Domenica 7 Dicembre 2025


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Letture e meditazioni


San Giuseppe nel Canone della Messa

Intervista a padre Tarcisio Stramare, OSJ, direttore del Movimento Giuseppino

 

 

Papa Francesco ha dato al mondo la gioia di poter menzionare San Giuseppe, lo sposo di Maria Santissima, in tre delle preghiere eucaristiche della messa di rito romano, come proposto dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

 

Per approfondire i contenuti di questa decisione, ZENIT ha intervistato padre Tarcisio Stramare, sacerdote degli Oblati di San Giuseppe, e instancabile direttore del Movimento Giuseppino a Roma, istituto che studia e medita una figura salvifica come quella di San Giuseppe, spesso non compresa a sufficienza dagli studi teologici e catechetici.

 

Padre Tarcisio, come ha accolto questa nuova disposizione di papa Francesco?

 

Padre Stramare: A essere sincero, l’ho ricevuta come un atto “dovuto” e sono grato a papa Francesco per questa decisione. Tenuto conto che Giovanni XXIII aveva disposto di inserire il nome di san Giuseppe nel Canone Romano, allora “unico”, sembrava logico, infatti, che eventuali altri Canoni seguissero la stessa norma.

 

Che cosa intende il Papa con questa decisione?

 

Padre Stramare: Penso che Papa Francesco abbia voluto porre fine ad un’attesa che si protraeva ormai da oltre 50 anni.

 

Perché questo riferimento esplicito alle preghiere II, III e IV del Canone Romano?

 

Padre Stramare: Probabilmente in vista della terza edizione tipica del Messale Romano. Il silenzio circa “altri” Canoni, già esistenti o futuri, lascia supporre una diversa interpretazione.

 

C’era bisogno di un intervento così?

 

Padre Stramare: Nel testo del Decreto sono indicati i motivi che giustificano l’inserimento. Oltre alla santità di san Giuseppe, emerge soprattutto il suo ruolo nel piano della salvezza: la cura paterna di Gesù; lo status di “capo della Famiglia di Gesù”; l’amorevole cura della Madre del Figlio; l’impegno nell’educazione di Gesù Cristo; il patrocino sulla Chiesa.

 

Il Papa ha voluto sottolineare lo status di marito di san Giuseppe. Perché?

 

Padre Stramare: Perché il titolo di “sposo” è indispensabile sia per onorare la maternità di Maria, sia,  in particolare, per garantire a Gesù la discendenza davidica, necessaria per il titolo di “Cristo”, come insegna l’evangelista Matteo. 

 

Quindi senza san Giuseppe...

 

Padre Stramare: Senza san Giuseppe, inoltre, non esisterebbe la “Santa Famiglia”, “mistero salvifico”, che colloca san Giuseppe, insieme con Maria, nell’ordine dell’Unione ipostatica! L’Esortazione apostolica di Giovanni Paolo II  è esplicita in proposito. La pastorale della famiglia ha urgente bisogno di approfondire questa dottrina.

 

Pensa che ora ci sarà una crescita nella devozione e nel culto di san Giuseppe?

 

Padre Stramare: La devozione del popolo cristiano verso san Giuseppe c’è sempre stata ed è ben radicata, come espressamente riconosciuto nel Decreto. Anche la Liturgia e i documenti del Magistero onorano convenientemente san Giuseppe. Quello che manca, invece, è il supporto dei teologi e dei catechisti, che continuano a considerare irrilevante il ruolo di San Giuseppe nel mistero dell’Incarnazione.

 



 

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UDIENZA GIUBILARE, Piazza San Pietro, 6 Dicembre 2025

CATECHESI DEL SANTO PADRE LEONE XIV

Catechesi. 10. Sperare è partecipare – Alberto Marvelli

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

Siamo da poco entrati nel periodo liturgico dell’Avvento, che ci educa all’attenzione ai segni dei tempi. Noi infatti ricordiamo la prima venuta di Gesù, il Dio con noi, per imparare a riconoscerlo ogni volta che viene e per prepararci a quando tornerà. Allora saremo per sempre insieme. Insieme con Lui, con tutti i nostri fratelli sorelle, con ogni altra creatura, in questo mondo finalmente redento: la nuova creazione.

Questa attesa non è passiva. Infatti, il Natale di Gesù ci rivela un Dio coinvolgente: Maria, Giuseppe, i pastori, Simeone, Anna, e più avanti Giovanni Battista, i discepoli e tutti coloro che incontrano il Signore sono coinvolti, sono chiamati a partecipare. È un onore grande, e che vertigine! Dio ci coinvolge nella sua storia, nei suoi sogni. Sperare, allora, è partecipare. Il motto del Giubileo, “Pellegrini di speranza”, non è uno slogan che tra un mese passerà! È un programma di vita: “pellegrini di speranza” vuol dire gente che cammina e che attende, non però con le mani in mano, ma partecipando.

Il Concilio Vaticano II ci ha insegnato a leggere i segni dei tempi: ci dice che nessuno riesce a farlo da solo, ma insieme, nella Chiesa e con tanti fratelli e sorelle, si leggono i segni dei tempi. Sono segni di Dio, di Dio che viene col suo Regno, attraverso le circostanze storiche. Dio non è fuori dal mondo, fuori da questa vita: abbiamo imparato nella prima venuta di Gesù, Dio-con-noi, a cercarlo fra le realtà della vita. Cercarlo con intelligenza, cuore e maniche rimboccate! E il Concilio ha detto che questa missione è in modo particolare dei fedeli laici, uomini e donne, perché il Dio che si è incarnato ci viene incontro nelle situazioni di ogni giorno. Nei problemi e nelle bellezze del mondo, Gesù ci aspetta e ci coinvolge, ci chiede che operiamo con Lui. Ecco perché sperare è partecipare!

Oggi vorrei ricordare un nome: quello di Alberto Marvelli, giovane italiano vissuto nella prima metà del secolo scorso. Educato in famiglia secondo il Vangelo, formatosi nell’Azione Cattolica, si laurea in ingegneria e si affaccia alla vita sociale al tempo della seconda guerra mondiale, che lui condanna fermamente. A Rimini e dintorni si impegna con tutte le forze a soccorrere i feriti, i malati, gli sfollati. Tanti lo ammirano per questa sua dedizione disinteressata e, dopo la guerra, viene eletto assessore e incaricato della commissione per gli alloggi e per la ricostruzione. Così entra nella vita politica attiva, ma proprio mentre si reca in bicicletta a un comizio viene investito da un camion militare. Aveva 28 anni. Alberto ci mostra che sperare è partecipare, che servire il Regno di Dio dà gioia anche in mezzo a grandi rischi. Il mondo diventa migliore, se noi perdiamo un po’ di sicurezza e di tranquillità per scegliere il bene. Questo è partecipare.

Chiediamoci: sto partecipando a qualche iniziativa buona, che impegna i miei talenti? Ho l’orizzonte e il respiro del Regno di Dio, quando faccio qualche servizio? Oppure lo faccio brontolando, lamentandomi che tutto va male? Il sorriso sulle labbra è il segno della grazia in noi.

Sperare è partecipare: questo è un dono che Dio ci fa. Nessuno salva il mondo da solo. E neanche Dio vuole salvarlo da solo: Lui potrebbe, ma non vuole, perché insieme è meglio. Partecipare ci fa esprimere e rende più nostro ciò che alla fine contempleremo per sempre, quando Gesù definitivamente tornerà.