Domenica 19 Maggio 2024
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Cronaca Bianca


"È nella famiglia che si sperimenta la gioia del perdono!"

Papa Francesco celebra il Giubileo delle Famiglie, paragonando il loro pellegrinaggio verso la Porta Santa al cammino di Maria, Giuseppe e Gesù verso il Tempio di Gerusalemme

 

 Un evento che corona un anno vissuto da papa Francesco in stretta simbiosi con le famiglie di tutto il mondo: decine di Udienze Generali dedicate alle problematiche della famiglia di oggi alla luce del Vangelo; in settembre l’Incontro Mondiale delle Famiglie a Philadelphia; in ottobre, infine, l’Assemblea Sinodale Ordinaria dei Vescovi sul medesimo tema.

 

Stamattina è stata la volta della Festa della Sacra Famiglia, che il Pontefice ha voluto far coincidere con il Giubileo delle Famiglie, dando vita, così, al primo grande appuntamento nell’Anno Santo della Misericordia.

 

Durante la messa celebrata nella basilica di San Pietro, il Papa ha posto subito una similitudine tra le famiglie giunte pellegrine a Roma e quelle menzionate nelle letture odierne: Elkana e Anna che portano il figlio Samuele al Tempio di Silo e lo consacrano al Signore (cfr 1 Sam1,20-22.24-28); Giuseppe e Maria che conducono Gesù al Tempio di Gerusalemme per la Pasqua (cfr Lc 2,41-52).

 

In questi giorni, migliaia di famiglie si mettono in cammino per il passaggio della Porta Santa nelle cattedrali e nei santuari di tutto il mondo. “Papà, mamma e figli, insieme, si recano alla casa del Signore per santificare la festa con la preghiera - ha commentato il Santo Padre -. È un insegnamento importante che viene offerto anche alle nostre famiglie”.

 

È confortante sapere, ha aggiunto, che Maria e Giuseppe insegnarono a Gesù a “recitare le preghiere” e che “durante la giornata pregavano insieme”, andando poi il sabato in Sinagoga per “lodare il Signore con tutto il popolo”.

 

Oggi, ha proseguito Francesco, vi sono famiglie che si ritrovano a “camminare insieme” con “una stessa meta da raggiungere”. Un cammino lungo il quale “incontriamo difficoltà ma anche momenti di gioia e di consolazione”, condividendo anche “il momento della preghiera”.

 

Non c’è nulla di più bello, ha detto il Pontefice, per un padre o una madre del “benedire i propri figli all’inizio della giornata e alla sua conclusione”, tracciando sulla loro fronte “il segno della croce come nel giorno del Battesimo”. I figli vengono così affidati dai genitori al Signore, “perché sia Lui la loro protezione e il sostegno nei vari momenti della giornata”.

 

La preghiera prima dei pasti, con il relativo ringraziamento al Signore e la condivisione del cibo con chi è più nel bisogno, “sono tutti piccoli gesti, che tuttavia esprimono il grande ruolo formativo che la famiglia possiede”, ha commentato il Papa.

 

Il Vangelo descrive poi il ritorno a Nazareth della Sacra Famiglia, con Gesù sottomesso ai suoi genitori (cfr. Lc 2,51): “Anche questa immagine contiene un bell’insegnamento per le nostre famiglie”, ha sottolineato il Pontefice.

 

“Il pellegrinaggio, infatti - ha aggiunto - non finisce quando si è raggiunta la meta del santuario, ma quando si torna a casa e si riprende la vita di tutti i giorni, mettendo in atto i frutti spirituali dell’esperienza vissuta”.

 

Quanto alla “scappatella” di Gesù, che, per parlare con i dottori del Tempio, smarrisce i suoi genitori, probabilmente anche lui “dovette chiedere scusa”, ha commentato il Santo Padre, sebbene il Vangelo non lo dica esplicitamente.

 

“La domanda di Maria, d’altronde, manifesta un certo rimprovero, rendendo evidente la preoccupazione e l’angoscia sua e di Giuseppe”, tuttavia, un volta a casa, “Gesù si è stretto certamente a loro, per dimostrare tutto il suo affetto e la sua obbedienza”.

 

Francesco ha quindi auspicato che “nell’Anno della Misericordia, ogni famiglia cristiana possa diventare luogo privilegiato in cui si sperimenta la gioia del perdono”, poiché “il perdono è l’essenza dell’amore che sa comprendere lo sbaglio e porvi rimedio. Poveri noi se Dio non ci perdonasse!”.

 

È proprio “all’interno della famiglia che ci si educa al perdono, perché si ha la certezza di essere capiti e sostenuti nonostante gli sbagli che si possono compiere”.

 

In conclusione, papa Francesco ha esortato a non perdere “la fiducia nella famiglia”, aprendo sempre “il cuore gli uni agli altri, senza nascondere nulla”: si tratta di una vera e propria missione “di cui il mondo e la Chiesa hanno più che mai bisogno”, ha poi concluso.

 

 

[Multimedia]


 

Le Letture bibliche che abbiamo ascoltato ci hanno presentato l’immagine di due famiglie che compiono il loro pellegrinaggio verso la casa di Dio. Elkana e Anna portano il figlio Samuele al tempio di Silo e lo consacrano al Signore (cfr 1 Sam 1,20-22.24-28). Alla stessa stregua, Giuseppe e Maria, per la festa di pasqua, si fanno pellegrini a Gerusalemme insieme con Gesù (cfr Lc 2,41-52).

 

Spesso abbiamo sotto gli occhi i pellegrini che si recano ai santuari e ai luoghi cari della pietà popolare. In questi giorni, tanti si sono messi in cammino per raggiungere la Porta Santa aperta in tutte le cattedrali del mondo e anche in tanti santuari. Ma la cosa più bella posta oggi in risalto dalla Parola di Dio è che tutta la famiglia compie il pellegrinaggio. Papà, mamma e figli, insieme, si recano alla casa del Signore per santificare la festa con la preghiera. E’ un insegnamento importante che viene offerto anche alle nostre famiglie. Anzi, possiamo dire che la vita della famiglia è un insieme di piccoli e grandi pellegrinaggi.

 

Ad esempio, quanto ci fa bene pensare che Maria e Giuseppe hanno insegnato a Gesù a recitare le preghiere! E questo è un pellegrinaggio, il pellegrinaggio dell’educazione alla preghiera. E anche ci fa bene sapere che durante la giornata pregavano insieme; e che poi il sabato andavano insieme alla sinagoga per ascoltare le Scritture della Legge e dei Profeti e lodare il Signore con tutto il popolo. E certamente durante il pellegrinaggio verso Gerusalemme hanno pregato cantando con le parole del Salmo: «Quale gioia, quando mi dissero: “Andremo alla casa del Signore!”. Già sono fermi i nostri piedi alle tue porte, Gerusalemme!» (122,1-2).

 

Come è importante per le nostre famiglie camminare insieme e avere una stessa meta da raggiungere! Sappiamo che abbiamo un percorso comune da compiere; una strada dove incontriamo difficoltà ma anche momenti di gioia e di consolazione. In questo pellegrinaggio della vita condividiamo anche il momento della preghiera. Cosa può esserci di più bello per un papà e una mamma di benedire i propri figli all’inizio della giornata e alla sua conclusione. Tracciare sulla loro fronte il segno della croce come nel giorno del Battesimo. Non è forse questa la preghiera più semplice dei genitori nei confronti dei loro figli? Benedirli, cioè affidarli al Signore, come hanno fatto Elkana e Anna, Giuseppe e Maria, perché sia Lui la loro protezione e il sostegno nei vari momenti della giornata. Come è importante per la famiglia ritrovarsi anche in un breve momento di preghiera prima di prendere insieme i pasti, per ringraziare il Signore di questi doni, e per imparare a condividere quanto si è ricevuto con chi è maggiormente nel bisogno. Sono tutti piccoli gesti, che tuttavia esprimono il grande ruolo formativo che la famiglia possiede nel pellegrinaggio di tutti i giorni.

 

Al termine di quel pellegrinaggio, Gesù tornò a Nazareth ed era sottomesso ai suoi genitori (cfr Lc 2,51). Anche questa immagine contiene un bell’insegnamento per le nostre famiglie. Il pellegrinaggio, infatti, non finisce quando si è raggiunta la meta del santuario, ma quando si torna a casa e si riprende la vita di tutti i giorni, mettendo in atto i frutti spirituali dell’esperienza vissuta. Conosciamo che cosa Gesù aveva fatto quella volta. Invece di tornare a casa con i suoi, si era fermato a Gerusalemme nel Tempio, provocando una grande pena a Maria e Giuseppe che non lo trovavano più. Per questa sua “scappatella”, probabilmente anche Gesù dovette chiedere scusa ai suoi genitori. Il Vangelo non lo dice, ma credo che possiamo supporlo. La domanda di Maria, d’altronde, manifesta un certo rimprovero, rendendo evidente la preoccupazione e l’angoscia sua e di Giuseppe. Tornando a casa, Gesù si è stretto certamente a loro, per dimostrare tutto il suo affetto e la sua obbedienza. Fanno parte del pellegrinaggio della famiglia anche questi momenti che con il Signore si trasformano in opportunità di crescita, in occasione di chiedere perdono e di riceverlo, di dimostrare l’amore e l’obbedienza.

 

Nell’Anno della Misericordia, ogni famiglia cristiana possa diventare luogo privilegiato di questo pellegrinaggio in cui si sperimenta la gioia del perdono. Il perdono è l’essenza dell’amore che sa comprendere lo sbaglio e porvi rimedio. Poveri noi se Dio non ci perdonasse! E’ all’interno della famiglia che ci si educa al perdono, perché si ha la certezza di essere capiti e sostenuti nonostante gli sbagli che si possono compiere.

 

Non perdiamo la fiducia nella famiglia! E’ bello aprire sempre il cuore gli uni agli altri, senza nascondere nulla. Dove c’è amore, lì c’è anche comprensione e perdono. Affido a tutte voi, care famiglie, questo pellegrinaggio domestico di tutti i giorni, questa missione così importante, di cui il mondo e la Chiesa hanno più che mai bisogno.

 

 

 Luigi e Zelia Martin Santi

 

Lunghe distese di campagna ci accompagnano da Alençon a Séez, una tipica cartolina della Normandia fa da cornice. Stiamo entrando nella cittadina che come uno scrigno custodisce la storica cattedrale e la basilica dedicata all’Immacolata Concezione, un luogo che Luigi e Zelia Martin conoscevano bene, meta di tanti pellegrinaggi. E oggi quest’aria ha un profumo tutto speciale. Non un giorno come gli altri. Una data che resterà importante in quel lungo cammino di santità che Luigi e Zelia hanno intrapreso dal giorno delle nozze: Papa Francesco ha accolto in udienza privata il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione della Causa dei Santi ed ha firmato il decreto con il quale si riconosce il secondo miracolo per intercessione dei Martin e autorizza la canonizzazione dei beati genitori di S. Teresa.

 

In viaggio sulle orme dei Beati, un pellegrino non potrebbe ricevere notizia più bella. Una gioia che abbiamo avuto l’onore di condividere con mons. Jacques Habert vescovo di Séez dal 2011. Ricevuti presso la sede episcopale, abbiamo raccolto le prime impressioni del Pastore della Diocesi francese: «Il primo pensiero va a Carmen, la vivace Carmen, (la bambina guarita per intercessione di Luigi e Zelia, ndr) che ho incontrato non molto tempo fa in Spagna. Questo miracolo è una parola di speranza per tanti che cercano la guarigione, per tutte le famiglie afflitte dalla malattia». «Questo annuncio mi riempie di gioia – ha detto il prelato – rappresenta una grazia e una responsabilità davanti al mondo». In una Chiesa locale in cui la crisi vocazionale pesa fortemente, i segni della Provvidenza non sono mancati «come l’arrivo di padre Jean-Marie Simar – ha raccontato mons. Habert – religioso della Congregazione Famiglia di Maria, primo Rettore del Santuario di Alençon». Per la Diocesi di Séez la sfida è duplice: da un lato diffondere la conoscenza della famiglia Martin, dall’altra promuovere Alençon come oasi di spiritualità, luogo in cui Luigi e Zelia hanno vissuto la vita familiare e coniugale in senso pieno. A Lisieux, Luigi andrà da vedovo e dovrà occuparsi dell’educazione delle figlie. «L’équipe del Santuario è consapevole ed è pronta per accettare questo impegno. Lisieux e Alençon sono in piena sinergia per prepararsi alla canonizzazione. È stato istituito un unico comitato, che si articola in diverse commissioni: famiglia, giovani, liturgia, pellegrinaggi; in ciascuna di esse i rappresentanti delle due diocesi lavoreranno fianco a fianco.

 

«Considerando il periodo storico – aggiunge mons. Habert – le differenze sono evidenti, ma vi sono dei tratti comuni. Innanzitutto, la fiducia nel Signore, che ha permesso loro di superare le prove della vita e le inevitabili difficoltà. L’impegno per i poveri, in un contesto sociale che non conosceva forme di assistenza pubblica».

 

Zelia e Luigi hanno scoperto il matrimonio vivendolo: questo il messaggio che chiude il nostro colloquio a Séez, indirizzato a tutte le coppie di sposi. È possibile scommettere ancora oggi sul matrimonio. È questo il miracolo dell’amore.

 

 

Da sinistra, Mariarosaria Petti, Giovanna Abbagnara, Padre Olivier Ruffray e Laurence, assistente del Rettore

 

Da Alençon a Lisieux. Cronaca dell’ultimo giorno del nostro viaggio in Normandia. A colloquio con padre Olivier Ruffray il giorno dopo la notizia della firma di papa Francesco al miracolo per la canonizzazione di Luigi e Zelia Martin.

 

di Giovanna Abbagnara

 

L’ultima tappa del viaggio che ci ha spinti nella terra dei Martin, ci conduce da Alençon a Lisieux. Percorriamo gli 80 km che separano le due cittadine, di corsa. Siamo in ritardo e il rettore del Santuario di Lisieux, padre Olivier Ruffray, ci attende per le 09.30. Durante il viaggio è naturale pensare a Luigi, al giorno in cui per amore delle figlie, con la morte nel cuore, ha dovuto lasciare Alençon e la casa condivisa con la sua sposa, per trasferirsi con le figlie a Lisieux. Nella valigia, non solo il ricordo di una grande storia d’amore ma la certezza di vivere in collocazione provvisoria. Un giorno, dopo aver accompagnato ogni figlia al matrimonio con lo sposo più bello, Gesù, avrebbe percorso l’ultimo tratto, il passaggio dalla morte alla vita eterna, verso la sua amata Zelia.

 

Intanto c’era un’altra quotidianità familiare da vivere ai Buissonnets. Quella che lo vede armonizzare la fortezza di un padre e la dolcezza di una madre. La fermezza di un uomo che non ha potuto conservare niente per sé ma ha dovuto lasciare tutto davanti all’altare dell’offerta: non solo la sposa amica che ha amato per la vita ma una ad una tutte le sue figlie. La vita di quest’uomo è certamente una parabola di fiducia e di obbedienza a Dio che ci lascia attoniti e commossi.

 

Nel rettorato di Lisieux, c’è ancora l’aria incandescente e frizzante che la firma di papa Francesco al riconoscimento del miracolo dei Martin, ha portato con sé. Padre Oliver conferma che la notizia lo ha trovato molto stupito. “Si attendeva la firma ma nessuno sapeva quando. Poi ieri mi ha telefonato un giornalista di Radio Vaticana per chiedermi un parere al riguardo ed io sorpreso e felice, ho cominciato a capire che era avvenuto qualcosa di importante”. Gli occhi lucidi, lo sguardo penetrante. Mi piace pensare che forse alla notizia della firma si sia recato di corsa al Carmelo che confina con la sede del Rettorato per rivolgere a Teresa, che serena riposa tra le mura del monastero, un sorriso di gioia. Ora forse l’instancabile giovane monaca, che aveva promesso di passare il suo cielo a fare del bene sulla terra, avrebbe avuto degli alleati in più, i suo santi genitori.

 

Padre Olivier ci ricorda subito il motivo di tanta gioia. Il miracolo riconosciuto da papa Francesco porta il nome di una bambina spagnola nata prematura e con gravi problemi. I medici riscontrarono alla neonata subito dopo la nascita, un’emorragia cerebrale di quarto grado che dava poche speranze per un avvenire normale, qualora la piccola fosse sopravvissuta. Consigliate dalle monache di un Carmelo vicino alla città, alle quali la famiglia si era rivolta per invocare Teresa d’Avila poiché Carmen era nata il 15 ottobre, tutta la famiglia, nonni e fratellino compresi, invocarono non solo la salvezza da morte, ma pure la guarigione completa della bimba attraverso una novena ai beati genitori di Santa Teresa di Gesù Bambino. “Da pochi mesi sono stato a Valencia” dice padre Olivier “e nella mia mente custodisco l’immagine bellissima di questa bambina che balla davanti alla cattedrale”. “Non solo Carmen sta benissimo ma è anche una bambina molto intelligente cresciuta con la coscienza che Dio le ha riservato una grazia particolare”, aggiunge ancora il rettore e ricordando un episodio divertente ma emblematico della piccola guarita, ha detto: “I genitori di Carmen mi hanno detto che la bambina desidera conoscere il medico che le ha salvato la vita su questa terra. Esprimendo di avere già chiaro che su di lei, solo Dio poteva operare”.

 

Dopo questo scorcio meraviglioso di ricordi e immagini circa il miracolo, la nostra curiosità si mette in moto e chiediamo al rettore quali sono adesso i passi da fare. “Abbiamo formato una commissione unica tra la Diocesi di Séez e quella di Bayeux, tra il rettorato di Lisieux e quello di Alançon per cercare insieme le forme più opportune per canalizzare adeguatamente questo fiume di grazia per le famiglie del mondo che la canonizzazione dei Martin reca con sé”.

 

Ci congediamo dal rettore non prima di aver sostato per un momento davanti all’urna di Luigi e Zelia. Quella che gira il mondo intero e porta un messaggio di speranza e un’iniezione di fiducia a tutte le famiglie. È tempo di recarci anche noi da Teresa. Ma il racconto si conclude qui, sulla soglia dell’ingresso al Carmelo. Non è tempo più di dedicarci alla cronaca del nostro viaggio. Ora è tempo di dare la mano a Teresa e di vivere il nostro kairos.

 

Per approfondire

http://www.acidigital.com/noticias/canonizacao-dos-pais-de-santa-teresinha-do-menino-jesus-sera-no-mes-do-sinodo-da-familia-76389/



 

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Messaggio Cristiano
UDIENZA GENERALE, 15 Maggio 2024

Catechesi. I vizi e le virtù. 19. La carità

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi parleremo della terza virtù teologale, la carità. Le altre due, ricordiamo, erano la fede e la speranza: oggi parleremo della terza, la carità. Essa è il culmine di tutto l’itinerario che abbiamo compiuto con le catechesi sulle virtù. Pensare alla carità allarga subito il cuore, allarga la mente, corre alle parole ispirate di San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi. Concludendo quell’inno stupendo, San Paolo cita la triade delle virtù teologali ed esclama: «Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità» (1 Cor 13,13).

Paolo indirizza queste parole a una comunità tutt’altro che perfetta nell’amore fraterno: i cristiani di Corinto erano piuttosto litigiosi, c’erano divisioni interne, c’è chi pretende di avere sempre ragione e non ascolta gli altri, ritenendoli inferiori. A questi tali Paolo ricorda che la scienza gonfia, mentre la carità edifica (cfr 1 Cor 8,1). L’Apostolo poi registra uno scandalo che tocca perfino il momento di massima unione di una comunità cristiana, vale a dire la “cena del Signore”, la celebrazione eucaristica: anche lì ci sono divisioni, e c’è chi se ne approfitta per mangiare e bere escludendo chi non ha niente (cfr 1 Cor 11,18-22). Davanti a questo, Paolo dà un giudizio netto: «Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore» (v. 20), avete un altro rituale, che è pagano, non è la cena del Signore.

Chissà, forse nella comunità di Corinto nessuno pensava di aver commesso peccato e quelle parole così dure dell’Apostolo suonavano un po’ incomprensibili per loro. Probabilmente tutti erano convinti di essere brave persone, e se interrogati sull’amore, avrebbero risposto che certo l’amore era per loro un valore molto importante, come pure l’amicizia e la famiglia. Anche ai nostri giorni l’amore è sulla bocca di tutti, è sulla bocca di tanti “influencer” e nei ritornelli di tante canzoni. Si parla tanto dell’amore, ma cos’è l’amore?

“Ma l’altro amore?”, sembra chiedere Paolo ai suoi cristiani di Corinto. Non l’amore che sale, ma quello che scende; non quello che prende, ma quello che dona; non quello che appare, ma quello che si nasconde. Paolo è preoccupato che a Corinto – come anche oggi tra noi – si faccia confusione e che della virtù teologale dell’amore, quella che viene solo da Dio, in realtà non ci sia alcuna traccia. E se anche a parole tutti assicurano di essere brave persone, di voler bene alla propria famiglia e ai propri amici, in realtà dell’amore di Dio sanno ben poco.

I cristiani dell’antichità avevano a disposizione diverse parole greche per definire l’amore. Alla fine, è emerso il vocabolo “agape”, che normalmente traduciamo con “carità”. Perché in verità i cristiani sono capaci di tutti gli amori del mondo: anche loro si innamorano, più o meno come capita a tutti. Anche loro sperimentano la benevolenza che si prova nell’amicizia. Anche loro vivono l’amor di patria e l’amore universale per tutta l’umanità. Ma c’è un amore più grande, un amore che proviene da Dio e si indirizza verso Dio, che ci abilita ad amare Dio, a diventare suoi amici, ci abilita ad amare il prossimo come lo ama Dio, col desiderio di condividere l’amicizia con Dio. Questo amore, a motivo di Cristo, ci spinge là dove umanamente non andremmo: è l’amore per il povero, per ciò che non è amabile, per chi non ci vuole bene e non è riconoscente. È l’amore per ciò che nessuno amerebbe; anche per il nemico. Anche per il nemico. Questo è “teologale”, questo viene da Dio, è opera dello Spirito Santo in noi.

Predica Gesù, nel discorso della montagna: «Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso» (Lc 6,32-33). E conclude: «Amate invece i vostri nemici – noi siamo abituati a sparlare dei nemici – amate i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi» (v. 35). Ricordiamo questo: “Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperare nulla”. Non dimentichiamo questo!

In queste parole l’amore si rivela come virtù teologale e assume il nome di carità. L’amore è carità. Ci accorgiamo subito che è un amore difficile, anzi impossibile da praticare se non si vive in Dio. La nostra natura umana ci fa amare spontaneamente ciò che è buono e bello. In nome di un ideale o di un grande affetto possiamo anche essere generosi e compiere atti eroici. Ma l’amore di Dio va oltre questi criteri. L’amore cristiano abbraccia ciò che non è amabile, offre il perdono – quanto è difficile perdonare! quanto amore ci vuole per perdonare! –, l’amore cristiano benedice quelli che maledicono, mentre noi siamo abituati, davanti a un insulto o a una maledizione, a rispondere con un altro insulto, con un’altra maledizione. È un amore così ardito da sembrare quasi impossibile, eppure è la sola cosa che resterà di noi. L’amore è la “porta stretta” attraverso cui passare per entrare nel Regno di Dio. Perché alla sera della vita non saremo giudicati sull’amore generico, saremo giudicati proprio sulla carità, sull’amore che noi abbiamo avuto in concreto. E Gesù ci dice questo, tanto bello: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Questa è la cosa bella, la cosa grande dell’amore. Avanti e coraggio!

Papa Francesco