possono venire da fuori per rovinare questa armonia che voi avete. Ti dico una cosa: io sono rimasto innamorato di Timor Est! Un’altra cosa?...

Delfim De Oliveira, GMN TV (Grupo Média Nacional)

O povo timorense, a maioria em si são católicos e, neste momento, a presença de seitas é muito forte em Timor. A expressão do Papa: “crocodilos” refere-se também a presença de seitas em Timor?

(Il popolo timorese è a maggioranza cattolica; in questo momento, c’è una forte presenza di sette in Timor Est: l’espressione “coccodrilli” può essere stata riferita anche alle sette in Timor?)

Papa Francesco

Può darsi. Io non parlo di questo, non posso, ma può darsi. Perché tutte le religioni vanno rispettate, ma si fa una distinzione tra religione e setta. La religione è universale, qualsiasi religione; la setta è restrittiva, è un gruppetto che sempre ha un’altra intenzione. Grazie, e complimenti per il tuo Paese.

Matteo Bruni

La terza domanda è di Francisca Christy Rosana (Tempo Media Group), una giornalista dall’Indonesia, che – come sa – ha compiuto gli anni qualche giorno fa.

Francisca Christy Rosana (Tempo Media Group)

Thank you, Papa Francisco: I am Francisca from Tempo Magazine. I hope you had memorable moments in Indonesia, because people in Indonesia, not only Catholics, have been waiting for you for a long time. My questions are: we realized that in Indonesia the country is still struggling with its democracy. How do you see that and which is your message for us? And the last one: Papua and Indonesia have the same problem with Papua New Guinea, sometimes: investments in the mining sector is only for the oligarchs, and meanwhile local and indigenous people didn’t get the benefits at all. What do you think about that and what can be done? Thank you, Papa Francisco.

(Grazie, Papa Francesco: sono Francisca, di Tempo Magazine. Spero abbia avuto momenti indimenticabili in Indonesia, perché la gente nel Paese, e non soltanto i cattolici, L’aspettavano da tanto tempo. Le mie domande sono queste: ci siamo resi conto che il Paese ancora sta combattendo per la democrazia. Qual è la Sua impressione e quale il Suo messaggio per noi? E l’ultima domanda: Papua e Indonesia hanno lo stesso problema con Papua Nuova Guinea, a volte: gli investimenti nel settore minerario sono riservati agli oligarchi e nel frattempo la gente del posto e i nativi non usufruiscono dei benefici che derivano da questa attività. Cosa ne pensa, e cosa si può fare? Grazie, Papa Francesco)

Papa Francesco

Questo è un problema, direi, comune alle Nazioni in via di sviluppo. Per questo è importante quello che dice la dottrina sociale della Chiesa: che dev’esserci comunicazione tra i diversi settori della società. Lei ha detto che l’Indonesia è un Paese in via di sviluppo, e forse una delle cose che va sviluppata è precisamente questa: il rapporto sociale. Ma sono rimasto contento della visita al suo Paese. Molto bene, molto bello!

Matteo Bruni

Santità, la stampa della Papua Nuova Guinea ha seguito con grande interesse il Suo viaggio, però purtroppo non le è stato possibile avere un giornalista su questo volo. Allora colgo l’occasione io per chiederLe se c’è qualcosa che vuole raccontarci della Papua Nuova Guinea, in particolare anche di Vanimo, che è un posto dove mi sembra che Lei abbia voluto andare personalmente.

Papa Francesco

Mi è piaciuto il Paese, e ho visto un Paese in via di sviluppo forte. Poi ho voluto andare a Vanimo per trovare un gruppo di preti e suore argentini che lavorano lì, e ho visto un’organizzazione molto bella, molto bella! In tutti i Paesi l’arte è molto sviluppata: le danze, altre espressioni poetiche… Ma in Papua Nuova Guinea è impressionante, e a Vanimo impressiona lo sviluppo dell’arte. Questo mi ha colpito molto. I missionari che ho visitato sono nella foresta, vanno dentro la foresta a lavorare. Mi è piaciuto Vanimo, e il Paese pure. Grazie.

Matteo Bruni

Grazie a Lei, Santità. La prossima domanda viene da Stefania Falasca, che scrive anche per un sito internet in Cina (Tianou Zhiku).

Stefania Falasca (Tianou Zhiku)

Buona sera, Santo Padre. Purtroppo il cinese non lo parlo! Veniamo da Singapore che è un Paese con una popolazione a maggioranza cinese, ed è un modello di convivenza armoniosa e pacifica. E appunto sulla pace: volevo sapere che cosa ne pensa, vista la vicinanza anche con la Cina continentale, degli sforzi fatti dalla Cina per il raggiungimento di un cessate-il-fuoco nelle regioni sotto conflitto, come la Striscia di Gaza: a luglio è stata firmata a Pechino la “dichiarazione di Pechino” per porre fine alle divisioni tra i palestinesi. E poi, se ci sono spazi di collaborazione sulla pace tra la Cina e la Santa Sede. Un’ultima cosa: siamo a ridosso del rinnovo dell’accordo Cina-Santa Sede sulle nomine dei vescovi. Lei è soddisfatto o no dei risultati del dialogo, che sono stati finora ottenuti?

Papa Francesco

Prendo l’ultima: io sono contento dei dialoghi con la Cina, il risultato è buono, anche per la nomina dei vescovi si lavora con buona volontà. E per questo ho sentito la Segreteria di Stato, su come vanno le cose: io sono contento. L’altra cosa è la Cina: la Cina per me è una ilusión [un desiderio], nel senso che io vorrei visitare la Cina, perché è un grande Paese; io ammiro la Cina, rispetto la Cina. È un Paese con una cultura millenaria, una capacità di dialogo, di capirsi tra loro che va oltre i diversi sistemi di governo che ha avuto. Credo che la Cina sia una promessa e una speranza per la Chiesa. La collaborazione si può fare, e per i conflitti certamente. In questo momento, il cardinale Zuppi si muove in questo senso e ha rapporti anche con la Cina.

Matteo Bruni

Grazie Santità. La prossima domanda viene da Anna Matranga (CBS News), che conosce.

Anna Matranga (CBS News)

Buona sera, Santità. Lei ha sempre parlato in difesa della dignità della vita. In Timor Est, un Paese con una natalità molto alta, Lei ha detto che si sente pulsare ed esplodere la vita per i tanti bambini. In Singapore ha parlato in difesa dei lavoratori migranti. In vista delle prossime elezioni negli Stati Uniti vorrei chiederLe: che consiglio può dare a un elettore cattolico che deve decidere fra un candidato che è favorevole all’interruzione della gravidanza, e un altro che vorrebbe deportare 11 milioni di migranti?

Papa Francesco

Ambedue sono contro la vita, sia quello che butta via i migranti sia quello che uccide i bambini. Ambedue sono contro la vita. Non si può decidere, io non posso dire, non sono statunitense, non andrò a votare lì, ma sia chiaro: mandare via i migranti, non dare ai migranti capacità di lavorare, non dare ai migranti accoglienza è peccato, è grave. Nell’Antico Testamento c’è un ritornello: l’orfano, la vedova e lo straniero, cioè il migrante. Sono i tre che il popolo di Israele deve custodire. Chi non custodisce il migrante, manca, è un peccato, un peccato anche contro la vita di quella gente. Io sono stato a celebrare Messa alla frontiera, vicino alla diocesi di El Paso, e c’erano tante scarpe di migranti che sono finiti male, lì. Oggi c’è un flusso di migranti all’interno dell’America Centrale che tante volte vengono trattati come schiavi, perché si approfittano di questo. La migrazione è un diritto, un diritto che già nella Sacra Scrittura, nell’Antico Testamento c’era. Lo straniero, l’orfano e la vedova: non dimenticare questo. Questo è quello che io penso dei migranti. Poi, l’aborto. La scienza dice che al mese dal concepimento ci sono tutti gli organi di un essere umano, tutti. Fare un aborto è uccidere un essere umano. Ti piaccia la parola o non ti piaccia, ma è uccidere. Questo. La Chiesa non è chiusa perché non permette l’aborto: la Chiesa non permette l’aborto perché è uccidere, è un assassinio, è un assassinio. E su questo dobbiamo avere le cose chiare. Mandare via i migranti, non lasciarli sviluppare, non lasciare che abbiano la loro vita è una cosa brutta, è cattiveria. Mandare via un bambino dal seno della mamma è un assassinio, perché c’è vita. E in queste cose dobbiamo parlare chiaro. “No, ma, però…”. Niente “però”. Ambedue le cose sono chiare. L’orfano, lo straniero e la vedova: non dimenticare quello.

Anna Matranga (CBS News)

Possono esserci circostanze in cui sia moralmente ammissibile per un cattolico votare per un candidato che è favorevole all’interruzione della vita?

Papa Francesco

Nella morale politica, in genere si dice che non votare è brutto, non è buono: si deve votare. E si deve scegliere il male minore. Chi è il male minore, quella Signora o quel Signore? Non so, ognuno in coscienza pensi e faccia questo.

Matteo Bruni

Grazie, Santità. La prossima domanda è di Mimmo Muolo, di “Avvenire”.

Mimmo Muolo, Avvenire

Buonasera, Santità, e grazie per questi giorni. A nome dei giornalisti italiani vorrei chiederLe: c’è il pericolo che il conflitto di Gaza si estenda anche alla Cisgiordania e c’è stata un’esplosione, poche ore fa, che ha causato la morte di 18 persone, tra cui alcuni operatori Onu. Quali sono i suoi sentimenti in questo momento? E che cosa si sente di dire alle parti in guerra? C’è la possibilità eventualmente anche di una mediazione della Santa Sede per arrivare a un cessate-il-fuoco e all’auspicata pace? Grazie.

Papa Francesco

La Santa Sede lavora per questo. Vi dico una cosa: tutti i giorni chiamo a Gaza, tutti i giorni, la parrocchia di Gaza. Lì dentro, nella parrocchia e nel collegio, ci sono 600 persone: cristiani e musulmani, ma vivono come fratelli. Mi raccontano cose brutte, cose difficili. Io non posso qualificare se questa azione di guerra è troppo sanguinaria o no, ma per favore, quando si vedono i corpi di bambini uccisi, quando si vede che presumendo che ci siano lì alcuni dei guerriglieri, si bombarda una scuola: è brutto questo, è brutto! A volte si dice che è una guerra difensiva o no, ma alcune volte credo che sia una guerra troppo, troppo… E - mi scuso di dire questo – ma non trovo che si facciano i passi per fare la pace. Per esempio, a Verona, ho avuto un’esperienza molto bella: un ebreo, a cui era morta la moglie sotto un bombardamento, e uno di Gaza, a cui era morta la figlia, ambedue hanno parlato della pace, si sono abbracciati e hanno dato una testimonianza di fratellanza. Io dirò questo: è più importante la fratellanza che l’uccisione del fratello. Fratellanza, darsi la mano. Alla fine, chi vince la guerra troverà una grande sconfitta. La guerra sempre è una sconfitta, sempre, senza eccezioni. E questo non dobbiamo dimenticarlo. Per questo, tutto quello che si fa per la pace è importante. E inoltre voglio dire una cosa – questo è un po’ immischiarmi in politica ma voglio dirlo –: ringrazio tanto, tanto quello che fa il re della Giordania. È un uomo di pace e sta cercando di fare la pace, re Abdallah è un uomo bravo, buono.

Matteo Bruni

La prossima domanda è di Lisa Weiss, della televisione tedesca ARD.

Lisa Weiss, ARD

Santo Padre, grazie per questi giorni. Durante questo viaggio Lei ha parlato molto apertamente, in maniera molto diretta, dei problemi di ogni Paese, non soltanto delle sue bellezze. E proprio per questo ci siamo chiesti come mai non abbia parlato del problema che a Singapore esiste ancora la pena di morte.

Papa Francesco

È vero, sì, non mi è venuto in mente. Ma la pena di morte non funziona: lentamente dobbiamo cercare di eliminarla, lentamente. Tanti Paesi hanno la legge ma non eseguono la sentenza. Negli Stati Uniti è lo stesso per alcuni Stati. Ma la pena di morte va fermata. Non va, non va.

Matteo Bruni

La prossima domanda è di Simon Leplâtre di Le Monde.

Simon Leplâtre, Le Monde

Your Holiness, first thank you very much for this fascinating journey. In Timor-Leste you mentioned young victims of sexual abuse. We thought, of course, of Bishop Belo. In France we have a similar case, the Abbé Pierre, founder of the charity Emmaus, who was for several years elected the favourite personality of the French people. In both cases, their charisma made it harder to believe. I would like to ask: what did the Vatican know about the Abbé Pierre, and what can you tell the victims, and the general population who find it hard to believe that persons that did so many good deeds could also commit crimes? Speaking of France, we also would like to know: will you be in Paris for the reopening of Notre-Dame in December? Thank you very much.

(Santo Padre, in primo luogo grazie tante per questo viaggio affascinante. A Timor Est, ha parlato della giovani vittime di abusi sessuali. Naturalmente, ci è venuto in mente il vescovo Belo. In Francia abbiamo un casi simile, quello dell’Abbé Pierre, fondatore dell’associazione benefica Emmaus, per molti anni eletto personaggio preferito dai francesi. In ambedue i casi, il carisma di queste due persone ha reso molto più difficile credere a quanto accaduto. Vorrei chiederLe: cosa sapeva il Vaticano dell’Abbé Pierre, e cosa Lei potrebbe dire a tutte quelle persone che fanno fatica a credere che una persona che ha fatto tanto bene possa anche avere commesso dei crimini? Parlando invece della Francia, vorrei sapere: Lei sarà a Parigi in occasione della riapertura della cattedrale di Notre-Dame? Grazie tante.)

Papa Francesco

Rispondo prima all’ultima: non andrò a Parigi. Poi, la prima. Tu hai toccato un punto molto dolente, molto delicato. Gente buona, gente che fa il bene – hai nominato l’Abbé Pierre – che poi, con tanto bene che ha fatto, si vede che questa persona è un peccatore brutto. E questa è la nostra condizione umana. Non dobbiamo dire “copriamo, copriamo, perché non si veda”. I peccati pubblici sono pubblici e vanno condannati. Per esempio, l’Abbé Pierre è un uomo che ha fatto tanto bene, ma è anche un peccatore. E noi dobbiamo parlare chiaro su queste cose, non nascondere. Il lavoro contro gli abusi è una cosa che tutti noi dobbiamo fare: ma non solo contro gli abusi sessuali, contro ogni tipo di abuso: l’abuso sociale, l’abuso educativo, cambiare la mentalità alla gente, togliere la libertà… L’abuso è, a mio giudizio, è una cosa demoniaca, perché ogni tipo di abuso distrugge la dignità della persona, ogni tipo di abuso cerca di distruggere quello che tutti noi siamo: immagine di Dio. Io sono contento quando questi casi vengono fuori. E vi dirò una cosa, che forse ho detto un’altra volta: cinque anni fa, abbiamo fatto un incontro con i presidenti delle Conferenze episcopali sui casi di abusi sessuali e di altri abusi, e abbiamo avuto una statistica molto ben fatta, credo delle Nazioni Unite. Dal 42 al 46 per cento degli abusi si verificano in famiglia o nel quartiere… [interruzione] Per finire: l’abuso sessuale dei bambini, dei minorenni è un crimine, è una vergogna.

Matteo Bruni

Forse, per via delle indicazioni del comandante dell’aereo, dobbiamo sederci un attimo. Se Lei vuole riprendere, possiamo metterci qua. Forse possiamo intanto andare con un’altra domanda da parte di Elisabetta Piqué del quotidiano La Naciòn, che Lei conosce bene.

Elisabetta Piqué, La Naciòn

Prima di tutto, grazie per questo viaggio bellissimo ai confini del mondo: è stato il più lungo del Pontificato. E parlando di viaggi lunghi, tutti in questo viaggio, molti colleghi mi hanno domandato: “Ma si va in Argentina?”. Lei tante volte ha detto che magari a fine anno… Questa è la prima domanda: se andiamo in Argentina o no. E la seconda, sul Venezuela: come Lei sa, c’è una situazione drammatica; in questi giorni in cui Lei era in viaggio il presidente teoricamente eletto ha dovuto esiliarsi in Spagna. Che messaggio darebbe al popolo del Venezuela? Grazie.

Papa Francesco

Io non ho seguito la situazione del Venezuela, ma il messaggio che darei ai governanti è dialogare e fare la pace. Le dittature non servono e finiscono male, prima o dopo. Leggete la storia della Chiesa. Io direi che il governo e la gente facciano di tutto per trovare un cammino di pace, per il Venezuela. Non riesco a dare un’opinione politica perché non conosco i dettagli. So che i vescovi hanno parlato e il messaggio dei vescovi dev’essere più buono. E poi, se andrò in Argentina, è una cosa ancora non decisa. Io vorrei andare, è il mio popolo, vorrei andare; ma ancora non è decisa, perché ci sono diverse cose da risolvere prima. È tutto?

Elisabetta Piqué, La Naciòn

Del gruppo spagnolo: nel caso si andasse, potrebbe esserci uno scalo nelle Canarie?

Papa Francesco

Tu mi hai letto nel pensiero. Io penso un po’ a questo: andare nelle Canarie, perché lì ci sono le situazioni dei migranti che vengono dal mare, e vorrei essere vicino ai governanti e al popolo della Canarie. È così.

Matteo Bruni

Santità, forse possiamo fare un’ultima domanda prima di pranzo, da parte di un giornalista indonesiano, Bonifasius Josie Susilo Hardianto, di Kompas.Id

Bonifasius Josie Susilo Hardianto, Kompas.Id

Thank you, Father. Some Countries are starting to move away from their commitment to the Paris Agreement based on economic reasons, specially after the pandemic. Number of Countries are hesitant to transition to clean energy and less carbon. What does His Holiness think about the matters?

(Grazie, Santo Padre. Alcuni Paesi si stanno ritirando dal loro impegno preso con l’Accordo di Parigi, a causa di difficoltà economiche, soprattutto dopo la pandemia. Molti Paesi esitano ad affrontare la transizione verso un’energia pulita e meno basata su combustibili fossili. Cosa pensa di questa cosa?)

Papa Francesco

Penso che il problema climatico è grave, è molto grave. Dal momento di Parigi, che è stato il culmine, poi gli incontri climatici sono in discesa. Si parla si parla ma non si fa. Questa è la mia impressione. Su questo ho parlato nei due scritti, Laudato si’ e Laudate Deum.

Matteo Bruni

Intanto, ringraziamo, Santità…

Papa Francesco

Grazie a voi. Grazie. E avanti, coraggio. Speriamo che ci diano da mangiare, adesso!...

No, Una cosa a cui non avevo risposto…

Matteo Bruni

Per completare la risposta a Simon Leplâtre:

Papa Francesco

Cosa sapeva il Vaticano dell’Abbé Pierre. Non so quando il Vaticano è venuto a saperlo, non lo so. Non lo so perché io non ero qui e mai mi è venuta l’idea di fare una ricerca su questo. Ma certamente dopo la morte, sicuro; prima, non so.

Matteo Bruni

Grazie ancora, Santità, per questo chiarimento. Buona conclusione di viaggio.

Papa Francesco