Africa di ieri e di oggi


Padre Valentino Vallarino, ofmcapp.

Sulla stregoneria (v. allegati su youtube)

 

 

 

Padre Valentino Vallarino - Stregoneria - Parte I - sezione 1:

http://www.youtube.com/watch?v=cfrog5cIuMY


e  Parte I - sezione 2:

http://www.youtube.com/watch?v=UkkN7pEF_Bc

 

 

 

Parte II - sezione 1:

http://www.youtube.com/watch?v=vJFjfVScsfI

 

e Parte II - sezione 2:

http://www.youtube.com/watch?v=ccnPWauO6uc




Parte III:
http://www.youtube.com/watch?v=rJmnofkZMEo



 

Intervista

 

1) Innanzi tutto, complimenti! Lascia che ti dia del "tu", dato che è nel "a tu per tu" che possiamo intenderci meglio. Con quel tuo "barbone" da venerando incuti rispetto, ma, sai, siamo nel 2010 e  facciamo  finta di essere anche noi sull´onda dell´attualità.

Che ne dici dei tuoi 50 anni di  sacerdozio e 48 di vita missionaria?

 

                Non nascondo che venire interrogato sul mio " essere  o operare"  mi preoccupa non poco:  "nemo iudex in causa propria".  Ma la carità deve farci uscire da noi stessi.  Eccomi pronto.

Innanzi tutto, anche se è la cosa meno importante, avere o non avere la barba, non ha valore.  Quante volte avrei preferito apparire come la maggioranza dei frati!  Ma ogni volta mi son detto: la barba incolta mi sembra più confacente al nostro semplice abito cappuccino. Chiuso.

Guardando indietro,  lungo i miei cinquant´anni  di ministro dell´ amore e della misericordia di Gesù, mi risuonano le parole di Giovanni a Pietro, durante la pesca che divenne miracolosa: "E´ il Signore!". Erano affaticati e stanchi, avevano lavorato invano, ma con Lui le cose cambiarono!  Mi rendo conto che anch´io, tantissime volte, nella vita ordinaria del mio ministero, ma anche in certi momenti di difficoltà, non sono stato all´altezza di riconoscere Gesù nel quotidiano. E ho agito come se tutto dipendesse da me!  Ma ho perduto del tempo di grazia.

Non faccio distinzione, davanti a Dio, tra la mia vita di sacerdozio e di missionario. Si compenetrano.  Anche se l´una è la fonte, e l´altra è l´acqua che scorre.

Ne ringrazio Dio e mi abbandono alla sua misericordia. E voglio fare meglio in avvenire, anche se sono passati già 75 anni.

 

 

2)   So che gli autoctoni, tra cui vivi, ti avevano soprannominato: "Waka – waka!"  = presto-presto…  Perché questo tuo " molto fare" e invitare gli altri   a … fare?

 

           Negli anni 1970,  durante la visita del nostro Padre Bonaventura Marinelli da Trento, gli espressi il desiderio di farmi fare un piccolo studio sul mio carattere, inviando  a "Selezione" di Parigi  un test scritto di mia mano.

Dopo circa un mese, arrivò un  lungo dossier sul test.  " Il suo temperamento aspira  al movimento – azione che potrà essere efficace in "ambiente"  di intesa e simpatia". Niente di straordinario, ma alla lettura di quel dossier mi riconobbi  "nella mia pelle!".

Mi sembra di avere risposto alla domanda solo in parte.

Padre nostro, che il tuo regno venga! Dacci il nostro pane quotidiano, bontà e mezzi da condividere e possibilità di agire per  portare il tuo amore e affetto a tanta gente di buona volontà. E questa è la seconda parte.

 

 

3) Come mai oggi, appena arrivato nel tuo Paese, hai tanta voglia di ritornare in Africa? Chi te lo fa  fare ?

 

         E´ la voglia di ritornare a casa!

La casa? E´ il luogo della tua vita, delle tue gioie e delle tue sofferenze. Ove ti senti a tuo agio.

Qui, in Italia, sono spaesato. Sì, c´è ancora buona parte della mia famiglia di sangue e dei miei confratelli: è un posto ove ci si ama. Insieme abbiamo gioito e sofferto.

Ma in Africa ho il mio lavoro e tanti  volti cari  con i quali  ho sofferto molto, e lavorato molto.

In particolare sono vive le difficoltà di questi ultimi sette anni: a causa del lavoro nei campi sempre più difficile, della globalizzazione, dello smog che ha cambiato il clima e le piogge  stagionali; a  causa della situazione politica che genera incomprensioni e gelosie, tra  militari regolari, patrioti ribelli al governo, predoni della strada, con conseguente  insoddisfazione dei giovani che vorrebbero uscire da una vita ordinaria di stenti, per andare incontro alle  chimere dei  mas media. Vita dura, vissuta vicino alle famiglie, abituate ad una vita rude. Il Missionario resta là, perché si amalgama, si integra come Gesù.

Ma in tutto questo c´è anche una serenità profonda, che l´occidente nella sua opulenza non conosce più: gesti  ordinari che ti restano nel cuore indelebilmente.

 

-      L´altro giorno, alla maternità, la moglie  di Theodore ha avuto due gemelli: imprevisti.

Il primissimo vestitino preparato per coprirne uno,  é insufficiente per due.

Theodore guarda le due larghe maniche del suo "boubou"     le taglia con decisione  e amore, e vi infila i due corpicini dei gemelli. Theodore e Amina, la moglie, ne prendono uno ciascuno, si guardano sorridenti.

 

- Robert ha perduto sua figlia  Monique  di  quattordici anni.  Molti  vogliono che Robert cerchi, con l´aiuto dello stregone,  colui che l´ha fatta morire: solo i vecchi muoiono di morte naturale!

In chiesa, davanti ad una fiumana di gente, Robert, stanco di due giorni senza sonno, si alza in piedi  davanti al corpo della figlia che giace su una stuoia, e dice: "Può darsi che  qualcuno abbia fatto questo male: ma io lo metto nelle Mani di Dio. Non giudico".

 

-  Qualche settimana fa ho invitato Gilbert, un consigliere della mia parrocchia di Fatima, a pranzo da noi.  Abbiamo mangiato alcuni piccoli pesci dei nostri bacini di acqua dolce.

Ad un certo momento vedo che allunga la mano nel mio piatto, per asportare le lische di pesci che avevo messo da parte e metterle in un fazzoletto. "Che fai ,Gilbert?".  "Le prendo  per i miei figli!".

Rimasi pietrificato! Io, figlio di Francesco il Poverello, umiliato da questo gesto di un padre, preoccupato di portare ai suoi figli qualche cosa della mia mensa di ricco epulone.

 

-    Dal quartiere  Tukoul di Ngaoundaye per andare ai campi c´è da attraversare un torrente.

Ogni anno, durante la stagione delle piogge, vi é qualche morto annegato: o bimbi o vecchi che scivolano sui tronchi messi a modo di ponte.

Vi andai con alcuni del quartiere. (Tempi addietro mi ero fatto regalare da un´impresa europea delle putrelle " per il bene pubblico").

Ci incontrammo vicino al torrente, quasi tutti protestanti, e  pregammo Gesù di aiutarci. Promisero di mettere insieme un po´ dei loro spiccioli  per comprare  il cemento, e mi portarono 78.000 cfa (circa 125 euro). Cercarono molta sabbia, scavarono profonde fosse per costruire i piedi del ponte, portarono pietre grosse e in grande quantità. Lavorarono dal mattino alla sera, biascicando solamente qualche arachide, in una gioia comune che emozionava, liberi di darsi per il bene del quartiere.  Tutta la gente che arrivava dai campi si fermava a vedere questi giovani uomini lavorare gioiosamente… Ho gustato anch´io la loro gioia.

 

- Poco tempo fa scendevo a Bangui da Bouar.  Il superiore Raffaele mi aveva prestato un veicolo toyota. Arrivato a Bossentele, un gruppo di gendarmi mi ferma; mi hanno visto senza cintura di sicurezza. (Qui puoi fare anche cinquanta o cento kilometri a volte, senza incontrare un veicolo!).

" Riconosci  di non avere  la cintura di sicurezza?". " Si !".

" Allora devi pagare 25.000 di tassa…"." Non sono d´accordo".

" Perché?". "Innanzi tutto andavo a piccola velocità; poi questo veicolo mi è stato prestato, e, dato che viaggia sempre sulle sterrate  piste della savana… guarda, non ha neppure la cinghia da questa parte. E poi lascia che ti dica la verità; vedi  queste sei persone che conduco con me alla capitale? Ebbene non ho chiesto nulla a loro e le conduco gratuitamente per amore di Dio. E tu non puoi fare lo stesso con me e amarmi come amo loro? Non siamo forse tutti una sola famiglia in Centroafrica?".

Mi guardò sorridente:  "Vada, Padre!".

 

4)  Vivendo  spesso da solo nella savana avrai incontrato difficoltà. Dove e come hai trovato la forza per ricominciare? Per tirarti su?

 

Cerco di vivere il momento presente. Non esiste il caso o la fortuna. Nei momenti difficili è la riflessione in Dio che mi aiuta o la preghiera con qualche vicino, missionario o semplice compagno di strada.     

         Quante volte sono andato in  missione di pace  tra ribelli o militari regolari in lotta tra di loro! E vi andavo con  questo espediente:  caricavo della povera gente, che camminava sulla mia strada. Proprio gli ultimi, come dice Gesù: "Quello che fate all´ultimo, lo avete fatto a me". Ed ero sicuro di avere Gesù con me, adempiendo il suo comando di amore vicendevole.  Mentre viaggiavo con Lui, che era nella cabina con me, dicevamo il rosario. Ti assicuro: è un tocca-sana!

 

 

5) Che differenza trovi nel tuo lavoro missionario di oggi rispetto a quello di ieri, dopo 48 anni?

 

          Dopo il Concilio Vaticano II le cose, piano piano, hanno incominciato a cambiare. Prima  eravamo noi missionari a fare  quasi tutto… anche a guidare i grossi Mercedes.  Dopo il grande lavoro fatto dai primi missionari per le scuole dei catechisti, l´azione di evangelizzazione si è propagata e stabilizzata nello stesso tempo, con questi primissimi agenti pastorali  ai nostri fianchi: la Coppia catechista.  Pure nei villaggi più distanti della savana ci sono loro. Insieme ai consiglieri  della comunità cristiana,  organizzano la vita di ogni giorno sotto lo sguardo di Dio: preghiera, lettura della bibbia, testimonianza cristiana, aiuto vicendevole nella quotidianità.

Il nostro ruolo attuale è di " confermare nella fede" i cristiani, vivendo la nostra fede personale, e di preparare il domani: scuole dei catechisti, seminari per le vocazioni presbiterali e religiose.

Da parte nostra verso i nostri fratelli africani c´è molto rispetto. Prima si pensava  di venire ad apportare dell´aria nuova. Parlavamo noi per primi, adesso parliamo dopo averli ascoltati.

Vedendo - con amarezza! - la nostra civiltà occidentale, ci si rende conto come la genuinità della fede e del comportamento civile conseguente, è retaggio di chi vive nella povertà e nell´abbandono in Dio, dove la relazione interpersonale ha la priorità su tutti gli interessi: BE NA BE, come dice il nostro Ex.

 

 

      

 

Lettore, hai letto l´intervista che avevo fatto a padre Valentino Vallarino, in occasione del suo 50° anno di sacerdozio e 48° di vita missionaria in Centrafrica.

 

Quando, due anni e mezzo fa, avevo progettato l´attuale Sito BENABE, l´organizzatore aveva scritto in bella vista: banca o Conto Corrente a cui inviare le offerte… Subito risposi che non era quello il nostro scopo. 

 

Ti ringrazio perché ogni tanto clicchi su questo Sito; un centinaio di persone quotidianamente lo fanno. Sai pure che sempre mi firmo L´Ex. Non sono mancati i lettori che qua e là in Info mi hanno domandato di … venire allo scoperto. Mai l´ho fatto. Lo faccio adesso, presentando le risposte di Valentino, che è … mio fratello minore. In Centrafrica in lingua sango direbbero: "ala nion me oko" = essi hanno succhiato allo stesso seno".

 

Non aggiungo altro. Dopo aver letto le sue risposte, Valentino ti sarà diventato"simpatico" e, forse, un piccolo pensiero di dargli una mano ti sarà venuto alla mente… Per te, lettore, e per chi desidera dare un aiuto a Valentino, affinché sia completamente a disposizione della sua gente, ecco come fare per fargli giungere qualche "palanca": inviare al Centro Missioni Estere Cappuccini   -  Via Mura di San Bernardino, 15  -   C.C.P. 336164  con la causale: "per le opere di P. Valentino Vallarino".

 

L´Ex

 

  

Fautore di pace

 

 

            Noi Missionari Cappuccini del Nord-ovest della Repubblica Centroafricana, in questi ultimi anni, ci siamo schierati "per scelta" a difensori della gente della nostra zona, senza distinzione di fedi o etnie. Siamo nella cosiddetta "Zona Rossa", perché distante dalla Capitale e piena di ribelli al governo, vagabondi, ricercati, predoni che bloccano le macchine per rubare, gente "fuori legge" che fugge dal vicino Tchad e Cameroun, militari regolari, che, distanti dalla capitale e dai controlli, diventano promotori di ingiustizie e violenze.

            La sofferenza delle nostre popolazioni, angariate dagli uni e dagli altri, ci ha spinti come pastori di Dio a essere "Sentinelle" per la nostra gente e ad "essere intermediari", al loro posto: ad essere "voce" di coloro che non possono parlare perché terrorizzati dalla morte e dalle torture. Normalmente gli abitanti di questa zona, i panà, sono assidui nelle loro piantagioni, e con un solo desiderio: la pace e la libertà; preoccupati per il lavoro dei campi, per il loro piccolo commercio, per poter accedere ai dispensari, se ammalati, per far sì che le mamme incinte possano partorire nei dispensari, perché i numerosissimi figli possano accedere alle scuole e crescere come Dio comanda! Queste sono le motivazioni di principio che mi hanno spinto a diventare per le vittime un "fratello che paga e rischia per loro" e per i persecutori un frate "scomodo" ed un "rosso", "ribelle", "irriducibile".

 

            Le cose sono cominciate così. Mi trovavo a Mann, a 25 km da Ngaoundaye, nel 2005.  Terminati i miei incontri di apostolato e salutato il catechista, mi sono ritirato  nella mia casetta, un po´ isolata dagli altri tukuls. Era già buio da un po´: erano le 19 e trenta. Ero solo. All´improvviso bussano con forza alla porta. "Chi sei?". "Sono il Capo dei Ribelli di Boko! Voglio parlarti!". Una voce di uomo deciso!

            Apro, lo accolgo. Mi presenta pure il suo luogotenente (non dirà una sola parola durante il lungo incontro). Tutti e due sono ben armati. Ci sediamo su di un muricciolo e spegniamo le lampade, per non attirare l´attenzione. "Volevo conoscerti, ma non osavo – afferma -; è stato Daniele, il tuo catechista, che mi ha detto di venire a vederti, perché non sei complicato, e posso parlarti chiaro". Abbiamo parlato per due ore e mezzo.

            Mi spiega il motivo per cui era un Ribelle e le difficoltà che loro avevano con Bozize (Generale dell´esercito che ha fatto il colpo di stato, ha preso il Potere e commesso delle ingiustizie, secondo loro, lui e i suoi commilitoni). Così si sono costituiti ribelli per farlo cadere.

            Mi parla della vita dura dei ribelli in piena savana. Vuole convincermi che il fatto della ribellione sia buono e per il bene della gente. Un idealista.

 Gli rispondo che anche un mio fratello maggiore è stato ribelle contro i tedeschi ad Arenzano. Ma la ribellione è un fatto sporadico, che non ha avvenire sicuro e può causare tante morti, sia da una parte che dall´altra. Può divenire un incubo per la povera gente.

            Da parte sua mi chiede di fare il possibile per aiutarlo ad incontrare il Comandante dei Regolari, sotto la mia responsabilità e disarmati, in luogo fissato da me. Da parte mia sono d´accordo in tutto questo, per il bene della nostra popolazione, ma all´incontro voglio portare due o tre persone, unite a noi, per il bene del popolo.

            Ci lasciamo a notte fonda, promettendoci di incontraci presto.

 

            Poi le cose precipitano.

            C´è l´uccisione del Sottoprefetto di Ngaoundaye. La reazione di Bangui non si fa attendere. Pochi giorni dopo arrivano i militari (guardie presidenziali) che mettono Ngaoundaye e altri villaggi al fuoco, perché convinti che gli abitanti di Ngaoundaye abbiano cooperato all´assassinio del Sottoprefetto.

            Solamente a Ngaoundaye bruciano 540 tukuls e lo stesso fanno in altri villaggi, dati alle fiamme: circa 1300 abitazioni. Spari, minacce, percosse. A Ngaoundaye tutti fuggono al Tchad e alcuni al Cameroun.

            Per alcuni giorni restiamo solamente una decina di persone su 6.000 abitanti: noi missionari con alcuni del posto, riuniti per vedere il da farsi.

            Con Padre Armel, mio curato, e le poche persone rimaste a Ngaoundaye, ci costituiamo in "Comitato di Ripresa" poi "Comitato dei Saggi" e, insieme, decidiamo che i Padri vadano a consigliare i Rifugiati in Tchad perché ritornino a Ngaoundaye. Gli altri incominciano subito l´elenco delle case bruciate.

Intanto gli scalmanati militari Presidenziali erano ripartiti per la Capitale.

 

            La gente rifugiata, vedendoci venire per consigliarla di rientrare, piange dalla gioia e dalla riconoscenza. Quella sera stessa rientriamo con due Toyota piene delle povere masserizie che avevano portato su di loro, fuggendo. Una settimana veramente movimentata. Quelli che avevano ancora la casa, dividono, contenti e generosi, i locali con i sinistrati.

Inviamo messaggi alla Capitale per essere aiutati dall´organizzazione mondiale per l´alimentazione. La Chiesa di Ngaoundaye, con l´aiuto del Centro Missioni, compra coperte, riso, olio, sapone e altro per vari milioni. Le organizzazioni umanitarie inviano tendoni da mettere sui muri bruciati, come tetto. E questo per circa due settimane.

 

            Intanto la notizia del male fatto dalle guardie presidenziali arriva alle orecchie del Presidente, che si infuria contro la Missione cattolica, credendo che i Missionari abbiano detto menzogne sui militari…, che negavano di aver bruciato Ngaoundaye.

            Preso un elicottero, arriva fino a noi (600 km da Bangui)!

            Ma, volando sopra Ngaoundaye, ha un colpo al cuore: i Missionari avevano detto la verità! Uno spettacolo doloroso, tutte quelle case bruciate!

            Viene subito da noi missionari. Ci fa delle domande, ma ormai lo spettacolo della desolazione aveva parlato al suo cuore. Tutti in coro confermiamo il malfatto dei militari.

            Ci ringrazia, si felicita per l´organizzazione che avevano subito messo in piedi per il bene della gente. "Il vostro Comitato dei Saggi deve continuare " – ci dice -, "tenetemi informato".

 

            Nel Comitato siamo una diecina: i due sindaci di Ma e di Ngaoundaye, il medico dell´ospedale, una ostetrica dell´ospedale, un responsabile del nostro centro giovani, il presidente comunale della gioventù, due persone del municipio, un responsabile dell´agricoltura, un pastore protestante e il sottoscritto. Non essendoci né polizia né gendarmeria, noi con i capi villaggio per varie settimane decidiamo il da farsi. E la gente si sente al sicuro.

Il Presidente invia nuovi militari con l´ordine stretto di favorire la gente: noi del Comitato dobbiamo facilitare gli incontri tra Militari e Ribelli!

Dopo circa un mese e mezzo dall´incendio delle case e con la venuta dei nuovi militari che si installano a Bang, comunico ai membri del Comitato che il mio lavoro di urgenza era terminato e che i due Sindaci avrebbero dovuto prendere le loro responsabilità per dirigere le assemblee.

I Capi delle terre, sono loro, i Sindaci, voluti da Dio e dalla volontà del popolo. Pur restando membro, era affidata al sottoscritto, con l´accordo dell´assemblea, l´organizzazione di possibili incontri tra militari e ribelli, insieme al pastore e ai sindaci.

Sono questi gli inizi del lavoro per il dialogo e la pace, che francescanamente ci sentiamo impegnati a portare avanti, quale testimonianza autentica del nostro servizio cristiano e come segno di una fraternità universale, che è alla base di ogni sviluppo della persona umana.

L´impegno per le scuole, la sanità, l´agricoltura, l´acqua … non sono altro che le concretizzazioni di queste idee forza, che Dio ha messo nel nostro cuore di figli ed imitatori di Francesco d´Assisi.

 

            Fr. Valentino Vallarino    

       

 

 

 

         

 

  



 

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Messaggio Cristiano
INCONTRO CON GLI STUDENTI IN OCCASIONE DEL GIUBILEO DEL MONDO EDUCATIVO - Aula Paolo VI, 30 ottobre 2025

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo,
La pace sia con voi!

Cari ragazzi, care ragazze, buongiorno!

Che gioia incontrarvi! Grazie a voi! Ho atteso questo momento con grande emozione: la vostra compagnia, infatti, mi fa ricordare gli anni nei quali insegnavo matematica a giovani vivaci come voi. Vi ringrazio per aver risposto così, per essere qui oggi, per condividere le riflessioni e le speranze che, attraverso di voi, consegno ai nostri amici sparsi in tutto il mondo.

Vorrei cominciare ricordando Pier Giorgio Frassati, uno studente italiano che, come sapete, è stato canonizzato durante quest’anno giubilare. Col suo animo appassionato per Dio e per il prossimo, questo giovane santo coniò due frasi che ripeteva spesso, quasi come un motto, lui diceva: “Vivere senza fede non è vivere, ma vivacchiare” e ancora: “Verso l’alto”. Sono affermazioni molto vere e incoraggianti. Anche a voi, perciò, dico: abbiate l’audacia di vivere in pienezza. Non accontentatevi delle apparenze o delle mode: un’esistenza appiattita su quel che passa non ci soddisfa mai. Invece, ognuno dica nel proprio cuore: “Sogno di più, Signore, ho voglia di più: ispirami tu!”. Questo desiderio è la vostra forza ed esprime bene l’impegno di giovani che progettano una società migliore, della quale non accettano di restare spettatori. Vi incoraggio, perciò, a tendere costantemente “verso l’alto”, accendendo il faro della speranza nelle ore buie della storia. Come sarebbe bello se un giorno la vostra generazione fosse riconosciuta come la “generazione plus”, ricordata per la marcia in più che saprete dare alla Chiesa e al mondo.

Questo, cari ragazzi, non può rimanere il sogno di una persona sola: uniamoci allora per realizzarlo, testimoniando insieme la gioia di credere in Gesù Cristo. Come possiamo riuscirci? La risposta è essenziale: attraverso l’educazione, uno degli strumenti più belli e potenti per cambiare il mondo.

L’amato Papa Francesco, cinque anni fa, ha lanciato il grande progetto del Patto Educativo Globale, e cioè un’alleanza di tutti coloro che, a vario titolo, lavorano nell’ambito dell’educazione e della cultura, per coinvolgere le giovani generazioni in una fraternità universale. Voi, infatti, non siete solo destinatari dell’educazione, ma i suoi protagonisti. Perciò oggi vi chiedo di allearvi per aprire una nuova stagione educativa, nella quale tutti — giovani e adulti — diventiamo credibili testimoni di verità e di pace. Per questo vi dico: siete chiamati a essere truth-speakers e peace-makers, persone di parola e costruttori di pace. Coinvolgete i vostri coetanei nella ricerca della verità e nella coltivazione della pace, esprimendo queste due passioni con la vostra vita, con le parole e con i gesti quotidiani.

In proposito, all’esempio di san Pier Giorgio Frassati unisco una riflessione di san John Henry Newman, un santo studioso, che presto sarà proclamato Dottore della Chiesa. Egli diceva che il sapere si moltiplica quando viene condiviso e che è nella conversazione delle menti che si accende la fiamma della verità. Così la vera pace nasce quando tante vite, come stelle, si uniscono e formano un disegno. Insieme possiamo formare costellazioni educative, che orientano il cammino futuro.

Da ex professore di matematica e fisica, permettetemi di fare con voi qualche calcolo. Avrete l’esame di matematica tra poco forse? Vediamo… Sapete quante stelle ci sono nell’universo osservabile? È un numero impressionante e meraviglioso: un sestilione di stelle – un 1 seguito da 21 zeri! Se le dividessimo tra gli 8 miliardi di abitanti della Terra, ogni uomo avrebbe per sé centinaia di miliardi di stelle. Ad occhio nudo, nelle notti limpide, possiamo scorgerne circa cinquemila. Anche se le stelle sono miliardi di miliardi, vediamo solo le costellazioni più vicine: queste però ci indicano una direzione, come quando si naviga per mare.

Da sempre i viaggiatori hanno trovato la rotta nelle stelle. I marinai seguivano la Stella Polare; i Polinesiani attraversavano l’oceano memorizzando mappe stellari. Secondo i contadini delle Ande, che ho incontrato da missionario in Perù, il cielo è un libro aperto che segna le stagioni della semina, della tosatura, dei cicli della vita. Persino i Magi hanno seguito una stella per arrivare a Betlemme ad adorare Gesù Bambino.

Come loro, anche voi avete stelle-guida: i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti, i buoni amici, bussole per non perdervi nelle vicende liete e tristi della vita. Come loro, siete chiamati a diventare a vostra volta luminosi testimoni per chi vi sta accanto. Ma, come dicevo, una stella da sola resta un punto isolato. Quando si unisce alle altre, invece, forma una costellazione, come la Croce del Sud. Così siete voi: ognuno è una stella, e insieme siete chiamati a orientare il futuro. L’educazione unisce le persone in comunità vive e organizza le idee in costellazioni di senso. Come scrive il profeta Daniele, «quelli che avranno insegnato a molti la giustizia risplenderanno come le stelle in eterno» (Dn 12,3): che meraviglia: siamo stelle, sì, perché siamo scintille di Dio. Educare significa coltivare questo dono.

L’educazione, infatti, ci insegna a guardare in alto, sempre più in alto. Quando Galileo Galilei puntò il cannocchiale al cielo, scoprì mondi nuovi: le lune di Giove, le montagne della Luna. Così è l’educazione: un cannocchiale che vi permette di guardare oltre, di scoprire ciò che da soli non vedreste. Non fermatevi, allora, a guardare lo smartphone e i suoi velocissimi frammenti d’immagini: guardate al Cielo, guardate verso l’alto.

Cari giovani, voi stessi avete suggerito la prima delle nuove sfide che ci impegnano nel nostro Patto Educativo Globale, esprimendo un desiderio forte e chiaro; avete detto: “Aiutateci nell’educazione alla vita interiore.” Sono rimasto veramente colpito da questa richiesta. Non basta avere grande scienza, se poi non sappiamo chi siamo e qual è il senso della vita. Senza silenzio, senza ascolto, senza preghiera, perfino le stelle si spengono. Possiamo conoscere molto del mondo e ignorare il nostro cuore: anche a voi sarà capitato di percepire quella sensazione di vuoto, di inquietudine che non lascia in pace. Nei casi più gravi, assistiamo a episodi di disagio, violenza, bullismo, sopraffazione, persino a giovani che si isolano e non vogliono più rapportarsi con gli altri. Penso che dietro a queste sofferenze ci sia anche il vuoto scavato da una società incapace di educare la dimensione spirituale, non solo tecnica, sociale e morale della persona umana.

Da giovane, sant’Agostino era un ragazzo brillante, ma profondamente insoddisfatto, come leggiamo nella sua autobiografia, Le Confessioni. Egli cercava dappertutto, tra carriera e piaceri, e ne combinava di tutti i colori, senza però trovare né verità né pace. Finché non ha scoperto Dio nel proprio cuore, scrivendo una frase densissima, che vale per tutti noi: «Il mio cuore è inquieto finché non riposa in Te». Ecco allora che cosa significa educare alla vita interiore: ascoltare la nostra inquietudine, non fuggirla né ingozzarla con ciò che non sazia. Il nostro desiderio d’infinito è la bussola che ci dice: “Non accontentarti, sei fatto per qualcosa di più grande”, “non vivacchiare, ma vivi”.

La seconda delle nuove sfide educative è un impegno che ci tocca ogni giorno e del quale voi siete maestri: l’educazione al digitale. Ci vivete dentro, e non è un male: ci sono opportunità enormi di studio e comunicazione. Non lasciate però che sia l’algoritmo a scrivere la vostra storia! Siate voi gli autori: usate con saggezza la tecnologia, ma non lasciate che la tecnologia usi voi.

Anche l’intelligenza artificiale è una grande novità – una delle rerum novarum, cioè delle cose nuove – del nostro tempo: non basta tuttavia essere “intelligenti” nella realtà virtuale, ma bisogna essere umani con gli altri, coltivando un’intelligenza emotiva, spirituale, sociale, ecologica. Perciò vi dico: educatevi ad umanizzare il digitale, costruendolo come uno spazio di fraternità e di creatività, non una gabbia dove rinchiudervi, non una dipendenza o una fuga. Anziché turisti della rete, siate profeti nel mondo digitale!

A questo riguardo, abbiamo davanti un attualissimo esempio di santità: San Carlo Acutis. Un ragazzo che non si è fatto schiavo della rete, usandola invece con abilità per il bene. San Carlo unì la sua bella fede alla passione per l’informatica, creando un sito sui miracoli eucaristici, e facendo così di Internet uno strumento per evangelizzare. La sua iniziativa ci insegna che il digitale è educativo quando non ci rinchiude in noi stessi, ma ci apre agli altri: quando non ti mette al centro, ma ti concentra su Dio e sugli altri.

Carissimi, arriviamo infine alla terza nuova grande sfida che oggi vi affido e che sta al cuore del nuovo Patto Educativo Globale: la educazione alla pace. Vedete bene quanto il nostro futuro venga minacciato dalla guerra e dall’odio che dividono i popoli. Questo futuro può essere cambiato? Certamente! Come? Con un’educazione alla pace disarmata e disarmante. Non basta, infatti, far tacere le armi: occorre disarmare i cuori, rinunciando a ogni violenza e volgarità. In tal modo, un’educazione disarmante e disarmata crea uguaglianza e crescita per tutti, riconoscendo l’uguale dignità di ogni ragazzo e ragazza, senza mai dividere i giovani tra pochi privilegiati che hanno accesso a scuole costosissime e tanti che non accesso all’educazione. Con grande fiducia in voi, vi invito a essere operatori di pace anzitutto lì dove vivete, in famiglia, a scuola, nello sport e tra gli amici, andando incontro a chi proviene da un’altra cultura.

Per concludere, carissimi, il vostro sguardo non sia rivolto alle stelle cadenti, cui si affidano desideri fragili. Guardate ancora più verso l’alto, verso Gesù Cristo, «il sole di giustizia» (cfr Lc 1,78), che vi guiderà sempre nei sentieri della vita.

LEONE XIV