Africa di ieri e di oggi


Papa Francesco: La pace è possibile

Jamal, il musulmano che ha scelto di morire coi cristiani

Celebrazione di Preghiera per la Pace in Sud Sudan e nella Repubblica Democratica del Congo, nella Basilica di San Pietro il 23 novembre 2017

 

 Il 23 novembre 2017 il Santo Padre ha presieduto una Celebrazione di Preghiera per la Pace in Sud Sudan e nella Repubblica Democratica del Congo presso l’Altare della Cattedra della Basilica Vaticana.

 

Papa Francesco ha iniziato la sua omelia parlando di compiere una visita nel Sud Sudan, fino ad ora impossibile. “Sappiamo però che la preghiera è più importante, perché è più potente: la preghiera opera con la forza di Dio, al quale nulla è impossibile".

 

“Noi cristiani crediamo e sappiamo che la pace è possibile perché Cristo è risorto“, ha ribadito il Santo Padre elencando i peccati, vinti da Gesù con la resurrezione: “la superbia, l’avarizia, la brama di potere, la menzogna…”. Papa Francesco ha invitato a pregare per il Sud Sudan e la Repubblica Democratica del Congo perché il Signore abbatta “i muri dell’inimicizia che oggi dividono i fratelli“ e ha rammentato “l’ipocrisia nel tacere o negare le stragi di donne e bambini“. Papa Francesco ha auspicato  per “tutti noi“, “artigiani di pace“, fraternità, rispetto,incontro e solidarietà, “uno spirito nobile, retto, fermo e coraggioso nella ricerca della pace, tramite il dialogo e il negoziato”.

 

La preghiera per la Pace nel Sud Sudan e la Repubblica Democratica del Congo è stata composta da cinque intercessioni: “Preghiamo per la nostra conversione, per poter superare l’indifferenza e le divisioni“, “Preghiamo per le donne vittime della violenza nelle zone di guerra “, “Preghiamo per tutti quelli che provocano le guerre e per coloro che hanno una responsabilità nella comunità internazionale e a livello locale”, “Preghiamo per tutte le vittime innocenti delle guerre e della violenza” e, infine, “Preghiamo per tutti coloro che si impegnano generosamente a favore della pace nel Sud Sudan e nella Repubblica Democratica del Congo”.

 

Nel Sud Sudan e nella Repubblica Democratica del Congo, le donne coprono un ruolo molto importante nel nucleo familiare. Spesso non solo le donne di tutte le età, ma anche ragazze minorenni e addirittura bambine subiscono abusi e violenze usati come ulteriore strumento di guerra causando gravi traumi e ferite fisiche e psicologiche. Per questo motivo Papa Francesco ha voluto attirare una particolare attenzione sulla sorte delle donne vittime della violenza nelle zone di guerra. La preghiera si è conclusa con la “Preghiera di San Francesco per la pace”.

 

***

 

Riportiamo di seguito il testo integrale dell’omelia pronunciata dal Santo Padre nel corso della Celebrazione di Preghiera per la Pace in Sud Sudan e nella Repubblica Democratica del Congo:

 

Stasera, con la preghiera, vogliamo gettare semi di pace nella terra del Sud Sudan e della Repubblica Democratica del Congo, e in ogni terra ferita dalla guerra. Nel Sud Sudan avevo già deciso di compiere una visita, ma non è stato possibile. Sappiamo però che la preghiera è più importante, perché è più potente: la preghiera opera con la forza di Dio, al quale nulla è impossibile. Per questo ringrazio di cuore quanti hanno progettato questa veglia e si sono impegnati per realizzarla. «Cristo Risorto ci invita. Alleluia!». Queste parole del canto in lingua swahili hanno accompagnato la processione d’ingresso, con alcune immagini dei due Paesi per i quali in particolare preghiamo. Noi cristiani crediamo e sappiamo che la pace è possibile perché Cristo è risorto. Lui ci dona lo Spirito Santo, che abbiamo invocato. Come ci ha ricordato poco fa san Paolo, Gesù Cristo «è la nostra pace» (Ef 2,14). Sulla croce, Egli ha preso su di sé tutto il male del mondo, compresi i peccati che generano e fomentano le guerre: la superbia, l’avarizia, la brama di potere, la menzogna… Tutto questo Gesù ha vinto con la sua risurrezione. Apparendo in mezzo ai suoi amici dice: «Pace a voi!» (Gv 20,19.21.26). Lo ripete anche a noi stasera, qui: «Pace a voi!». Senza di te, Signore, vana sarebbe la nostra preghiera, e illusoria la nostra speranza di pace. Ma Tu sei vivo e operi per noi e con noi, Tu, nostra pace! Il Signore Risorto abbatta i muri dell’inimicizia che oggi dividono i fratelli, specialmente nel Sud Sudan e nella Repubblica Democratica del Congo. Soccorra le donne vittime di violenza nelle zone di guerra e in ogni parte del mondo. Salvi i bambini che soffrono a causa di conflitti a cui sono estranei, ma che rubano loro l’infanzia e a volte anche la vita. Quanta ipocrisia nel tacere o negare le stragi di donne e bambini! Qui la guerra mostra il suo volto più orribile. Il Signore aiuti tutti i piccoli e i poveri del mondo a continuare a credere e sperare che il Regno di Dio è vicino, è in mezzo a noi, ed è «giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo» (Rm 14,17). Sostenga tutti coloro che, giorno per giorno, si sforzano di combattere il male col bene, con gesti e parole di fraternità, di rispetto, di incontro, di solidarietà. Il Signore rafforzi nei governanti e in tutti i responsabili uno spirito nobile, retto, fermo e coraggioso nella ricerca della pace, tramite il dialogo e il negoziato. Il Signore conceda a tutti noi di essere artigiani di pace lì dove siamo, in famiglia, a scuola, al lavoro, nelle comunità, in ogni ambiente; “lavandoci i piedi” gli uni gli altri, ad immagine del nostro Maestro e Signore. A Lui la gloria e la lode, oggi e nei secoli. Amen.

 
 
Un fotogramma terribile del terrore jihadista. Che abbiamo fatto fatica a ricollegare all'altra notizia drammatica di queste ore,  il dramma dei migranti affogati nel Mediterraneo (anche se le persone sarebbero potute tranquillamente essere le stesse). Nel nostro flusso di informazione malata, dove le parole hanno sempre la meglio sulle storie, sono già scivolati via dai riflettori gli etiopi uccisi in Libia dallo Stato Islamico e mostrati in un nuovo terribile video di Al Furqan, la macchina della propaganda del sedicente califfato.
 
In questi giorni - però - sono arrivate una serie di notizie importanti su queste nuove vittime della follia jihadista. Ad esempio che non erano solo etiopi; tra loro c'erano anche degli eritrei. Ma soprattutto un po' alla volta tutti i volti vengono associati a un nome e a una storia. E così è venuto fuori anche un fatto del tutto inaspettato: tra i 28 che nel video vengono presentati come «cristiani etiopi» in realtà c'era anche un musulmano.
 
Si chiamava Jamaal Rahman ed era anche lui un migrante proveniente dall'Etiopia. Solo che la sua è una famiglia islamica. A confermare la notizia è stata una fonte del tutto insospettabile: un miliziano degli al Shabab, i fondamentalisti islamici della Somalia. Che - come riferisce un quotidiano on line del Somaliland - ha spiegato la «stranezza» sostenendo che «si era convertito al cristianesimo durante il viaggio».
 
C'è però anche un'altra versione, molto più verosimile, raccolta sempre in ambienti jihadisti: il musulmano Jamaal «follemente» si sarebbe offerto come volontario ai jihadisti come ostaggio, per solidarietà con l'amico cristiano con cui stava compiendo il viaggio. Forse pensava che la presenza di un musulmano nel gruppo avrebbe per lo meno salvato la vita alle altre persone. Ma così non è stato: è stato ucciso anche lui, trattato come un apostata.
 
Sembra proprio un'altra storia di un «Giusto dell'islam» che ha scelto di opporsi a viso aperto all'Isis, ben sapendo quello che rischiava. La stessa scelta compiuta quest'estate a Mosul da Mahmoud Al 'Asali, il docente musulmano dell'Università che si era schierato pubblicamente contro la persecuzione nei confronti dei cristiani della città.
 
Gesto che anche lui ha pagato con la vita. Jamaal, Mahmoud - e probabilmente tanti altri di cui non sappiamo nulla - sono la voce della coscienza dell'islam. Una voce che andrebbe fatta conoscere e che invece guardiamo sempre in maniera distratta. Salvo poi lamentarci perché i musulmani non reagiscono a follie come quelle dello Stato Islamico.
 
Hanno commesso un grosso errore questa volta gli strateghi della comunicazione jihadista: sono stati loro stessi a diffondere l'immagine di un volto diverso dell'islam; il volto di un musulmano che - alla violenza e all'intolleranza - ha contrapposto un'amicizia capace di arrivare a condividere persino il martirio di un gruppo di cristiani. Avremo occhi - almeno questa volta - per vederlo? O scorrerà via, affogato dalle nostre parole?
 
 
Giorgio Bernardelli  
 
(articolo tratto da www.missionline.org
 
 
 

Il racconto dal vivo della tragedia di Garissa (Kenya). Condividere il dolore, portare sollievo ai parenti degli studenti uccisi. La solidarietà che nasce dalla tragedia.

 

20150415-01  «Il Venerdì Santo è avvenuta la strage di Garissa. Mi sono recata nell’obitorio dove stavano trasportando le salme degli studenti per il riconoscimento, non lontano dalla mia casa a Nairobi, portando con me la macchina fotografica: era impossibile non sentire le sirene. Ho trovato da una parte i genitori degli studenti uccisi che svenivano… dall’altra, i colleghi con le telecamere. Certamente avrei potuto riprendere qualche intervista, ma non ce l’ho fatta; mi sono trovata subito a piangere con quelle famiglie. C’era una forte pressione da parte di tutti, dell’opinione pubblica, che voleva avere notizie, si aspettava qualcosa … io, però, avevo bisogno di tempo per assumere e digerire questa situazione così dolorosa, per essere in grado di dire qualcosa di costruttivo. Sentivo che la mia parte era di stare in silenzio con questo dolore, e resistere alle pressioni». Racconta, non senza commozione, Liliane Mugombozi, giornalista keniota.

 

20150415-04Sono quasi 150 le vittime dell’attacco da parte di estremisti somali al Garissa University College, nel Nord-Est del Kenya (al confine con la Somalia e a 350 km dalla capitale Nairobi). Nella giornata del 3 aprile, infatti, i terroristi avevano attaccato il college, prendendo di mira gli studenti cristiani. Solo l’intervento delle forze armate governative, che hanno fronteggiato per l’intera giornata gli assalitori, ha evitato che la strage avesse dimensioni ancora maggiori. Ma la paura generale di nuovi attacchi resta così alta che, anche un qualunque incidente può scatenare il panico con pesanti conseguenze, come è successo il 12 aprile al “Kikuyu Campus” (altro college universitario) di Uthiru, a 30 km da Nairobi: un trasformatore elettrico nelle vicinanze è esploso provocando uno boato simile all’esplosione di una bomba. Uno studente è morto lanciandosi dal 5° piano e circa 150 sono rimasti feriti, nell’intento disperato di fuggire.

 

20150415-02«Già dai primi giorni, con tanti della comunità siamo stati nella camera mortuaria dove sono stati portati i 148 corpi dei giovani uccisi, per consolare le persone che hanno perso i loro figli – racconta Charles Besigye della comunità locale dei Focolari –. Oggi, 11 aprile, insieme ai nostri giovani, abbiamo passato il pomeriggio nell’obitorio. È qualcosa che spezza il cuore! Persone nella sospensione assoluta che, a distanza di una settimana, non sanno ancora dove sono i propri figli. Alcuni corpi sono già stati identificati e li stanno portando via per la sepoltura nei rispettivi villaggi. Il dolore è immenso… scene angoscianti dei parenti. È straziante vederli crollare, dopo tanto tempo di attesa. Siamo rimasti lì per condividere con loro il dolore, per aiutarli a portare questa pesante croce. Per piangere con quelli che riescono ancora a farlo, perché c’è chi non ha più lacrime. Una di noi si è offerta a dare una mano per aiutare a sistemare i corpi dei giovani defunti prima di mostrarli ai parenti. Una esperienza forte! C’è tanto spirito di solidarietà da parte delle varie associazioni e di tutto il popolo keniota: portano pane, latte, bibite, ecc… E tutti i mass-media richiamano all’unità e al dialogo. Commuove anche vedere il clima sacro che si respira nell’obitorio. Le persone che si raccolgono: chi prega Dio, chi consola».

 

Nel corso della Via Crucis al Colosseo di Roma la sera del Venerdì Santo, il Papa ha usato parole durissime: «La sete del tuo Padre misericordioso – ha detto Francesco – che in te ha voluto abbracciare, perdonare e salvare tutta l’umanità ci fa pensare alla sete dei nostri fratelli perseguitati, decapitati e crocifissi per la loro fede in te, sotto i nostri occhi o spesso con il nostro silenzio complice». È un forte monito che ci sprona a non tacere.

 

 
 

ROMA, 04 Aprile 2015 (Zenit.org) - Ancora sangue in Kenya, ancora violenza «brutale e senza senso», come definita da Papa Francesco. I terroristi somali del gruppo Al Shabaab irrompono, alle ore 21 italiane del 2 aprile, nel campus universitario di Garissa, a Nord-Est del Kenya, facendo 148 vittime e ferendo altre 79 persone.

 

Un’azione dettata dalla persecuzione religiosa che attanaglia quelle terre, giacché dopo il blitz, i militanti della falange islamista hanno rapito diverse persone dividendole in base al loro Credo. «La Ragione, prima ancora che le Fedi – afferma il Cardinal Angelo Bagnasco nella sua Prolusione al Consiglio Permanente della Cei – non può non condannare tanta barbara e studiata crudeltà contro le minoranze e in particolare contro i cristiani solo perché cristiani. Perché tanta barbarie compiaciuta ed esibita? Perché non fermarsi neppure davanti ai bambini e agli inermi?».

 

In Kenya la popolazione è a quasi totale maggioranza Cristiana, con l’84,4 percento di abitanti appartenenti a questa Fede. Seguono i musulmani, con il 9,7 percento, e le altre religioni del territorio. Il Paese africano ha subito, in questi ultimi anni, le terribili incursioni terroristiche di Al-Shabaab, culminate nell’attacco al centro commerciale Westgate della Capitale Nairobi, dove persero la vita 68 persone, alcune delle quali uccise perché non sapevano recitare a memoria versi del Corano o perché non conoscevano il nome della madre del profeta Maometto.

 

In Somalia il 99,8 percento della popolazione (10 milioni 195mila persone) è di fede Musulmana. La libertà religiosa è del tutto inesistente per la piccola minoranza Cristiana, pesantemente perseguitata dagli estremisti. Nei territori controllati da Al-Shabaab, non è in vigore alcuna Costituzione formale: ciò che viene applicata è una versione radicale della Shari’a, che non lascia spazio alcuno ad altre religioni che non siano l’Islam.

 

Chi è sospettato di aver lasciato l’Islamismo per il Cristianesimo, è detenuto per lungo tempo senza alcuna garanzia giuridica o giustiziato senza processo. La lapidazione è la punizione per l’adulterio, le mani sono tagliate in caso di furto. Nei territori sotto l’egemonia di Al-Shabaab, antichi santuari e cimiteri sufi sono stati distrutti, così come cinema pubblici, luoghi di ristorazione e di ritrovo. La versione radicale della Shari’a non permette agli abitanti di vestire all’Occidentale, di guardare partite di calcio, di cantare o ballare ai matrimoni e, soprattutto, di organizzare eventi sportivi. Un oscurantismo che condiziona pesantemente la vita nel Corno d’Africa.

 

In Kenya, Aiuto alla Chiesa che Soffre ha previsto programmi umanitari e educativi per chi vive costantemente sotto minaccia. Nel 2012 è stata lanciata Radio Akicha, emittente che trasmette dalla diocesi keniota di Lodwar e che si rivolge ai Turkana, tribù keniota di fede Cristiana. Un programma educativo e pastorale, che prevede programmi di stampo religioso, notizie e musica.

 

«Perfino i musulmani ascoltano con interesse le trasmissioni – racconta ad Acs Padre Avelino Bassols, della locale comunità missionaria di San Paolo Apostolo – al punto che alcuni di loro hanno comprato una Bibbia per approfondire i testi sacri ascoltati in radio».

 

Educazione, comunicazione, dialogo. Queste le parole chiave su cui Acs sta lavorando in Kenya e in Somalia, per ricomporre i conflitti che dividono questi due Paesi confinanti. Il ruolo di Radio Akicha è fondamentale in tal senso: «È un mezzo di comunicazione che assolve a numerosi compiti – afferma monsignor Dominic Kimengich, Vescovo di Lodwar – nella lotta al dilagare dell’HIV e dell’AIDS fino al sostegno pastorale per i fedeli. Possiamo così contribuire alla formazione e all’educazione dei giovani».

 

Un esempio di confronto, educazione e dialogo che, si spera, possa costituire la base per far sì che stragi del genere non si ripetano più, come auspicato da Papa Francesco durante la Via Crucis del Venerdì Santo.

 


Documenti allegati

 AFRICA dall'A alla Z
 Fauna e vita del Kenya
 Il fiume Niger
 In Africa

 

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Messaggio Cristiano
INCONTRO CON GLI STUDENTI IN OCCASIONE DEL GIUBILEO DEL MONDO EDUCATIVO - Aula Paolo VI, 30 ottobre 2025

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo,
La pace sia con voi!

Cari ragazzi, care ragazze, buongiorno!

Che gioia incontrarvi! Grazie a voi! Ho atteso questo momento con grande emozione: la vostra compagnia, infatti, mi fa ricordare gli anni nei quali insegnavo matematica a giovani vivaci come voi. Vi ringrazio per aver risposto così, per essere qui oggi, per condividere le riflessioni e le speranze che, attraverso di voi, consegno ai nostri amici sparsi in tutto il mondo.

Vorrei cominciare ricordando Pier Giorgio Frassati, uno studente italiano che, come sapete, è stato canonizzato durante quest’anno giubilare. Col suo animo appassionato per Dio e per il prossimo, questo giovane santo coniò due frasi che ripeteva spesso, quasi come un motto, lui diceva: “Vivere senza fede non è vivere, ma vivacchiare” e ancora: “Verso l’alto”. Sono affermazioni molto vere e incoraggianti. Anche a voi, perciò, dico: abbiate l’audacia di vivere in pienezza. Non accontentatevi delle apparenze o delle mode: un’esistenza appiattita su quel che passa non ci soddisfa mai. Invece, ognuno dica nel proprio cuore: “Sogno di più, Signore, ho voglia di più: ispirami tu!”. Questo desiderio è la vostra forza ed esprime bene l’impegno di giovani che progettano una società migliore, della quale non accettano di restare spettatori. Vi incoraggio, perciò, a tendere costantemente “verso l’alto”, accendendo il faro della speranza nelle ore buie della storia. Come sarebbe bello se un giorno la vostra generazione fosse riconosciuta come la “generazione plus”, ricordata per la marcia in più che saprete dare alla Chiesa e al mondo.

Questo, cari ragazzi, non può rimanere il sogno di una persona sola: uniamoci allora per realizzarlo, testimoniando insieme la gioia di credere in Gesù Cristo. Come possiamo riuscirci? La risposta è essenziale: attraverso l’educazione, uno degli strumenti più belli e potenti per cambiare il mondo.

L’amato Papa Francesco, cinque anni fa, ha lanciato il grande progetto del Patto Educativo Globale, e cioè un’alleanza di tutti coloro che, a vario titolo, lavorano nell’ambito dell’educazione e della cultura, per coinvolgere le giovani generazioni in una fraternità universale. Voi, infatti, non siete solo destinatari dell’educazione, ma i suoi protagonisti. Perciò oggi vi chiedo di allearvi per aprire una nuova stagione educativa, nella quale tutti — giovani e adulti — diventiamo credibili testimoni di verità e di pace. Per questo vi dico: siete chiamati a essere truth-speakers e peace-makers, persone di parola e costruttori di pace. Coinvolgete i vostri coetanei nella ricerca della verità e nella coltivazione della pace, esprimendo queste due passioni con la vostra vita, con le parole e con i gesti quotidiani.

In proposito, all’esempio di san Pier Giorgio Frassati unisco una riflessione di san John Henry Newman, un santo studioso, che presto sarà proclamato Dottore della Chiesa. Egli diceva che il sapere si moltiplica quando viene condiviso e che è nella conversazione delle menti che si accende la fiamma della verità. Così la vera pace nasce quando tante vite, come stelle, si uniscono e formano un disegno. Insieme possiamo formare costellazioni educative, che orientano il cammino futuro.

Da ex professore di matematica e fisica, permettetemi di fare con voi qualche calcolo. Avrete l’esame di matematica tra poco forse? Vediamo… Sapete quante stelle ci sono nell’universo osservabile? È un numero impressionante e meraviglioso: un sestilione di stelle – un 1 seguito da 21 zeri! Se le dividessimo tra gli 8 miliardi di abitanti della Terra, ogni uomo avrebbe per sé centinaia di miliardi di stelle. Ad occhio nudo, nelle notti limpide, possiamo scorgerne circa cinquemila. Anche se le stelle sono miliardi di miliardi, vediamo solo le costellazioni più vicine: queste però ci indicano una direzione, come quando si naviga per mare.

Da sempre i viaggiatori hanno trovato la rotta nelle stelle. I marinai seguivano la Stella Polare; i Polinesiani attraversavano l’oceano memorizzando mappe stellari. Secondo i contadini delle Ande, che ho incontrato da missionario in Perù, il cielo è un libro aperto che segna le stagioni della semina, della tosatura, dei cicli della vita. Persino i Magi hanno seguito una stella per arrivare a Betlemme ad adorare Gesù Bambino.

Come loro, anche voi avete stelle-guida: i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti, i buoni amici, bussole per non perdervi nelle vicende liete e tristi della vita. Come loro, siete chiamati a diventare a vostra volta luminosi testimoni per chi vi sta accanto. Ma, come dicevo, una stella da sola resta un punto isolato. Quando si unisce alle altre, invece, forma una costellazione, come la Croce del Sud. Così siete voi: ognuno è una stella, e insieme siete chiamati a orientare il futuro. L’educazione unisce le persone in comunità vive e organizza le idee in costellazioni di senso. Come scrive il profeta Daniele, «quelli che avranno insegnato a molti la giustizia risplenderanno come le stelle in eterno» (Dn 12,3): che meraviglia: siamo stelle, sì, perché siamo scintille di Dio. Educare significa coltivare questo dono.

L’educazione, infatti, ci insegna a guardare in alto, sempre più in alto. Quando Galileo Galilei puntò il cannocchiale al cielo, scoprì mondi nuovi: le lune di Giove, le montagne della Luna. Così è l’educazione: un cannocchiale che vi permette di guardare oltre, di scoprire ciò che da soli non vedreste. Non fermatevi, allora, a guardare lo smartphone e i suoi velocissimi frammenti d’immagini: guardate al Cielo, guardate verso l’alto.

Cari giovani, voi stessi avete suggerito la prima delle nuove sfide che ci impegnano nel nostro Patto Educativo Globale, esprimendo un desiderio forte e chiaro; avete detto: “Aiutateci nell’educazione alla vita interiore.” Sono rimasto veramente colpito da questa richiesta. Non basta avere grande scienza, se poi non sappiamo chi siamo e qual è il senso della vita. Senza silenzio, senza ascolto, senza preghiera, perfino le stelle si spengono. Possiamo conoscere molto del mondo e ignorare il nostro cuore: anche a voi sarà capitato di percepire quella sensazione di vuoto, di inquietudine che non lascia in pace. Nei casi più gravi, assistiamo a episodi di disagio, violenza, bullismo, sopraffazione, persino a giovani che si isolano e non vogliono più rapportarsi con gli altri. Penso che dietro a queste sofferenze ci sia anche il vuoto scavato da una società incapace di educare la dimensione spirituale, non solo tecnica, sociale e morale della persona umana.

Da giovane, sant’Agostino era un ragazzo brillante, ma profondamente insoddisfatto, come leggiamo nella sua autobiografia, Le Confessioni. Egli cercava dappertutto, tra carriera e piaceri, e ne combinava di tutti i colori, senza però trovare né verità né pace. Finché non ha scoperto Dio nel proprio cuore, scrivendo una frase densissima, che vale per tutti noi: «Il mio cuore è inquieto finché non riposa in Te». Ecco allora che cosa significa educare alla vita interiore: ascoltare la nostra inquietudine, non fuggirla né ingozzarla con ciò che non sazia. Il nostro desiderio d’infinito è la bussola che ci dice: “Non accontentarti, sei fatto per qualcosa di più grande”, “non vivacchiare, ma vivi”.

La seconda delle nuove sfide educative è un impegno che ci tocca ogni giorno e del quale voi siete maestri: l’educazione al digitale. Ci vivete dentro, e non è un male: ci sono opportunità enormi di studio e comunicazione. Non lasciate però che sia l’algoritmo a scrivere la vostra storia! Siate voi gli autori: usate con saggezza la tecnologia, ma non lasciate che la tecnologia usi voi.

Anche l’intelligenza artificiale è una grande novità – una delle rerum novarum, cioè delle cose nuove – del nostro tempo: non basta tuttavia essere “intelligenti” nella realtà virtuale, ma bisogna essere umani con gli altri, coltivando un’intelligenza emotiva, spirituale, sociale, ecologica. Perciò vi dico: educatevi ad umanizzare il digitale, costruendolo come uno spazio di fraternità e di creatività, non una gabbia dove rinchiudervi, non una dipendenza o una fuga. Anziché turisti della rete, siate profeti nel mondo digitale!

A questo riguardo, abbiamo davanti un attualissimo esempio di santità: San Carlo Acutis. Un ragazzo che non si è fatto schiavo della rete, usandola invece con abilità per il bene. San Carlo unì la sua bella fede alla passione per l’informatica, creando un sito sui miracoli eucaristici, e facendo così di Internet uno strumento per evangelizzare. La sua iniziativa ci insegna che il digitale è educativo quando non ci rinchiude in noi stessi, ma ci apre agli altri: quando non ti mette al centro, ma ti concentra su Dio e sugli altri.

Carissimi, arriviamo infine alla terza nuova grande sfida che oggi vi affido e che sta al cuore del nuovo Patto Educativo Globale: la educazione alla pace. Vedete bene quanto il nostro futuro venga minacciato dalla guerra e dall’odio che dividono i popoli. Questo futuro può essere cambiato? Certamente! Come? Con un’educazione alla pace disarmata e disarmante. Non basta, infatti, far tacere le armi: occorre disarmare i cuori, rinunciando a ogni violenza e volgarità. In tal modo, un’educazione disarmante e disarmata crea uguaglianza e crescita per tutti, riconoscendo l’uguale dignità di ogni ragazzo e ragazza, senza mai dividere i giovani tra pochi privilegiati che hanno accesso a scuole costosissime e tanti che non accesso all’educazione. Con grande fiducia in voi, vi invito a essere operatori di pace anzitutto lì dove vivete, in famiglia, a scuola, nello sport e tra gli amici, andando incontro a chi proviene da un’altra cultura.

Per concludere, carissimi, il vostro sguardo non sia rivolto alle stelle cadenti, cui si affidano desideri fragili. Guardate ancora più verso l’alto, verso Gesù Cristo, «il sole di giustizia» (cfr Lc 1,78), che vi guiderà sempre nei sentieri della vita.

LEONE XIV