Africa di ieri e di oggi


Dalla giungla all'università

Inserto al numero 45 di BENABE

Testimonianza

 

       Per la popolazione Kunama dell´Eritrea la parentela è matrilineare. In ogni famiglia i figli appartengono al clan della donna. Il padre si può definire putativo, passivo.  LŽeredità in ogni famiglia non spetta ai figli, ma ai nipoti, cioè ai figli della sorella dello sposo.

 

       Tra i coniugi, quando muore lo sposo, la vedova passa alla cura del fratello del defunto, già sposato oppure non ancora. Se il fratello defunto ha lasciato dei figli, quello che subentra avrà cura anche di loro e prenderà la vedova come seconda moglie. Se il marito muore senza lasciare figli, sarà compito del fratello farli nascere.

 

       Ora il papà di Antutu è morto quando lui aveva appena tre anni, lasciando tre figli: due femmine e un maschio. Uno dei due fratelli del defunto, che si chiama Galli Kolè, ha ereditato la donna e i suoi tre figli. La mamma però non ha accettato di diventare la seconda moglie e lŽuomo ha deciso di prendere con sé soltanto i figli.

 

        Un giorno lo zio ha chiesto a Antutu di andare ad abitare con i figli dellŽaltra donna, in un villaggio chiamato Ulkiscina, nei pressi di Kona (Eritrea). Il ragazzo che aveva appena 8 anni, chiesto il consenso alla madre, ha accettato la proposta ed è andato a vivere con il  nuovo padre, a circa a 30 Km. dal paese dŽorigine, Oganna.

 

       Giunto in quel villaggio, lo zio di Antutu lo ha portato a Kona (un altro villaggio a circa 3 km.), per iscriverlo alla scuola di catechismo. La sua gioia era immensa. I bambini che frequentavano questa scuola erano cinque. Per raggiungere il villaggio di Kona ci vogliono 45 minuti di cammino dentro la giungla. AllŽinizio li accompagnava uno dei familiari, poi vi si recavano da soli.

 

      Ma un giorno uno dei ragazzi, andando in cerca di miele, si è perso dentro la giungla. Gli altri quattro lo chiamavano e lui rispondeva, però invece di camminare verso di loro, andava in senso contrario. Così i ragazzi udivano la sua voce che si allontanava e ad un certo momento non la sentirono più. Allora, dopo una corsa affannosa, raggiunsero il villaggio e diedero lŽallarme.

 

      Tutti i maschi, armati di lancia e di scudo, si mossero per rintracciarlo e, dopo un´affannosa ricerca, lo trovarono nella cavità di una pianta di Baobab, che istintivamente si nascondeva dagli animali feroci, e, caricatolo sulle spalle, lo trasportarono al villaggio. Il ragazzo, esausto per la paura e per la sete, aveva perso anche i sensi. 

 

      Questo episodio provocò nella gente un´immensa angoscia, ma, ritrovato il ragazzo, tutti furono pieni di gioia e la vita del villaggio ritornò nella calma. Dopo questo fatto, per un periodo indeterminato, un uomo adulto accompagnò i ragazzi .

 

       Un giorno quellŽuomo ebbe un impegno e li lasciò andare soli. Al ritorno, proprio per ironia della sorte, li attaccò una belva. Non ricordo bene, se fosse una pantera o un leopardo; fatto sta che portò via uno dei ragazzi. Alla vista di quella scena la paura invase il loro cuore. LŽanimale, sbranato il bambino, lo trascinò dentro i cespugli e scomparve dalla loro vista. Gli altri, trafelati, raggiunsero il villaggio. Alcune persone vennero loro incontro e, vedendoli così ansimanti e spaventati, chiesero che cosa fosse successo.

 

       La risposta fu: "Un animale feroce ci ha attaccati e ha portato via Adoda (il nome del bimbo)". Uno di loro insistentemente chiese se era una belva oppure uno schiavista, perché in quel periodo cŽerano i Gebeli (schiavisti) che catturavano i Kunama per venderli. Unanimi risposero: "Abbiamo visto molto bene, non aveva lŽaspetto umano, ma di una belva".

 

       Tra quegli uomini, uno prese il corno e lo suonò, dando il segnale di allarme. In un batter dŽocchio tutti si radunarono nel luogo dove era stato dato il segnale e, armati di lancia e di asce, entrarono nella giungla. LŽinseguimento fu vano, perché lŽanimale con il bambino aveva fatto perdere le tracce. La gente tornò a casa molto innervosita e triste.

 

       Da quel giorno i genitori proibirono ai figli di recarsi alla scuola di catechismo.  Se tu fossi stato al loro posto, che cosa avresti fatto?

 

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      Antutu fu ordinato sacerdote nel 1982. Dopo 14 anni di servizio come superiore e parroco in due conventi, essendo state collaudate le sue doti e capacità di pastore, nel 1996 fu mandato a Roma per frequentare la "Facoltà di Teologia Pastorale" dellŽUniversità Lateranense. Egli studiò con grande profitto e, dopo tre anni, conseguì la Licenza "Summa Cum Laude".

 

      Un giorno, nel 1997, Antutu, uscito dallŽUniversità,  aspettava il pullman di servizio. Egli si era fermato presso l´Ateneo Antonianum, in Via Merulana. La sua borsa di studente conteneva parecchi libri. Mentre egli attendeva, andava su e giù lungo il viale Merulana. Lo videro tre poliziotti in borghese che si trovavano dallŽaltro lato della strada. La sua borsa era troppo gonfia e si insospettirono di lui. Uno di loro, attraversata la strada, venne incontro ad Antutu.

 

       Il poliziotto in borghese gli domandò: "Sai parlare l´italiano?". Antutu, supponendo che fosse un curioso qualsiasi, rispose: "No, i doŽt speak italian = No, non so parlare lŽitaliano". Il poliziotto proseguendo disse: "Do you know Duomo? = conosci il Duomo?". Antutu rispose: "Which Duomo? Duomo di Milano, di Firenze = Di quale Duomo parli? Duomo di Milano, di Firenze?" Egli rispose: "Here Vatican= Qui in Vaticano". Antutu replicò: "I doŽt know= non lo so"

 

       Nel frattempo altri due poliziotti, attraversata la strada, si avvicinarono per coglierlo in flagrante. Essi presentarono i loro documenti a conferma che erano poliziotti, e, con parole energiche, dissero alle due persone: "Fuori i documenti, fuori i dollari americani!". Il finto poliziotto consegnò i suoi documenti e tutti i dollari che aveva in tasca. Povero Antutu! Si difese come poteva. Vista la mal parata incominciò a parlare l´italiano, che qualche minuto prima aveva negato di conoscere  e disse: "Sono un sacerdote francescano cappuccino e frequento lŽUniversità Lateranense: ecco la mia tessera dŽUniversità. Non posseggo dollari americani. Se voi ne avete di superflui, vi prego di darmeli. Io sono un povero missionario, proveniente da una nazione poverissima: l´Eritrea".  

      

       A questa inaspettata risposta, i poliziotti si rammaricarono e chiesero scusa ad Antutu, dicendo: "Veda padre, oggi vi sono parecchie persone che spacciano droga, pedofili e disonesti". A questo punto Antutu sŽindignò, ma rispose con calma: "Ebbene, questo significa che voi mi considerate un pedofilo, uno che spaccia droga?". Con tanto dispiacere essi risposero: "Non è così. Noi andiamo alla ricerca di queste persone, ma oggi non abbiamo indovinato, e ci siamo accostati ad una persona sbagliata. Scusi padre".

 

       Antutu perdonò con tutto il cuore, ma quel giorno tornò a casa un po´ triste per lŽaccaduto. Durante il pranzo raccontò alla comunità quello che gli era successo. Molti si meravigliarono per l´audacia e la disinvoltura con cui egli aveva risposto alla polizia. Alcuni dicevano: "Non avrei avuto il coraggio di rispondere in quella maniera; mi sarei confuso e sarei rimasto senza parole; tu invece, Antutu, sei stato molto coraggioso. Congratulazioni! Sei davvero grande". Però alcuni latino - americani e qualche sacerdote proveniente dal Libano, che in passato avevano condiviso la stessa sorte, erano molto addolorati e dicevano: "Questo significa che noi stranieri in Italia, anche se abbiamo le carte in regola, non possiamo girare liberamente. Siamo sempre seguiti, sospettati e addirittura fermati senza ragione". Perciò si creò un clima di discussione abbastanza caldo.

 

         Antutu, che era stato il pomo della discordia, parlò così: "Ragazzi, io sono abituato alle perquisizioni, ai controlli, alle guerre, alle minacce dei patrioti che occupavano i villaggi con i combattimenti, alle catture, agli schiaffi, alle prigionie. Ho visto davanti la morte, ho sepolto gente morta in guerra, ho subito molte ingiustizie sociali. Quello che è successo a me oggi, in confronto al passato, è un gioco e mi sono divertito un mondo".

Così il clima si è mitigato e si è passati ad un´atmosfera meno tesa. 

 

 P. Antutu

 



 

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Messaggio Cristiano
INCONTRO CON GLI STUDENTI IN OCCASIONE DEL GIUBILEO DEL MONDO EDUCATIVO - Aula Paolo VI, 30 ottobre 2025

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo,
La pace sia con voi!

Cari ragazzi, care ragazze, buongiorno!

Che gioia incontrarvi! Grazie a voi! Ho atteso questo momento con grande emozione: la vostra compagnia, infatti, mi fa ricordare gli anni nei quali insegnavo matematica a giovani vivaci come voi. Vi ringrazio per aver risposto così, per essere qui oggi, per condividere le riflessioni e le speranze che, attraverso di voi, consegno ai nostri amici sparsi in tutto il mondo.

Vorrei cominciare ricordando Pier Giorgio Frassati, uno studente italiano che, come sapete, è stato canonizzato durante quest’anno giubilare. Col suo animo appassionato per Dio e per il prossimo, questo giovane santo coniò due frasi che ripeteva spesso, quasi come un motto, lui diceva: “Vivere senza fede non è vivere, ma vivacchiare” e ancora: “Verso l’alto”. Sono affermazioni molto vere e incoraggianti. Anche a voi, perciò, dico: abbiate l’audacia di vivere in pienezza. Non accontentatevi delle apparenze o delle mode: un’esistenza appiattita su quel che passa non ci soddisfa mai. Invece, ognuno dica nel proprio cuore: “Sogno di più, Signore, ho voglia di più: ispirami tu!”. Questo desiderio è la vostra forza ed esprime bene l’impegno di giovani che progettano una società migliore, della quale non accettano di restare spettatori. Vi incoraggio, perciò, a tendere costantemente “verso l’alto”, accendendo il faro della speranza nelle ore buie della storia. Come sarebbe bello se un giorno la vostra generazione fosse riconosciuta come la “generazione plus”, ricordata per la marcia in più che saprete dare alla Chiesa e al mondo.

Questo, cari ragazzi, non può rimanere il sogno di una persona sola: uniamoci allora per realizzarlo, testimoniando insieme la gioia di credere in Gesù Cristo. Come possiamo riuscirci? La risposta è essenziale: attraverso l’educazione, uno degli strumenti più belli e potenti per cambiare il mondo.

L’amato Papa Francesco, cinque anni fa, ha lanciato il grande progetto del Patto Educativo Globale, e cioè un’alleanza di tutti coloro che, a vario titolo, lavorano nell’ambito dell’educazione e della cultura, per coinvolgere le giovani generazioni in una fraternità universale. Voi, infatti, non siete solo destinatari dell’educazione, ma i suoi protagonisti. Perciò oggi vi chiedo di allearvi per aprire una nuova stagione educativa, nella quale tutti — giovani e adulti — diventiamo credibili testimoni di verità e di pace. Per questo vi dico: siete chiamati a essere truth-speakers e peace-makers, persone di parola e costruttori di pace. Coinvolgete i vostri coetanei nella ricerca della verità e nella coltivazione della pace, esprimendo queste due passioni con la vostra vita, con le parole e con i gesti quotidiani.

In proposito, all’esempio di san Pier Giorgio Frassati unisco una riflessione di san John Henry Newman, un santo studioso, che presto sarà proclamato Dottore della Chiesa. Egli diceva che il sapere si moltiplica quando viene condiviso e che è nella conversazione delle menti che si accende la fiamma della verità. Così la vera pace nasce quando tante vite, come stelle, si uniscono e formano un disegno. Insieme possiamo formare costellazioni educative, che orientano il cammino futuro.

Da ex professore di matematica e fisica, permettetemi di fare con voi qualche calcolo. Avrete l’esame di matematica tra poco forse? Vediamo… Sapete quante stelle ci sono nell’universo osservabile? È un numero impressionante e meraviglioso: un sestilione di stelle – un 1 seguito da 21 zeri! Se le dividessimo tra gli 8 miliardi di abitanti della Terra, ogni uomo avrebbe per sé centinaia di miliardi di stelle. Ad occhio nudo, nelle notti limpide, possiamo scorgerne circa cinquemila. Anche se le stelle sono miliardi di miliardi, vediamo solo le costellazioni più vicine: queste però ci indicano una direzione, come quando si naviga per mare.

Da sempre i viaggiatori hanno trovato la rotta nelle stelle. I marinai seguivano la Stella Polare; i Polinesiani attraversavano l’oceano memorizzando mappe stellari. Secondo i contadini delle Ande, che ho incontrato da missionario in Perù, il cielo è un libro aperto che segna le stagioni della semina, della tosatura, dei cicli della vita. Persino i Magi hanno seguito una stella per arrivare a Betlemme ad adorare Gesù Bambino.

Come loro, anche voi avete stelle-guida: i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti, i buoni amici, bussole per non perdervi nelle vicende liete e tristi della vita. Come loro, siete chiamati a diventare a vostra volta luminosi testimoni per chi vi sta accanto. Ma, come dicevo, una stella da sola resta un punto isolato. Quando si unisce alle altre, invece, forma una costellazione, come la Croce del Sud. Così siete voi: ognuno è una stella, e insieme siete chiamati a orientare il futuro. L’educazione unisce le persone in comunità vive e organizza le idee in costellazioni di senso. Come scrive il profeta Daniele, «quelli che avranno insegnato a molti la giustizia risplenderanno come le stelle in eterno» (Dn 12,3): che meraviglia: siamo stelle, sì, perché siamo scintille di Dio. Educare significa coltivare questo dono.

L’educazione, infatti, ci insegna a guardare in alto, sempre più in alto. Quando Galileo Galilei puntò il cannocchiale al cielo, scoprì mondi nuovi: le lune di Giove, le montagne della Luna. Così è l’educazione: un cannocchiale che vi permette di guardare oltre, di scoprire ciò che da soli non vedreste. Non fermatevi, allora, a guardare lo smartphone e i suoi velocissimi frammenti d’immagini: guardate al Cielo, guardate verso l’alto.

Cari giovani, voi stessi avete suggerito la prima delle nuove sfide che ci impegnano nel nostro Patto Educativo Globale, esprimendo un desiderio forte e chiaro; avete detto: “Aiutateci nell’educazione alla vita interiore.” Sono rimasto veramente colpito da questa richiesta. Non basta avere grande scienza, se poi non sappiamo chi siamo e qual è il senso della vita. Senza silenzio, senza ascolto, senza preghiera, perfino le stelle si spengono. Possiamo conoscere molto del mondo e ignorare il nostro cuore: anche a voi sarà capitato di percepire quella sensazione di vuoto, di inquietudine che non lascia in pace. Nei casi più gravi, assistiamo a episodi di disagio, violenza, bullismo, sopraffazione, persino a giovani che si isolano e non vogliono più rapportarsi con gli altri. Penso che dietro a queste sofferenze ci sia anche il vuoto scavato da una società incapace di educare la dimensione spirituale, non solo tecnica, sociale e morale della persona umana.

Da giovane, sant’Agostino era un ragazzo brillante, ma profondamente insoddisfatto, come leggiamo nella sua autobiografia, Le Confessioni. Egli cercava dappertutto, tra carriera e piaceri, e ne combinava di tutti i colori, senza però trovare né verità né pace. Finché non ha scoperto Dio nel proprio cuore, scrivendo una frase densissima, che vale per tutti noi: «Il mio cuore è inquieto finché non riposa in Te». Ecco allora che cosa significa educare alla vita interiore: ascoltare la nostra inquietudine, non fuggirla né ingozzarla con ciò che non sazia. Il nostro desiderio d’infinito è la bussola che ci dice: “Non accontentarti, sei fatto per qualcosa di più grande”, “non vivacchiare, ma vivi”.

La seconda delle nuove sfide educative è un impegno che ci tocca ogni giorno e del quale voi siete maestri: l’educazione al digitale. Ci vivete dentro, e non è un male: ci sono opportunità enormi di studio e comunicazione. Non lasciate però che sia l’algoritmo a scrivere la vostra storia! Siate voi gli autori: usate con saggezza la tecnologia, ma non lasciate che la tecnologia usi voi.

Anche l’intelligenza artificiale è una grande novità – una delle rerum novarum, cioè delle cose nuove – del nostro tempo: non basta tuttavia essere “intelligenti” nella realtà virtuale, ma bisogna essere umani con gli altri, coltivando un’intelligenza emotiva, spirituale, sociale, ecologica. Perciò vi dico: educatevi ad umanizzare il digitale, costruendolo come uno spazio di fraternità e di creatività, non una gabbia dove rinchiudervi, non una dipendenza o una fuga. Anziché turisti della rete, siate profeti nel mondo digitale!

A questo riguardo, abbiamo davanti un attualissimo esempio di santità: San Carlo Acutis. Un ragazzo che non si è fatto schiavo della rete, usandola invece con abilità per il bene. San Carlo unì la sua bella fede alla passione per l’informatica, creando un sito sui miracoli eucaristici, e facendo così di Internet uno strumento per evangelizzare. La sua iniziativa ci insegna che il digitale è educativo quando non ci rinchiude in noi stessi, ma ci apre agli altri: quando non ti mette al centro, ma ti concentra su Dio e sugli altri.

Carissimi, arriviamo infine alla terza nuova grande sfida che oggi vi affido e che sta al cuore del nuovo Patto Educativo Globale: la educazione alla pace. Vedete bene quanto il nostro futuro venga minacciato dalla guerra e dall’odio che dividono i popoli. Questo futuro può essere cambiato? Certamente! Come? Con un’educazione alla pace disarmata e disarmante. Non basta, infatti, far tacere le armi: occorre disarmare i cuori, rinunciando a ogni violenza e volgarità. In tal modo, un’educazione disarmante e disarmata crea uguaglianza e crescita per tutti, riconoscendo l’uguale dignità di ogni ragazzo e ragazza, senza mai dividere i giovani tra pochi privilegiati che hanno accesso a scuole costosissime e tanti che non accesso all’educazione. Con grande fiducia in voi, vi invito a essere operatori di pace anzitutto lì dove vivete, in famiglia, a scuola, nello sport e tra gli amici, andando incontro a chi proviene da un’altra cultura.

Per concludere, carissimi, il vostro sguardo non sia rivolto alle stelle cadenti, cui si affidano desideri fragili. Guardate ancora più verso l’alto, verso Gesù Cristo, «il sole di giustizia» (cfr Lc 1,78), che vi guiderà sempre nei sentieri della vita.

LEONE XIV