Africa di ieri e di oggi


Il volto superstizioso dell'Africa secondo Naipaul

di padre Piero Gheddo

Non abbiamo mai finito di comprendere gli altri popoli, le altre culture e religioni.   

 

L´Africa nera torna ogni tanto alla ribalta dell´attualità, purtroppo quasi sempre per avvenimenti negativi, carestie, guerre tribali, dittature, immigrazioni clandestine verso l´Italia. Si dice che bisogna dare a quei popoli maggiori finanziamenti, aiutarli a svilupparsi in casa loro, smetterla di rapinare l´Africa delle sue ricchezze naturali, ecc. Da mezzo secolo siamo abituati a questi ritornelli e molti non capiscono come mai l´Africa nera non si sviluppa. Poi arriva un Premio Nobel della Letteratura (nel 2001), Vidia Naipaul, indiano dei Caraibi, con un libro che capovolge tutte le nostre conoscenze e credenze: "La maschera dell´Africa" (Adelphi 2010, pagg. 290).

 

Un libro contro corrente, attaccato e censurato dall´intellighenzia "liberal" e progressista, che accusa l´autore di aver dato una visione razzista degli africani, raccontandolo come un mondo primitivo e violento, dove sopravvivono in modo massiccio riti religiosi ancestrali basati su sacrifici, magia, stregoneria. Lui risponde: "Scrivo la verità, chi mi accusa di razzismo è un terzomondista in malafede".  

 

Il volume è la cronaca meticolosa di una sua recente visita-inchiesta in Africa (dal marzo 2008 al settembre 2009), alla ricerca delle radici religiose e culturali dell´Africa nera. Vuol capire meglio l´Africa e pensa, a ragione, che la religione tradizionale sia la chiave per entrare nella cultura e mentalità degli africani. Visita vari paesi: Uganda, Ghana, Nigeria. Costa d´Avorio, Gabon e Sud Africa e scrive: "Ero convinto che nell´immensa vastità dell´Africa le pratiche magiche non fossero diffuse in maniera uniforme. Ho dovuto ricredermi. Ovunque ho incontrato indovini che ‘gettavano le ossa´ per leggere il futuro e ovunque ho ritrovato la stessa idea di una ‘energia´ da imbrigliare attraverso il sacrificio rituale".

 

Naipaul non solo racconta in modo preciso fatti che ha visto e che già conosciamo, la magia, la stregoneria, la credenza negli spiriti, i sacrifici di animali, ma dice che ha sentito il bisogno, "da non credente quale sono, di andare al cuore delle cose, di avvicinarmi ancora di più all' Africa, attraverso le credenze". E ha scoperto quanto gli studiosi dell´Africa già sanno. Con una differenza. Chi studia l´Africa legge di riti e magie in un modo, come dire, distaccato, pensando che la vita oggi è molto cambiata e tutto si riferisce ad un lontano passato. Naipaul invece incontra e parla con scrittori, uomini politici, professori universitari, giornalisti e molta gente comune e documenta come proprio quelle credenze radicate nella cultura e mentalità di molti rappresentano un punto di riferimento diffuso e sono, in fondo, un forte ostacolo allo sviluppo. "L´africano medio – scrive – ha molta paura della religione pagana e questa resiste" (pag. 93). L´africano medio, in fondo, vive una schizofrenia profonda: da un lato accetta e desidera di entrare nell´attualità del mondo moderno, dall´altro la sua cultura tradizionale lo riporta al passato da cui non vuole e non può staccarsi.   

 

"La maschera dell´Africa" spiazza un po´ tutti proprio per questo. Ci rivela un´Africa quasi sconosciuta che sopravvive e influisce ancora perché "le credenze religiose e le pratiche culturali sono strettamente legate: le credenze religiose determinano la cultura" (pag. 151). Naipaul scrive che "a parte la sua componente islamica, l´Africa si considera cristiana",  poi subito aggiunge che "al di sotto scorrono antiche correnti di pensiero, di fede, di costumi" (pag. 88).  

 

"La maschera africana" non è un libro facile perché porta continuamente  l´attenzione su situazioni africane alle quali non siamo abituati, la magia, il boschetto sacro, il malocchio, violenze e crudeltà, sacrifici cruenti e orridi: "Si fanno molti sacrifici rituali in cui vengono cavati gli occhi e la lingua a vittime viventi. Succede tutti i giorni" (pag. 206). Realtà tabù che non si vorrebbe nemmeno conoscere. Eppure non è un libro a tesi. Il Premio Nobel ha passato un anno e mezzo in Africa e racconta semplicemente quanto ha visto e sentito senza quasi alcun commento. 

 

Al termine della lettura, mi viene in mente quanto mi diceva anni fa un missionario cappuccino in Angola, padre Flaviano Petterlini, mentre visitavo con lui il nord e il centro del paese: "Gli africani sono giovani, pieni di vita e di buona volontà e hanno immense potenzialità di sviluppo e di bene. Ma la loro più grande povertà è che non conoscono o conoscono poco Cristo, l´unico che può liberarli dalle potenze del male". 

 

Il 21 marzo 2009, in Angola il Papa ha detto ai vescovi angolani: "Tanti dei vostri concittadini vivono nella paura degli spiriti, dei poteri nefasti da cui si credono minacciati; disorientati, arrivano al punto di condannare bambini di strada e anche i più anziani, perché – dicono – sono stregoni". 

 

Il Papa continua dicendo che "qualcuno obietta: «Perché non li lasciamo in pace? Essi hanno la loro verità e noi, la nostra. Cerchiamo di convivere pacificamente, lasciando ognuno com´è, perché realizzi nel modo migliore la propria autenticità». "Ma, continua il Papa, se noi siamo convinti e abbiamo fatto l´esperienza che senza Cristo la vita è incompleta, le manca una realtà – anzi la realtà fondamentale – dobbiamo essere convinti anche del fatto che non facciamo ingiustizia a nessuno se gli presentiamo Cristo e gli diamo la possibilità di trovare, in questo modo, anche la sua vera autenticità, la gioia di avere trovato la vita. Anzi, dobbiamo farlo, è un obbligo nostro offrire a tutti questa possibilità di raggiungere la vita eterna".  

 

E´ la prima volta che una personalità non africana a livello mondiale ricorda questa radice superstiziosa e culturale che impedisce lo sviluppo degli africani e dell´Africa. E il Papa non lo fa per giudicare o condannare, ma per aiutare, come padre e messaggero del Vangelo di libertà, gli africani a liberarsi da una pesantissima eredità religioso-culturale-storica. 

 

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*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l'Ufficio storico del Pime ed è stato postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.

 



 

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Messaggio Cristiano
INCONTRO CON GLI STUDENTI IN OCCASIONE DEL GIUBILEO DEL MONDO EDUCATIVO - Aula Paolo VI, 30 ottobre 2025

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo,
La pace sia con voi!

Cari ragazzi, care ragazze, buongiorno!

Che gioia incontrarvi! Grazie a voi! Ho atteso questo momento con grande emozione: la vostra compagnia, infatti, mi fa ricordare gli anni nei quali insegnavo matematica a giovani vivaci come voi. Vi ringrazio per aver risposto così, per essere qui oggi, per condividere le riflessioni e le speranze che, attraverso di voi, consegno ai nostri amici sparsi in tutto il mondo.

Vorrei cominciare ricordando Pier Giorgio Frassati, uno studente italiano che, come sapete, è stato canonizzato durante quest’anno giubilare. Col suo animo appassionato per Dio e per il prossimo, questo giovane santo coniò due frasi che ripeteva spesso, quasi come un motto, lui diceva: “Vivere senza fede non è vivere, ma vivacchiare” e ancora: “Verso l’alto”. Sono affermazioni molto vere e incoraggianti. Anche a voi, perciò, dico: abbiate l’audacia di vivere in pienezza. Non accontentatevi delle apparenze o delle mode: un’esistenza appiattita su quel che passa non ci soddisfa mai. Invece, ognuno dica nel proprio cuore: “Sogno di più, Signore, ho voglia di più: ispirami tu!”. Questo desiderio è la vostra forza ed esprime bene l’impegno di giovani che progettano una società migliore, della quale non accettano di restare spettatori. Vi incoraggio, perciò, a tendere costantemente “verso l’alto”, accendendo il faro della speranza nelle ore buie della storia. Come sarebbe bello se un giorno la vostra generazione fosse riconosciuta come la “generazione plus”, ricordata per la marcia in più che saprete dare alla Chiesa e al mondo.

Questo, cari ragazzi, non può rimanere il sogno di una persona sola: uniamoci allora per realizzarlo, testimoniando insieme la gioia di credere in Gesù Cristo. Come possiamo riuscirci? La risposta è essenziale: attraverso l’educazione, uno degli strumenti più belli e potenti per cambiare il mondo.

L’amato Papa Francesco, cinque anni fa, ha lanciato il grande progetto del Patto Educativo Globale, e cioè un’alleanza di tutti coloro che, a vario titolo, lavorano nell’ambito dell’educazione e della cultura, per coinvolgere le giovani generazioni in una fraternità universale. Voi, infatti, non siete solo destinatari dell’educazione, ma i suoi protagonisti. Perciò oggi vi chiedo di allearvi per aprire una nuova stagione educativa, nella quale tutti — giovani e adulti — diventiamo credibili testimoni di verità e di pace. Per questo vi dico: siete chiamati a essere truth-speakers e peace-makers, persone di parola e costruttori di pace. Coinvolgete i vostri coetanei nella ricerca della verità e nella coltivazione della pace, esprimendo queste due passioni con la vostra vita, con le parole e con i gesti quotidiani.

In proposito, all’esempio di san Pier Giorgio Frassati unisco una riflessione di san John Henry Newman, un santo studioso, che presto sarà proclamato Dottore della Chiesa. Egli diceva che il sapere si moltiplica quando viene condiviso e che è nella conversazione delle menti che si accende la fiamma della verità. Così la vera pace nasce quando tante vite, come stelle, si uniscono e formano un disegno. Insieme possiamo formare costellazioni educative, che orientano il cammino futuro.

Da ex professore di matematica e fisica, permettetemi di fare con voi qualche calcolo. Avrete l’esame di matematica tra poco forse? Vediamo… Sapete quante stelle ci sono nell’universo osservabile? È un numero impressionante e meraviglioso: un sestilione di stelle – un 1 seguito da 21 zeri! Se le dividessimo tra gli 8 miliardi di abitanti della Terra, ogni uomo avrebbe per sé centinaia di miliardi di stelle. Ad occhio nudo, nelle notti limpide, possiamo scorgerne circa cinquemila. Anche se le stelle sono miliardi di miliardi, vediamo solo le costellazioni più vicine: queste però ci indicano una direzione, come quando si naviga per mare.

Da sempre i viaggiatori hanno trovato la rotta nelle stelle. I marinai seguivano la Stella Polare; i Polinesiani attraversavano l’oceano memorizzando mappe stellari. Secondo i contadini delle Ande, che ho incontrato da missionario in Perù, il cielo è un libro aperto che segna le stagioni della semina, della tosatura, dei cicli della vita. Persino i Magi hanno seguito una stella per arrivare a Betlemme ad adorare Gesù Bambino.

Come loro, anche voi avete stelle-guida: i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti, i buoni amici, bussole per non perdervi nelle vicende liete e tristi della vita. Come loro, siete chiamati a diventare a vostra volta luminosi testimoni per chi vi sta accanto. Ma, come dicevo, una stella da sola resta un punto isolato. Quando si unisce alle altre, invece, forma una costellazione, come la Croce del Sud. Così siete voi: ognuno è una stella, e insieme siete chiamati a orientare il futuro. L’educazione unisce le persone in comunità vive e organizza le idee in costellazioni di senso. Come scrive il profeta Daniele, «quelli che avranno insegnato a molti la giustizia risplenderanno come le stelle in eterno» (Dn 12,3): che meraviglia: siamo stelle, sì, perché siamo scintille di Dio. Educare significa coltivare questo dono.

L’educazione, infatti, ci insegna a guardare in alto, sempre più in alto. Quando Galileo Galilei puntò il cannocchiale al cielo, scoprì mondi nuovi: le lune di Giove, le montagne della Luna. Così è l’educazione: un cannocchiale che vi permette di guardare oltre, di scoprire ciò che da soli non vedreste. Non fermatevi, allora, a guardare lo smartphone e i suoi velocissimi frammenti d’immagini: guardate al Cielo, guardate verso l’alto.

Cari giovani, voi stessi avete suggerito la prima delle nuove sfide che ci impegnano nel nostro Patto Educativo Globale, esprimendo un desiderio forte e chiaro; avete detto: “Aiutateci nell’educazione alla vita interiore.” Sono rimasto veramente colpito da questa richiesta. Non basta avere grande scienza, se poi non sappiamo chi siamo e qual è il senso della vita. Senza silenzio, senza ascolto, senza preghiera, perfino le stelle si spengono. Possiamo conoscere molto del mondo e ignorare il nostro cuore: anche a voi sarà capitato di percepire quella sensazione di vuoto, di inquietudine che non lascia in pace. Nei casi più gravi, assistiamo a episodi di disagio, violenza, bullismo, sopraffazione, persino a giovani che si isolano e non vogliono più rapportarsi con gli altri. Penso che dietro a queste sofferenze ci sia anche il vuoto scavato da una società incapace di educare la dimensione spirituale, non solo tecnica, sociale e morale della persona umana.

Da giovane, sant’Agostino era un ragazzo brillante, ma profondamente insoddisfatto, come leggiamo nella sua autobiografia, Le Confessioni. Egli cercava dappertutto, tra carriera e piaceri, e ne combinava di tutti i colori, senza però trovare né verità né pace. Finché non ha scoperto Dio nel proprio cuore, scrivendo una frase densissima, che vale per tutti noi: «Il mio cuore è inquieto finché non riposa in Te». Ecco allora che cosa significa educare alla vita interiore: ascoltare la nostra inquietudine, non fuggirla né ingozzarla con ciò che non sazia. Il nostro desiderio d’infinito è la bussola che ci dice: “Non accontentarti, sei fatto per qualcosa di più grande”, “non vivacchiare, ma vivi”.

La seconda delle nuove sfide educative è un impegno che ci tocca ogni giorno e del quale voi siete maestri: l’educazione al digitale. Ci vivete dentro, e non è un male: ci sono opportunità enormi di studio e comunicazione. Non lasciate però che sia l’algoritmo a scrivere la vostra storia! Siate voi gli autori: usate con saggezza la tecnologia, ma non lasciate che la tecnologia usi voi.

Anche l’intelligenza artificiale è una grande novità – una delle rerum novarum, cioè delle cose nuove – del nostro tempo: non basta tuttavia essere “intelligenti” nella realtà virtuale, ma bisogna essere umani con gli altri, coltivando un’intelligenza emotiva, spirituale, sociale, ecologica. Perciò vi dico: educatevi ad umanizzare il digitale, costruendolo come uno spazio di fraternità e di creatività, non una gabbia dove rinchiudervi, non una dipendenza o una fuga. Anziché turisti della rete, siate profeti nel mondo digitale!

A questo riguardo, abbiamo davanti un attualissimo esempio di santità: San Carlo Acutis. Un ragazzo che non si è fatto schiavo della rete, usandola invece con abilità per il bene. San Carlo unì la sua bella fede alla passione per l’informatica, creando un sito sui miracoli eucaristici, e facendo così di Internet uno strumento per evangelizzare. La sua iniziativa ci insegna che il digitale è educativo quando non ci rinchiude in noi stessi, ma ci apre agli altri: quando non ti mette al centro, ma ti concentra su Dio e sugli altri.

Carissimi, arriviamo infine alla terza nuova grande sfida che oggi vi affido e che sta al cuore del nuovo Patto Educativo Globale: la educazione alla pace. Vedete bene quanto il nostro futuro venga minacciato dalla guerra e dall’odio che dividono i popoli. Questo futuro può essere cambiato? Certamente! Come? Con un’educazione alla pace disarmata e disarmante. Non basta, infatti, far tacere le armi: occorre disarmare i cuori, rinunciando a ogni violenza e volgarità. In tal modo, un’educazione disarmante e disarmata crea uguaglianza e crescita per tutti, riconoscendo l’uguale dignità di ogni ragazzo e ragazza, senza mai dividere i giovani tra pochi privilegiati che hanno accesso a scuole costosissime e tanti che non accesso all’educazione. Con grande fiducia in voi, vi invito a essere operatori di pace anzitutto lì dove vivete, in famiglia, a scuola, nello sport e tra gli amici, andando incontro a chi proviene da un’altra cultura.

Per concludere, carissimi, il vostro sguardo non sia rivolto alle stelle cadenti, cui si affidano desideri fragili. Guardate ancora più verso l’alto, verso Gesù Cristo, «il sole di giustizia» (cfr Lc 1,78), che vi guiderà sempre nei sentieri della vita.

LEONE XIV