VIDEOMESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI ALLA MANIFESTAZIONE "INSIEME PER L'EUROPA"
MONACO DI BAVIERA, 2 LUGLIO 2016
Cari amici di Insieme per l’Europa,
vi so riuniti a Monaco di Baviera in tanti Movimenti e Gruppi, provenienti da varie Chiese e Comunità, per il vostro incontro dal titolo: “Incontro - Riconciliazione - Futuro”.
Avete ragione. È ora di mettersi insieme, per affrontare con vero spirito europeo le problematiche del nostro tempo. Oltre ad alcuni muri visibili, si rafforzano anche quelli invisibili, che tendono a dividere questo continente. Muri che si innalzano nei cuori delle persone. Muri fatti di paura e di aggressività, di mancanza di comprensione per le persone di diversa origine o convinzione religiosa. Muri di egoismo politico ed economico, senza rispetto per la vita e la dignità di ogni persona.
L’Europa si trova in un mondo complesso e fortemente in movimento, sempre più globalizzato e, perciò, sempre meno eurocentrico.
Se riconosciamo queste problematiche epocali, dobbiamo avere il coraggio di dire: abbiamo bisogno di un cambiamento! L’Europa è chiamata a riflettere e a chiedersi se il suo immenso patrimonio, permeato di cristianesimo, appartiene a un museo, oppure è ancora capace di ispirare la cultura e di donare i suoi tesori all’umanità intera.
Siete radunati per affrontare assieme queste sfide aperte in Europa, e per portare alla luce testimonianze di una società civile che lavora in rete per l’accoglienza e la solidarietà verso i più deboli e svantaggiati, per costruire ponti, per superare i conflitti dichiarati o latenti.
Quella dell’Europa è la storia di un continuo incontro tra Cielo e terra: il Cielo indica l'apertura al Trascendente, a Dio, che ha da sempre contraddistinto l'uomo europeo; e la terra rappresenta la sua capacità pratica e concreta di affrontare situazioni e problemi.
Anche voi, Comunità e Movimenti cristiani nati in Europa, siete portatori di molteplici carismi, doni di Dio da mettere a disposizione. “Insieme per l’Europa” è una forza di coesione con l’obiettivo chiaro di tradurre i valori base del cristianesimo in risposta concreta alle sfide di un continente in crisi.
Il vostro stile di vita si fonda sull’amore reciproco, vissuto con radicalità evangelica. Una cultura della reciprocità significa confrontarsi, stimarsi, accogliersi, sostenersi a vicenda. Significa valorizzare la varietà dei carismi, in modo da convergere verso l'unità e arricchirla. La presenza di Cristo fra voi, trasparente e tangibile, è la testimonianza che induce a credere.
Ogni autentica unità vive della ricchezza delle diversità che la compongono — come una famiglia, che è tanto più unita quanto più ciascuno dei suoi componenti può essere fino in fondo se stesso senza timore. Se l’intera Europa vuol essere una famiglia di popoli, rimetta al centro la persona umana, sia un continente aperto e accogliente, continui a realizzare forme di cooperazione non solo economica ma anche sociale e culturale.
Dio porta sempre novità. Quante volte l’avete già sperimentato nella vostra vita! Siamo aperti anche oggi alle sue sorprese?Voi, che avete risposto con coraggio alla chiamata del Signore, siete chiamati a mostrare la sua novità nella vita e a far così fiorire i frutti del Vangelo, frutti germogliati dalle radici cristiane, che da 2000 anni nutrono l’Europa. E porterete frutti ancora più grandi! Mantenete la freschezza dei vostri carismi; tenete vivo il vostro “Insieme”, e allargatelo!Fate che le vostre case, comunità e città siano laboratori di comunione, di amicizia e di fraternità, capaci di integrare, aperti al mondo intero.
Insieme per l’Europa? Oggi è più necessario che mai. Nell’Europa di tante nazioni, voi testimoniate che siamo figli dell’unico Padre e fratelli e sorelle tra di noi. Siete un seme di speranza prezioso, perché l’Europa riscopra la sua vocazione di contribuire all’unità di tutti.
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All’insieme non esiste alternativa; il Vangelo, una fonte di speranza; una cultura del rispetto e della stima; superare le divisioni; il nostro impegno: i 5 punti del messaggio finale di Monaco 2016.
Insieme per l‘Europa Incontro. Riconciliazione. Futuro.
Monaco (Baviera), 2 luglio 2016
All’insieme non esiste alternativa.
“Uniti nella diversità”. Questa speranza europea è oggi più attuale che mai. L’Europa non deve diventare una roccaforte ed alzare nuove frontiere. All’insieme non esiste alternativa. Un insieme in una diversità riconciliata è possibile.
Il Vangelo – una fonte di speranza
Gesù Cristo ha pregato per l’unità e dato la sua vita per questo. Questo ci dice il Vangelo, che da quasi 2000 anni è una forza determinante per la cultura in Europa. Gesù Cristo ci insegna l’amore senza limiti per tutte le persone. Lui ci indica la strada della misericordia e della riconciliazione: possiamo chiedere perdono e perdonarci a vicenda. Il Vangelo di Gesù Cristo è una fonte potente, dalla quale possiamo attingere speranza per il futuro.
L’Europa – una cultura del rispetto e della stima
Le terribili esperienze delle Guerre mondiali ci hanno insegnato che la pace è un dono prezioso che dobbiamo conservare. Il nostro futuro deve essere caratterizzato da una cultura del rispetto e della stima dell’altro, anche dello straniero.
L’unità è possibile – Superare divisioni
Chiediamo a tutti i cristiani, specialmente ai responsabili delle Chiese, di superare le divisioni. Esse hanno causato sofferenza, violenza, ingiustizia ed hanno minato la credibilità del Vangelo. Come cristiani vogliamo vivere insieme riconciliati ed in piena comunione.
Il nostro impegno
Viviamo il Vangelo di Gesù Cristo e lo testimoniamo a parole e coi fatti. Percorriamo la via della riconciliazione e facciamo in modo che le nostre comunità, Chiese, popoli e culture possano vivere “uniti nella diversità”. Andiamo incontro a persone di convinzioni e religioni diverse con rispetto e cerchiamo il dialogo con loro. Ci impegniamo affinché nel mondo crescano umanità e pace. Abbiamo la visione di un insieme in Europa che è più forte di ogni paura ed egoismo. Poniamo la nostra fiducia nello Spirito Santo che rinnova e vivifica continuamente il mondo.
Una delle testimonianze più toccanti dell’incontro tra Papa Francesco e i rappresentanti del 5° Convegno Ecclesiale Nazionale nel Duomo di Firenze, la cattedrale di Santa Maria del Fiore. A parlare è don Bledar Ximli, sacerdote di origine albanese.
Al V° Convegno ecclesiale nazionale di Firenze (9-13 novembre), papa Francesco auspica una grande sterzata per la chiesa cattolica in Italia. Intervista al copresidente dei Focolari Jesús Morán.
Il convegno di Firenze si è concluso. “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”: come leggere il significato profondo di questo evento per la chiesa italiana?
«Ci sarebbero tante letture, però penso che sia un momento decisivo e storico per la chiesa italiana. Prima di tutto per il forte messaggio che papa Francesco ha consegnato ai 2000 delegati, presente tutta la Conferenza Episcopale. L’evento accade nel cuore del pontificato, in un momento dove le riforme si fanno pressanti e concrete. Avendo come specchio la riforma che vuole Francesco, la Chiesa italiana è inesorabilmente spinta a riformare se stessa. Il discorso del Papa è soprattutto un richiamo alla conversione, a tutti i livelli: conversione delle persone, delle comunità, delle strutture…».
Quali i passaggi centrali delle parole di Francesco?
«La figura che il Papa ci ha presentato è l’Ecce Homo: Cristo che spoglia se stesso, che non si affida ai procedimenti né all’organizzazione, che non pretende di occupare spazi di potere, ma che si fa carico dei dolori dell’umanità. È Gesù nella sua vera essenza, nella sua missione come inviato del Padre per la salvezza di tutti gli uomini. Questa è la prima cosa.
Poi, il Papa invita la chiesa italiana ad essere più evangelica, più come la vuole lo Spirito nell’oggi della storia. Solo una Chiesa, come ha detto lui, che riesce ad essere umile, disinteressata, che si riflette nelle beatitudini, può assomigliare a questo Maestro, a questo Ecce Homo, può presentarsi come amore per la società.
Papa Francesco a Firenze: Pranzo alla mensa dei poveri. Foto: Ansa
D’altra parte il Papa radicalizza l’umanesimo cristiano sulla base del superamento dei due rischi da lui indicati. Il rischio del pelagianesimo, cioè la tentazione di voler fare tutto noi, di affidarci alle nostre capacità, ai nostri strumenti, al potere, anche alla capacità di programmare. E il rischio dello gnosticismo che vuol dire rischio della disincarnazione, della “non-incarnazione” proprio. Cioè presentare un Gesù che non si tocca con le mani, che non si afferra. Attualizzazione dell’umanesimo cristiano, significa che esso deve partire da Gesù, deve essere centrato in Lui, non nelle nostre forze. Deve essere incarnato, non può rimanere nei documenti, nei proclami e neanche nelle opere d’arte, bellissime, come le abbiamo viste qui a Firenze. L’umanesimo cristiano deve essere incarnato nella vita della gente».
Il 50% dei partecipanti, laici, indica una forza della chiesa che si vuole mettere in gioco. Quali novità nei lavori di gruppo?
«Una delle novità di Firenze è la metodologia. Una giornata e mezza dedicata ai lavori di gruppo, ha reso possibile una maggiore partecipazione, dove ognuno ha potuto donare se stesso. Ma, se su 2000 partecipanti, la metà è ancora clero, non è ancora sufficiente. Perché la società, la chiesa italiana non è così. Ci sono donne, sì, ma poche ancora. Giovani, sì, ma pochi ancora. Speriamo che si vada avanti in questa linea, verso una rappresentatività maggiore».
Un’impressione a caldo, dopo aver partecipato a tutto il Convegno?
«Un clima bellissimo, di apertura, cordialità nel senso profondo, dove si vive mescolati con tutti. I vescovi pranzano con le persone: nei gruppi sono uno in più, così i sacerdoti. Questo già di per sé crea molta famiglia e quindi c’è entusiasmo, c’è gioia, c’è tanta condivisione, comunione, un desiderio profondo di ascolto e questo dà molta speranza».
In Gesù Cristo il nuovo umanesimo
Il Convegno ecclesiale di Firenze, come i precedenti, vuole ritmare una stagione nuova di vita e di missione della Chiesa in Italia. I 2500 delegati di tutte le diocesi della Penisola e i rappresentanti dei Movimenti e delle Associazioni Laicali rifletteranno sulle 5 vie proposte dalla Evangeli Gaudium, come percorsi per una Chiesa in uscita.
Più che le prolusioni ed i discorsi che avevano caratterizzato i precedenti convegni l’evento sarà scandito da meditazioni, confronti, dialoghi e preghiera che martedì 10 vedrà giungere a Firenze papa Francescoper incontrare i partecipanti del Convegno e celebrare la Messa allo stadio comunale. Il Papa di prima mattina si recherà invece a Prato, significativa porta d’ingresso al Convegno di Firenze, segnale forte che indica come nel cuore del pontefice sia prioritaria, anche rispetto ai lavori di un convegno ecclesiale, l’urgenza dell’incontro con le persone che abitano le periferie, in questo caso la comunità cinese della “città delle stoffe”.
A rappresentare ufficialmente il Movimento dei Focolari saranno presenti tra i convegnisti il copresidente Jesús Morán, e i delegati dei Focolari in Italia Rosalba Poli e Andrea Goller, oltre ad alcune decine di membri del Movimento nominati da Diocesi o da Uffici Pastorali Regionali.
Ripercorriamo la Traccia di preparazione al convegno attraverso una sintesi dell’intervento di Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari ad una delle tappe di preparazione verso il Convegno, il 15/16 maggio scorso.
«La “Traccia per il cammino verso il 5° Convegno Ecclesiale Nazionale” ci propone cinque vie, le stesse suggerite da Papa Francesco nella Evangelii Gaudium, declinate attraverso cinque verbi che ci indicano la direzione da intraprendere: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare.
Sono verbi che tratteggiano uno stile, implicano una conversione e chiedono delle scelte e delle prassi forti e chiare.
Uscire. Il primo verbo dice lo scatto d’anima e di decisione che oggi ci è chiesto nel vivere la “nuova tappa dell’evangelizzazione” che Papa Francesco fa brillare vivida di fronte a noi come esigenza, la più radicale, per servire l’uomo là dove oggi si trova, nelle “periferie esistenziali” della nostra storia. Questo significa almeno due cose. Per prima cosa – come si legge nella “Traccia” – occorre «liberare le nostre strutture dal peso di un futuro che abbiamo già scritto». No, il futuro non possiamo né dobbiamo presumere d’averlo già scritto noi. Occorre far spazio, e sino in fondo, all’ascolto della Parola di Dio e delle parole dei nostri contemporanei, che devono risuonare come nostre nei nostri cuori. E per far questo ecco la seconda cosa, che dico con le parole di Papa Francesco nell’udienza ai partecipanti all’Assemblea Generale del Movimento, nel settembre scorso: «…dobbiamo uscire con coraggio “verso di Lui fuori dall’accampamento, portando il suo disonore” (Eb 13,13). Egli ci aspetta nelle prove e nei gemiti dei nostri fratelli, nelle piaghe della società e negli interrogativi della cultura del nostro tempo. (…) serve una spiritualità dell’uscire (…): non rimanere dentro chiusi a quattro mandate. (…) Perché la Chiesa sembra un ospedale da campo. E quando si va in un ospedale da campo, il primo lavoro è curare le ferite, non fare il dosaggio del colesterolo».
Il secondo e il terzo verbo – annunciare e abitare – mi piace vederli insieme, strettamente anzi indissolubilmente congiunti. Non si può annunciare, infatti, la gioia che viene dal Verbo che si è fatto carne (cfr. Gv 1,14) e che si è calato nell’abisso di ogni grido dell’uomo abbandonato (cfr. Mc 15,34; Mt 27,46), se non abitando la carne e le grida, espresse o tacite, degli uomini e delle donne attorno a noi. Solo gesti e parole, che nascono da questa condivisione e da questa immersione, indirizzano «lo sguardo e i desideri a Dio», al Dio di Gesù, che è Misericordia e libertà. Sono venuto – dichiara Gesù – ad «annunciare il Vangelo ai poveri» (cfr. Lc 4, 18‐21). Per questo ci affascina e ci coinvolge il sogno tenace di papa Francesco: «una Chiesa povera e per i poveri».
Di qui il quarto verbo: educare. Esso dice, innanzi tutto, l’urgenza di lasciarci educare, tutti, da Dio come suo Popolo lungo i sentieri impervi e interpellanti della storia. Si tratta di lasciarci forgiare, insieme, da quel nuovo paradigma di umanesimo che scaturisce dalla pasqua di Gesù, il Signore crocifisso e risorto, come convivialità del “noi” in cui «non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28).
E infine il quinto verbo: trasfigurare. Si legge nella “Traccia”: «il divino traspare nell’umano, e questo si trasfigura in quello». Ciò si realizza attraverso la preghiera, dove la Luce trasfigurante di Dio inonda il nostro cuore; e attraverso l’Eucaristia, dove la carne trasfigurata di Gesù si fa nostro cibo per trasformarci in Sé. Ma questa trasfigurazione deve manifestare la sua bellezza e la sua promessa nelle trame tormentate e spesso tortuose della nostra storia».
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo,
La pace sia con voi!
Cari ragazzi, care ragazze, buongiorno!
Che gioia incontrarvi! Grazie a voi! Ho atteso questo momento con grande emozione: la vostra compagnia, infatti, mi fa ricordare gli anni nei quali insegnavo matematica a giovani vivaci come voi. Vi ringrazio per aver risposto così, per essere qui oggi, per condividere le riflessioni e le speranze che, attraverso di voi, consegno ai nostri amici sparsi in tutto il mondo.
Vorrei cominciare ricordando Pier Giorgio Frassati, uno studente italiano che, come sapete, è stato canonizzato durante quest’anno giubilare. Col suo animo appassionato per Dio e per il prossimo, questo giovane santo coniò due frasi che ripeteva spesso, quasi come un motto, lui diceva: “Vivere senza fede non è vivere, ma vivacchiare” e ancora: “Verso l’alto”. Sono affermazioni molto vere e incoraggianti. Anche a voi, perciò, dico: abbiate l’audacia di vivere in pienezza. Non accontentatevi delle apparenze o delle mode: un’esistenza appiattita su quel che passa non ci soddisfa mai. Invece, ognuno dica nel proprio cuore: “Sogno di più, Signore, ho voglia di più: ispirami tu!”. Questo desiderio è la vostra forza ed esprime bene l’impegno di giovani che progettano una società migliore, della quale non accettano di restare spettatori. Vi incoraggio, perciò, a tendere costantemente “verso l’alto”, accendendo il faro della speranza nelle ore buie della storia. Come sarebbe bello se un giorno la vostra generazione fosse riconosciuta come la “generazione plus”, ricordata per la marcia in più che saprete dare alla Chiesa e al mondo.
Questo, cari ragazzi, non può rimanere il sogno di una persona sola: uniamoci allora per realizzarlo, testimoniando insieme la gioia di credere in Gesù Cristo. Come possiamo riuscirci? La risposta è essenziale: attraverso l’educazione, uno degli strumenti più belli e potenti per cambiare il mondo.
L’amato Papa Francesco, cinque anni fa, ha lanciato il grande progetto del Patto Educativo Globale, e cioè un’alleanza di tutti coloro che, a vario titolo, lavorano nell’ambito dell’educazione e della cultura, per coinvolgere le giovani generazioni in una fraternità universale. Voi, infatti, non siete solo destinatari dell’educazione, ma i suoi protagonisti. Perciò oggi vi chiedo di allearvi per aprire una nuova stagione educativa, nella quale tutti — giovani e adulti — diventiamo credibili testimoni di verità e di pace. Per questo vi dico: siete chiamati a essere truth-speakers e peace-makers, persone di parola e costruttori di pace. Coinvolgete i vostri coetanei nella ricerca della verità e nella coltivazione della pace, esprimendo queste due passioni con la vostra vita, con le parole e con i gesti quotidiani.
In proposito, all’esempio di san Pier Giorgio Frassati unisco una riflessione di san John Henry Newman, un santo studioso, che presto sarà proclamato Dottore della Chiesa. Egli diceva che il sapere si moltiplica quando viene condiviso e che è nella conversazione delle menti che si accende la fiamma della verità. Così la vera pace nasce quando tante vite, come stelle, si uniscono e formano un disegno. Insieme possiamo formare costellazioni educative, che orientano il cammino futuro.
Da ex professore di matematica e fisica, permettetemi di fare con voi qualche calcolo. Avrete l’esame di matematica tra poco forse? Vediamo… Sapete quante stelle ci sono nell’universo osservabile? È un numero impressionante e meraviglioso: un sestilione di stelle – un 1 seguito da 21 zeri! Se le dividessimo tra gli 8 miliardi di abitanti della Terra, ogni uomo avrebbe per sé centinaia di miliardi di stelle. Ad occhio nudo, nelle notti limpide, possiamo scorgerne circa cinquemila. Anche se le stelle sono miliardi di miliardi, vediamo solo le costellazioni più vicine: queste però ci indicano una direzione, come quando si naviga per mare.
Da sempre i viaggiatori hanno trovato la rotta nelle stelle. I marinai seguivano la Stella Polare; i Polinesiani attraversavano l’oceano memorizzando mappe stellari. Secondo i contadini delle Ande, che ho incontrato da missionario in Perù, il cielo è un libro aperto che segna le stagioni della semina, della tosatura, dei cicli della vita. Persino i Magi hanno seguito una stella per arrivare a Betlemme ad adorare Gesù Bambino.
Come loro, anche voi avete stelle-guida: i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti, i buoni amici, bussole per non perdervi nelle vicende liete e tristi della vita. Come loro, siete chiamati a diventare a vostra volta luminosi testimoni per chi vi sta accanto. Ma, come dicevo, una stella da sola resta un punto isolato. Quando si unisce alle altre, invece, forma una costellazione, come la Croce del Sud. Così siete voi: ognuno è una stella, e insieme siete chiamati a orientare il futuro. L’educazione unisce le persone in comunità vive e organizza le idee in costellazioni di senso. Come scrive il profeta Daniele, «quelli che avranno insegnato a molti la giustizia risplenderanno come le stelle in eterno» (Dn 12,3): che meraviglia: siamo stelle, sì, perché siamo scintille di Dio. Educare significa coltivare questo dono.
L’educazione, infatti, ci insegna a guardare in alto, sempre più in alto. Quando Galileo Galilei puntò il cannocchiale al cielo, scoprì mondi nuovi: le lune di Giove, le montagne della Luna. Così è l’educazione: un cannocchiale che vi permette di guardare oltre, di scoprire ciò che da soli non vedreste. Non fermatevi, allora, a guardare lo smartphone e i suoi velocissimi frammenti d’immagini: guardate al Cielo, guardate verso l’alto.
Cari giovani, voi stessi avete suggerito la prima delle nuove sfide che ci impegnano nel nostro Patto Educativo Globale, esprimendo un desiderio forte e chiaro; avete detto: “Aiutateci nell’educazione alla vita interiore.” Sono rimasto veramente colpito da questa richiesta. Non basta avere grande scienza, se poi non sappiamo chi siamo e qual è il senso della vita. Senza silenzio, senza ascolto, senza preghiera, perfino le stelle si spengono. Possiamo conoscere molto del mondo e ignorare il nostro cuore: anche a voi sarà capitato di percepire quella sensazione di vuoto, di inquietudine che non lascia in pace. Nei casi più gravi, assistiamo a episodi di disagio, violenza, bullismo, sopraffazione, persino a giovani che si isolano e non vogliono più rapportarsi con gli altri. Penso che dietro a queste sofferenze ci sia anche il vuoto scavato da una società incapace di educare la dimensione spirituale, non solo tecnica, sociale e morale della persona umana.
Da giovane, sant’Agostino era un ragazzo brillante, ma profondamente insoddisfatto, come leggiamo nella sua autobiografia, Le Confessioni. Egli cercava dappertutto, tra carriera e piaceri, e ne combinava di tutti i colori, senza però trovare né verità né pace. Finché non ha scoperto Dio nel proprio cuore, scrivendo una frase densissima, che vale per tutti noi: «Il mio cuore è inquieto finché non riposa in Te». Ecco allora che cosa significa educare alla vita interiore: ascoltare la nostra inquietudine, non fuggirla né ingozzarla con ciò che non sazia. Il nostro desiderio d’infinito è la bussola che ci dice: “Non accontentarti, sei fatto per qualcosa di più grande”, “non vivacchiare, ma vivi”.
La seconda delle nuove sfide educative è un impegno che ci tocca ogni giorno e del quale voi siete maestri: l’educazione al digitale. Ci vivete dentro, e non è un male: ci sono opportunità enormi di studio e comunicazione. Non lasciate però che sia l’algoritmo a scrivere la vostra storia! Siate voi gli autori: usate con saggezza la tecnologia, ma non lasciate che la tecnologia usi voi.
Anche l’intelligenza artificiale è una grande novità – una delle rerum novarum, cioè delle cose nuove – del nostro tempo: non basta tuttavia essere “intelligenti” nella realtà virtuale, ma bisogna essere umani con gli altri, coltivando un’intelligenza emotiva, spirituale, sociale, ecologica. Perciò vi dico: educatevi ad umanizzare il digitale, costruendolo come uno spazio di fraternità e di creatività, non una gabbia dove rinchiudervi, non una dipendenza o una fuga. Anziché turisti della rete, siate profeti nel mondo digitale!
A questo riguardo, abbiamo davanti un attualissimo esempio di santità: San Carlo Acutis. Un ragazzo che non si è fatto schiavo della rete, usandola invece con abilità per il bene. San Carlo unì la sua bella fede alla passione per l’informatica, creando un sito sui miracoli eucaristici, e facendo così di Internet uno strumento per evangelizzare. La sua iniziativa ci insegna che il digitale è educativo quando non ci rinchiude in noi stessi, ma ci apre agli altri: quando non ti mette al centro, ma ti concentra su Dio e sugli altri.
Carissimi, arriviamo infine alla terza nuova grande sfida che oggi vi affido e che sta al cuore del nuovo Patto Educativo Globale: la educazione alla pace. Vedete bene quanto il nostro futuro venga minacciato dalla guerra e dall’odio che dividono i popoli. Questo futuro può essere cambiato? Certamente! Come? Con un’educazione alla pace disarmata e disarmante. Non basta, infatti, far tacere le armi: occorre disarmare i cuori, rinunciando a ogni violenza e volgarità. In tal modo, un’educazione disarmante e disarmata crea uguaglianza e crescita per tutti, riconoscendo l’uguale dignità di ogni ragazzo e ragazza, senza mai dividere i giovani tra pochi privilegiati che hanno accesso a scuole costosissime e tanti che non accesso all’educazione. Con grande fiducia in voi, vi invito a essere operatori di pace anzitutto lì dove vivete, in famiglia, a scuola, nello sport e tra gli amici, andando incontro a chi proviene da un’altra cultura.
Per concludere, carissimi, il vostro sguardo non sia rivolto alle stelle cadenti, cui si affidano desideri fragili. Guardate ancora più verso l’alto, verso Gesù Cristo, «il sole di giustizia» (cfr Lc 1,78), che vi guiderà sempre nei sentieri della vita.