I Cappuccini


"Era un vescovo in ascolto dell'Altro, in ascolto degli altri"

Omelia di mons. Enrico dal Covolo in memoria di mons. Luigi Padovese

 

ROMA, 05 Giugno 2013 (Zenit.org) - Riprendiamo di seguito l´omelia tenuta dal Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense, monsignor Enrico dal Covolo, nella messa celebrata lunedì 3 giugno a Milano nella Chiesa dei Cappuccini in memoria di monsignor Luigi Padovese, ucciso tre anni fa in Turchia.

 

Letture: Tobia 1,3; 2,1b-8; Marco 12,1-12 

 

Carissimi,

 

lo abbiamo ascoltato nella prima lettura: Tobia passava i giorni della sua vita "seguendo le vie della verità e della giustizia", e "restando fedele a Dio con tutto il suo cuore".

 

E tuttavia persone così, come Tobia, molte volte sembrano smentite dalla storia. Non fanno fortuna, vengono maltrattate dalle vicende della vita e dalle persone che incontrano. Così è capitato anche al padrone della vigna e a suo figlio, che viene catturato e ucciso dai contadini omicidi.

 

Così capita – in generale – al martire. Oggi celebriamo la memoria liturgica di San Carlo Lwanga e dei suoi compagni, martiri.

 

Sono stato qualche anno fa a Namugongo, la collina dove sorge il tempio maestoso dedicato ai martiri ugandesi. Su questa collina essi furono martirizzati, arsi vivi in speciali gabbie, di cui ancora si conservano le reliquie.

 

Il martire testimonia con il dono della vita la sua fede in Dio. Il martire vive più da vicino di tutti gli altri il dramma della croce, della lotta permanente fra le tenebre e la luce. E soccombe, umanamente parlando. Il suo è un fallimento. Ma nella realtà profonda dei fatti e della storia, il martire è quel chicco di frumento, che cade sottoterra, e muore, e proprio per questo porta frutto.

 

Il seme che marcisce e muore è fecondo di vita nuova.

 

È precisamente in questa prospettiva che noi oggi facciamo memoria di mons. Luigi Padovese, confratello, collega, amico, a tre anni precisi dal suo martirio.

 

L´ho conosciuto proprio qui, in piazzale Velasquez, nell´anno accademico 1975-1976. Aveva solo un paio d´anni più di me, ma era già Vicario della Fraternità, e mi ha insegnato la Storia della Teologia antica. Fresco di studi – si laureava in quegli anni con il padre Orbe, alla Gregoriana –, insegnava con entusiasmo e con passione.

 

Ci siamo incontrati nuovamente una decina di anni dopo, ormai colleghi nell´insegnamento dei Padri della Chiesa: lui Preside dell´Istituto di Spiritualità dell´Antonianum, io Preside-Decano del Pontificium Institutum Altioris Latinitatis. Ho collaborato con lui in diverse occasioni, ma soprattutto nei viaggi di studio in Turchia, tra Efeso e Tarso.

 

Per un certo periodo siamo stati anche vicini di casa, sul Grande raccordo anulare. Così lo andavo a trovare, e mi rivolgevo talvolta al suo consiglio e al suo aiuto – come per esempio nel 2004, quando fui chiamato a predicare gli Esercizi Spirituali ai Vescovi della Liguria.

 

Sapevo che lui aveva appena predicato ai Vescovi della Lombardia, e così gli chiesi qualche sussidio. Mi passò i suoi appunti, che credo siano rimasti inediti.

 

Ecco: ne voglio leggere un passo, perché da qui si può ricavare una sorta di autoritratto – certo non previsto, né voluto – di padre Luigi.

 

All´inizio di una meditazione, padre Luigi disse:

 

«In un libro che scrissi anni fa sulle 140 statue di santi che adornano il colonnato della piazza san Pietro, dopo aver fatto parlare 54 dei presenti sulla base dei loro scritti o di episodi della loro vita, m´è parso giusto che essi inviassero dei messaggi alla componente del popolo di Dio cui erano appartenuti. È in questo contesto che prende la parola Giovanni Crisostomo, sacerdote e vescovo. "Se permettete – disse – inizio io rivolgendomi ai miei confratelli nell´episcopato. Mentre ero in vita, indirizzai loro uno scritto sulla dignità del sacerdozio. Mi pareva giusto allora richiamare alla grandezza del nostro incarico, agli impegni assunti. Oh, certo, lo farei anche oggi, eppure le prime parole che userei sono di consolazione. So bene che in quanto capi di comunità siamo al centro dell´attenzione e siamo bersaglio di critiche poiché non abbiamo la solitudine che fa da velo ai nostri limiti. ‘La celebrità popolare, quanto più rende famosa ed illustre una persona, tanto più le procura rischi, inquietudini ed amarezze. Chi ha un padrone così tirannico, non può assolutamente permettersi di avere un momento di respiro, di fermarsi un istante´. Il fatto è – riprese – che tutti vogliono giudicarci non come esseri di carne, ma come angeli immuni da debolezze. Pertanto valutano i nostri errori e le nostre debolezze non dalla rilevanza di ciò che è stato commesso, ma dalla dignità di cui siamo investiti. Pochi hanno il coraggio di correggerci, ma molti si sentono in dovere di criticarci. Non vorrei certo dire che le critiche siano sempre ingiustificate. Anche noi ci guardiamo ogni giorno allo specchio della coscienza, e non ci è difficile osservare i difetti e le rughe che con gli anni non si cancellano, ma si allargano. E se qualcuno di noi, per qualche ragione, non le vede, è bene che incominci a preoccuparsi. Infatti siamo chiamati ‘episcopi´ proprio perché il nostro compito è quello di tener gli occhi ben aperti, di scrutare, di vigilare. Nondimeno certe critiche paralizzano e inducono allo sconforto. Un giorno ho detto che ‘la guerra è piacevole per chi non l´ha sperimentata´, ma per noi vescovi, dopo l´esaltazione dell´elezione e il frastuono della festa, la vita risulta un´incessante battaglia… Siamo esposti a tutti, e spesso non possiamo offrire agli altri che una sterile compassione e sperimentiamo l´impotenza del nostro fare. Per non parlare poi della preghiera, della quale non rimane che la forma, travolti come siamo in ogni direzione da impegni molesti, incessanti e a volte così lontani dalla nostra funzione di guide spirituali. Siamo chiamati ad essere una ‘grazia´ per chi ci incontra, cioè ‘un segno efficace´. Eppure, tra noi alcuni sono ‘segno´ senza essere efficaci, o sono efficaci senza essere segno. Nonostante tutto, direi ai vescovi del terzo millennio di non perdersi d´animo. Ricordino che non sono soli nell´esercizio del proprio compito».

 

Di fatto, padre Luigi non si sentiva solo. Benché nella sterminata Anatolia avesse pochi cristiani da governare, manteneva relazioni costanti e affettuose con numerosissime persone.

 

Era un vescovo in ascolto dell´Altro, in ascolto degli altri. 

 

È di questo che voglio parlare adesso, e così concludo.

 

Padre Luigi coltivava nella sua vita un´autentica dimensione contemplativa. «La preghiera – così proseguiva la meditazione ai Vescovi, che ho citato sopra – è uno dei compiti primari del vescovo, maestro di preghiera in quanto uomo di preghiera. E tale lo è perché successore di quegli Apostoli, che furono costituiti da Cristo anzitutto "perché stessero con lui" (Marco 3,14) e che, all´inizio della loro missione, fecero una solenne dichiarazione, che è un programma di vita: "Noi ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola" (Atti 6,4). In fin dei conti, il senso della missione sacerdotale è quello di creare e mantenere in sé e nei propri fratelli una relazione viva e personale con Dio, così come Gesù l´ha manifestato. L´evangelista Giovanni nel suo Vangelo, che costituisce "un mare di simboli", dichiara che Gesù è il rivelatore del Padre perché è nel suo seno (eis ton kolpon tou Patros: Giovanni 1,18). Con questa immagine egli voleva esprimere che la conoscenza di Dio è frutto d´intimità. Lo stesso tipo di conoscenza l´evangelista l´esprime parlando allusivamente di sé come di colui che Gesù amava, e che pose il suo capo sul petto di Gesù (en to kolpo tou Iesou: 13,23). Nell´unanime tradizione della prima Chiesa è questa esperienza che ha fatto di lui "il teologo" (Iohannes ho theologos)».

 

A ben vedere, come dicevo prima, queste espressioni fanno emergere in filigrana il ritratto spirituale più vero di padre Luigi.

 

È facile, per noi, l´attualizzazione del discorso, in quest´anno della fede.

 

Ne scaturisce un esame di coscienza necessario per chi vuole ritrovarsi nella "cordata testimonianza" dei Padri che ci hanno preceduto nella fede, dai Padri della Chiesa, fino al padre Luigi Padovese.

 

Di fronte alla sfida di certa cultura nichilista e atea, si può vincere solo con un "di più" di preghiera e di intimità con la Parola di Dio.

 

A noi, credenti del terzo millennio, i Padri consegnano ciò che a loro volta hanno ricevuto, che ha plasmato il loro cuore e la loro vita: perché la fede, la speranza e l´amore possano vincere il mondo.

 

+ Enrico dal Covolo



 

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Messaggio Cristiano
INCONTRO CON GLI STUDENTI IN OCCASIONE DEL GIUBILEO DEL MONDO EDUCATIVO - Aula Paolo VI, 30 ottobre 2025

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo,
La pace sia con voi!

Cari ragazzi, care ragazze, buongiorno!

Che gioia incontrarvi! Grazie a voi! Ho atteso questo momento con grande emozione: la vostra compagnia, infatti, mi fa ricordare gli anni nei quali insegnavo matematica a giovani vivaci come voi. Vi ringrazio per aver risposto così, per essere qui oggi, per condividere le riflessioni e le speranze che, attraverso di voi, consegno ai nostri amici sparsi in tutto il mondo.

Vorrei cominciare ricordando Pier Giorgio Frassati, uno studente italiano che, come sapete, è stato canonizzato durante quest’anno giubilare. Col suo animo appassionato per Dio e per il prossimo, questo giovane santo coniò due frasi che ripeteva spesso, quasi come un motto, lui diceva: “Vivere senza fede non è vivere, ma vivacchiare” e ancora: “Verso l’alto”. Sono affermazioni molto vere e incoraggianti. Anche a voi, perciò, dico: abbiate l’audacia di vivere in pienezza. Non accontentatevi delle apparenze o delle mode: un’esistenza appiattita su quel che passa non ci soddisfa mai. Invece, ognuno dica nel proprio cuore: “Sogno di più, Signore, ho voglia di più: ispirami tu!”. Questo desiderio è la vostra forza ed esprime bene l’impegno di giovani che progettano una società migliore, della quale non accettano di restare spettatori. Vi incoraggio, perciò, a tendere costantemente “verso l’alto”, accendendo il faro della speranza nelle ore buie della storia. Come sarebbe bello se un giorno la vostra generazione fosse riconosciuta come la “generazione plus”, ricordata per la marcia in più che saprete dare alla Chiesa e al mondo.

Questo, cari ragazzi, non può rimanere il sogno di una persona sola: uniamoci allora per realizzarlo, testimoniando insieme la gioia di credere in Gesù Cristo. Come possiamo riuscirci? La risposta è essenziale: attraverso l’educazione, uno degli strumenti più belli e potenti per cambiare il mondo.

L’amato Papa Francesco, cinque anni fa, ha lanciato il grande progetto del Patto Educativo Globale, e cioè un’alleanza di tutti coloro che, a vario titolo, lavorano nell’ambito dell’educazione e della cultura, per coinvolgere le giovani generazioni in una fraternità universale. Voi, infatti, non siete solo destinatari dell’educazione, ma i suoi protagonisti. Perciò oggi vi chiedo di allearvi per aprire una nuova stagione educativa, nella quale tutti — giovani e adulti — diventiamo credibili testimoni di verità e di pace. Per questo vi dico: siete chiamati a essere truth-speakers e peace-makers, persone di parola e costruttori di pace. Coinvolgete i vostri coetanei nella ricerca della verità e nella coltivazione della pace, esprimendo queste due passioni con la vostra vita, con le parole e con i gesti quotidiani.

In proposito, all’esempio di san Pier Giorgio Frassati unisco una riflessione di san John Henry Newman, un santo studioso, che presto sarà proclamato Dottore della Chiesa. Egli diceva che il sapere si moltiplica quando viene condiviso e che è nella conversazione delle menti che si accende la fiamma della verità. Così la vera pace nasce quando tante vite, come stelle, si uniscono e formano un disegno. Insieme possiamo formare costellazioni educative, che orientano il cammino futuro.

Da ex professore di matematica e fisica, permettetemi di fare con voi qualche calcolo. Avrete l’esame di matematica tra poco forse? Vediamo… Sapete quante stelle ci sono nell’universo osservabile? È un numero impressionante e meraviglioso: un sestilione di stelle – un 1 seguito da 21 zeri! Se le dividessimo tra gli 8 miliardi di abitanti della Terra, ogni uomo avrebbe per sé centinaia di miliardi di stelle. Ad occhio nudo, nelle notti limpide, possiamo scorgerne circa cinquemila. Anche se le stelle sono miliardi di miliardi, vediamo solo le costellazioni più vicine: queste però ci indicano una direzione, come quando si naviga per mare.

Da sempre i viaggiatori hanno trovato la rotta nelle stelle. I marinai seguivano la Stella Polare; i Polinesiani attraversavano l’oceano memorizzando mappe stellari. Secondo i contadini delle Ande, che ho incontrato da missionario in Perù, il cielo è un libro aperto che segna le stagioni della semina, della tosatura, dei cicli della vita. Persino i Magi hanno seguito una stella per arrivare a Betlemme ad adorare Gesù Bambino.

Come loro, anche voi avete stelle-guida: i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti, i buoni amici, bussole per non perdervi nelle vicende liete e tristi della vita. Come loro, siete chiamati a diventare a vostra volta luminosi testimoni per chi vi sta accanto. Ma, come dicevo, una stella da sola resta un punto isolato. Quando si unisce alle altre, invece, forma una costellazione, come la Croce del Sud. Così siete voi: ognuno è una stella, e insieme siete chiamati a orientare il futuro. L’educazione unisce le persone in comunità vive e organizza le idee in costellazioni di senso. Come scrive il profeta Daniele, «quelli che avranno insegnato a molti la giustizia risplenderanno come le stelle in eterno» (Dn 12,3): che meraviglia: siamo stelle, sì, perché siamo scintille di Dio. Educare significa coltivare questo dono.

L’educazione, infatti, ci insegna a guardare in alto, sempre più in alto. Quando Galileo Galilei puntò il cannocchiale al cielo, scoprì mondi nuovi: le lune di Giove, le montagne della Luna. Così è l’educazione: un cannocchiale che vi permette di guardare oltre, di scoprire ciò che da soli non vedreste. Non fermatevi, allora, a guardare lo smartphone e i suoi velocissimi frammenti d’immagini: guardate al Cielo, guardate verso l’alto.

Cari giovani, voi stessi avete suggerito la prima delle nuove sfide che ci impegnano nel nostro Patto Educativo Globale, esprimendo un desiderio forte e chiaro; avete detto: “Aiutateci nell’educazione alla vita interiore.” Sono rimasto veramente colpito da questa richiesta. Non basta avere grande scienza, se poi non sappiamo chi siamo e qual è il senso della vita. Senza silenzio, senza ascolto, senza preghiera, perfino le stelle si spengono. Possiamo conoscere molto del mondo e ignorare il nostro cuore: anche a voi sarà capitato di percepire quella sensazione di vuoto, di inquietudine che non lascia in pace. Nei casi più gravi, assistiamo a episodi di disagio, violenza, bullismo, sopraffazione, persino a giovani che si isolano e non vogliono più rapportarsi con gli altri. Penso che dietro a queste sofferenze ci sia anche il vuoto scavato da una società incapace di educare la dimensione spirituale, non solo tecnica, sociale e morale della persona umana.

Da giovane, sant’Agostino era un ragazzo brillante, ma profondamente insoddisfatto, come leggiamo nella sua autobiografia, Le Confessioni. Egli cercava dappertutto, tra carriera e piaceri, e ne combinava di tutti i colori, senza però trovare né verità né pace. Finché non ha scoperto Dio nel proprio cuore, scrivendo una frase densissima, che vale per tutti noi: «Il mio cuore è inquieto finché non riposa in Te». Ecco allora che cosa significa educare alla vita interiore: ascoltare la nostra inquietudine, non fuggirla né ingozzarla con ciò che non sazia. Il nostro desiderio d’infinito è la bussola che ci dice: “Non accontentarti, sei fatto per qualcosa di più grande”, “non vivacchiare, ma vivi”.

La seconda delle nuove sfide educative è un impegno che ci tocca ogni giorno e del quale voi siete maestri: l’educazione al digitale. Ci vivete dentro, e non è un male: ci sono opportunità enormi di studio e comunicazione. Non lasciate però che sia l’algoritmo a scrivere la vostra storia! Siate voi gli autori: usate con saggezza la tecnologia, ma non lasciate che la tecnologia usi voi.

Anche l’intelligenza artificiale è una grande novità – una delle rerum novarum, cioè delle cose nuove – del nostro tempo: non basta tuttavia essere “intelligenti” nella realtà virtuale, ma bisogna essere umani con gli altri, coltivando un’intelligenza emotiva, spirituale, sociale, ecologica. Perciò vi dico: educatevi ad umanizzare il digitale, costruendolo come uno spazio di fraternità e di creatività, non una gabbia dove rinchiudervi, non una dipendenza o una fuga. Anziché turisti della rete, siate profeti nel mondo digitale!

A questo riguardo, abbiamo davanti un attualissimo esempio di santità: San Carlo Acutis. Un ragazzo che non si è fatto schiavo della rete, usandola invece con abilità per il bene. San Carlo unì la sua bella fede alla passione per l’informatica, creando un sito sui miracoli eucaristici, e facendo così di Internet uno strumento per evangelizzare. La sua iniziativa ci insegna che il digitale è educativo quando non ci rinchiude in noi stessi, ma ci apre agli altri: quando non ti mette al centro, ma ti concentra su Dio e sugli altri.

Carissimi, arriviamo infine alla terza nuova grande sfida che oggi vi affido e che sta al cuore del nuovo Patto Educativo Globale: la educazione alla pace. Vedete bene quanto il nostro futuro venga minacciato dalla guerra e dall’odio che dividono i popoli. Questo futuro può essere cambiato? Certamente! Come? Con un’educazione alla pace disarmata e disarmante. Non basta, infatti, far tacere le armi: occorre disarmare i cuori, rinunciando a ogni violenza e volgarità. In tal modo, un’educazione disarmante e disarmata crea uguaglianza e crescita per tutti, riconoscendo l’uguale dignità di ogni ragazzo e ragazza, senza mai dividere i giovani tra pochi privilegiati che hanno accesso a scuole costosissime e tanti che non accesso all’educazione. Con grande fiducia in voi, vi invito a essere operatori di pace anzitutto lì dove vivete, in famiglia, a scuola, nello sport e tra gli amici, andando incontro a chi proviene da un’altra cultura.

Per concludere, carissimi, il vostro sguardo non sia rivolto alle stelle cadenti, cui si affidano desideri fragili. Guardate ancora più verso l’alto, verso Gesù Cristo, «il sole di giustizia» (cfr Lc 1,78), che vi guiderà sempre nei sentieri della vita.

LEONE XIV