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Le parole del Papa


ORDINAZIONI SACERDOTALI

17 Aprile 2016

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

 Fratelli carissimi,

questi nostri figli e fratelli sono stati chiamati all’ordine del presbiterato. Come voi ben sapete il Signore Gesù è il solo Sommo Sacerdote del Nuovo Testamento, ma in Lui anche tutto il popolo santo di Dio è stato costituito popolo sacerdotale. Nondimeno, tra tutti i suoi discepoli, il Signore Gesù vuole sceglierne alcuni in particolare, perché esercitando pubblicamente nella Chiesa in suo nome l’officio sacerdotale a favore di tutti gli uomini, continuassero la sua personale missione di maestro, sacerdote e pastore.

 

Dopo matura riflessione, ora stiamo per elevare all’ordine dei presbiteri questi nostri fratelli, perché al servizio di Cristo, Maestro, Sacerdote, Pastore, cooperino ad edificare il Corpo di Cristo che è la Chiesa in Popolo di Dio e Tempio santo dello Spirito.

 

Essi saranno infatti configurati a Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote, ossia saranno consacrati come veri sacerdoti del Nuovo Testamento, e a questo titolo, che li unisce nel sacerdozio al loro Vescovo, saranno predicatori del Vangelo, Pastori del Popolo di Dio, e presiederanno le azioni di culto, specialmente nella celebrazione del sacrificio del Signore.

 

Quanto a voi, figli e fratelli dilettissimi, che state per essere promossi all’ordine del presbiterato, considerate che esercitando il ministero della Sacra Dottrina sarete partecipi della missione di Cristo, unico Maestro. Dispensate a tutti la Parola di Dio, quella Parola che voi stessi avete ricevuto con gioia. Fate memoria della vostra storia, di quel dono della Parola che il Signore vi ha dato tramite la mamma, la nonna – come dice san Paolo –, i catechisti e tutta la Chiesa. Leggete e meditate assiduamente la Parola del Signore per credere ciò che avete letto, insegnare ciò che avete appreso nella fede, vivere ciò che avete insegnato.

 

Sia dunque nutrimento al Popolo di Dio la vostra dottrina, gioia e sostegno ai fedeli di Cristo il profumo della vostra vita, perché con la parola e l’esempio – vanno insieme: parola ed esempio - edifichiate la casa di Dio, che è la Chiesa. Voi continuerete l’opera santificatrice di Cristo. Mediante il vostro ministero, il sacrificio spirituale dei fedeli viene reso perfetto, perché congiunto al sacrificio di Cristo, che per le vostre mani, in nome di tutta la Chiesa, viene offerto in modo incruento sull’altare nella celebrazione dei Santi Misteri.

 

Riconoscete dunque ciò che fate. Imitate ciò che celebrate perché partecipando al mistero della morte e risurrezione del Signore, portiate la morte di Cristo nelle vostre membra e camminiate con Lui in novità di vita. Portare la morte di Cristo in voi stessi, e camminare con Cristo in novità di vita. Senza croce non troverete mai il vero Gesù; e una croce senza Cristo non ha senso.

 

Con il Battesimo aggregherete nuovi fedeli al Popolo di Dio. Con il Sacramento della Penitenza rimetterete i peccati nel nome di Cristo e della Chiesa. E, per favore, in nome dello stesso Gesù Cristo, il Signore, e in nome della Chiesa, vi chiedo di essere misericordiosi, tanto misericordiosi. Con l’olio santo darete sollievo agli infermi. Celebrando i sacri riti e innalzando nelle varie ore del giorno la preghiera di lode e di supplica, vi farete voce del Popolo di Dio e dell’umanità intera.

 

Consapevoli di essere stati scelti fra gli uomini. Scelti, non dimenticatevi questo. Scelti! E’ il Signore che vi ha chiamato, uno ad uno. Scelti fra gli uomini e costituiti in loro favore, e non in mio favore!

 

In comunione filiale con il vostro Vescovo, impegnatevi a unire i fedeli in un’unica famiglia per condurli a Dio Padre per mezzo di Cristo nello Spirito Santo. Abbiate sempre davanti agli occhi l’esempio del Buon Pastore, che non è venuto per essere servito, ma per servire; per cercare e salvare ciò che era perduto.

 

 

17 aprile 2016   REGINA COELI

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Il Vangelo di oggi (Gv 10,27-30) ci offre alcune espressioni pronunciate da Gesù durante la festa della dedicazione del tempio di Gerusalemme, che si celebrava alla fine di dicembre. Egli si trova proprio nell’area del tempio, e forse quello spazio sacro recintato gli suggerisce l’immagine dell’ovile e del pastore. Gesù si presenta come “il buon pastore” e dice: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano» (vv. 27-28). Queste parole ci aiutano a comprendere che nessuno può dirsi seguace di Gesù, se non presta ascolto alla sua voce. E questo “ascoltare” non va inteso in modo superficiale, ma coinvolgente, al punto da rendere possibile una vera conoscenza reciproca, dalla quale può venire una sequela generosa, espressa nelle parole «ed esse mi seguono» (v. 27). Si tratta di un ascolto non solo dell’orecchio, ma un ascolto del cuore!

 

Dunque, l’immagine del pastore e delle pecore indica lo stretto rapporto che Gesù vuole stabilire con ciascuno di noi. Egli è la nostra guida, il nostro maestro, il nostro amico, il nostro modello, ma soprattutto è il nostro Salvatore. Infatti la frase successiva del brano evangelico afferma: «Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno può strapparle dalla mia mano» (v. 28). Chi può parlare così? Soltanto Gesù, perché la “mano” di Gesù è una cosa sola con la “mano” del Padre, e il Padre è «più grande di tutti» (v. 29).

 

Queste parole ci comunicano un senso di assoluta sicurezza e di immensa tenerezza. La nostra vita è pienamente al sicuro nelle mani di Gesù e del Padre, che sono una sola cosa: un unico amore, un’unica misericordia, rivelati una volta per sempre nel sacrificio della croce. Per salvare le pecore smarrite che siamo tutti noi, il Pastore si è fatto agnello e si è lasciato immolare per prendere su di sé e togliere il peccato del mondo. In questo modo Egli ci ha donato la vita, ma la vita in abbondanza (cfr Gv10,10)! Questo mistero si rinnova, in una umiltà sempre sorprendente, sulla mensa eucaristica. E’ lì che le pecore si radunano per nutrirsi; è lì che diventano una sola cosa, tra di loro e con il Buon Pastore.

 

Per questo non abbiamo più paura: la nostra vita è ormai salvata dalla perdizione. Niente e nessuno potrà strapparci dalle mani di Gesù, perché niente e nessuno può vincere il suo amore. L’amore di Gesù è invincibile! Il maligno, il grande nemico di Dio e delle sue creature, tenta in molti modi di strapparci la vita eterna. Ma il maligno non può nulla se non siamo noi ad aprirgli le porte della nostra anima, seguendo le sue lusinghe ingannatrici.

 

La Vergine Maria ha ascoltato e seguito docilmente la voce del Buon Pastore. Ci aiuti Lei ad accogliere con gioia l’invito di Gesù a diventare suoi discepoli, e a vivere sempre nella certezza di essere nelle mani paterne di Dio.

 

Dopo il Regina Coeli:

Cari fratelli e sorelle,

ringrazio quanti hanno accompagnato con la preghiera la visita che ho compiuto ieri nell’Isola di Lesbo, in Grecia. Ai profughi e al popolo greco ho portato la solidarietà della Chiesa. Erano con me il Patriarca Ecumenico Bartolomeo e l’Arcivescovo Ieronymos di Atene e di tutta la Grecia, a significare l’unità nella carità di tutti i discepoli del Signore. Abbiamo visitato uno dei campi dei rifugiati: provenivano dall’Iraq, dall’Afghanistan, dalla Siria, dall’Africa, da tanti Paesi… Abbiamo salutato circa 300 di questi profughi, uno ad uno. Tutti e tre: il Patriarca Bartolomeo, l’arcivescovo Ieronymos ed io. Tanti di loro erano bambini; alcuni di loro – di questi bambini – hanno assistito alla morte dei genitori e dei compagni, alcuni morti annegati in mare. Ho visto tanto dolore! E voglio raccontare un caso particolare, di un uomo giovane, non ha 40 anni. Lo ho incontrato ieri, con i suoi due figli. Lui è musulmano e mi ha raccontato che era sposato con una ragazza cristiana, si amavano e si rispettavano a vicenda. Ma purtroppo questa ragazza è stata sgozzata dai terroristi, perché non ha voluto rinnegare Cristo e abbandonare la sua fede. E’ una martire! E quell’uomo piangeva tanto…

 

Questa notte un violento terremoto ha colpito l’Ecuador, causando numerose vittime e ingenti danni. Preghiamo per quelle popolazioni; e anche per quelle del Giappone, dove pure ci sono stati alcuni terremoti in questi giorni. L’aiuto di Dio e dei fratelli dia loro forza e sostegno.

 

Oggi ricorre la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. Siamo invitati a pregare per le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. E in questa Giornata ho ordinato stamani undici nuovi Sacerdoti. Rinnovo il mio saluto ai neo-presbiteri, ai familiari e agli amici; e invito tutti i sacerdoti e i seminaristi a partecipare al loro Giubileo, nei primi tre giorni di giugno. E a voi giovani, ragazzi e ragazze, che siete in Piazza: pensate se il Signore non vi chiama a consacrare la vita al suo servizio, sia nel sacerdozio, sia nella vita consacrata.

 

Saluto con affetto tutti voi, pellegrini provenienti dall’Italia e da tante parti del mondo. Sono presenti famiglie, gruppi parrocchiali, scuole e associazioni: vi benedico tutti. Saluto in particolare i fedeli di Madrid, San Paolo del Brasile e Varsavia; come pure i pellegrinaggi delle diocesi di Cerreto Sannita-Telese-Sant’Agata dei Goti e Siena-Colle Val d’Elsa-Montalcino, accompagnati dai Vescovi; i fedeli di Specchia e di Verona; la Corale Laurenziana di Mortara e il gruppo “Genitori per la terapia intensiva neonatale”.

 

Sono vicino alle tante famiglie preoccupate per il problema del lavoro. Penso in particolare alla situazione precaria dei lavoratori italiani dei Call Center: auspico che su tutto prevalga sempre la dignità della persona umana e non gli interessi particolari.

A tutti auguro buona domenica. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

 

 

10 Aprile - Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Il Vangelo di oggi narra la terza apparizione di Gesù risorto ai discepoli, sulla riva del lago di Galilea, con la descrizione della pesca miracolosa (cfr Gv 21,1-19). Il racconto è collocato nella cornice della vita quotidiana dei discepoli, tornati alla loro terra e al loro lavoro di pescatori, dopo i giorni sconvolgenti della passione, morte e risurrezione del Signore. Era difficile per loro comprendere ciò che era avvenuto. Ma, mentre tutto sembrava finito, è ancora Gesù a “cercare” nuovamente i suoi discepoli. E’ Lui che va a cercarli. Questa volta li incontra presso il lago, dove loro hanno passato la notte sulle barche senza pescare nulla. Le reti vuote appaiono, in un certo senso, come il bilancio della loro esperienza con Gesù: lo avevano conosciuto, avevano lasciato tutto per seguirlo, pieni di speranza… e adesso? Sì, lo avevano visto risorto, ma poi pensavano: “Se n’è andato e ci ha lasciati… E’ stato come un sogno…”.

 

Ma ecco che all’alba Gesù si presenta sulla riva del lago; essi però non lo riconoscono (cfr v. 4). A quei pescatori, stanchi e delusi, il Signore dice: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete» (v. 6). I discepoli si fidarono di Gesù e il risultato fu una pesca incredibilmente abbondante. A questo punto Giovanni si rivolge a Pietro e dice: «È il Signore!» (v. 7). E subito Pietro si tuffa in acqua e nuota verso la riva, verso Gesù. In quella esclamazione: “E’ il Signore!”, c’è tutto l’entusiasmo della fede pasquale, piena di gioia e di stupore, che contrasta fortemente con lo smarrimento, lo sconforto, il senso di impotenza che si erano accumulati nell’animo dei discepoli. La presenza di Gesù risorto trasforma ogni cosa: il buio è vinto dalla luce, il lavoro inutile diventa nuovamente fruttuoso e promettente, il senso di stanchezza e di abbandono lascia il posto a un nuovo slancio e alla certezza che Lui è con noi.

 

Da allora, questi stessi sentimenti animano la Chiesa, la Comunità del Risorto. Tutti noi siamo la comunità del Risorto! Se a uno sguardo superficiale può sembrare a volte che le tenebre del male e la fatica del vivere quotidiano abbiano il sopravvento, la Chiesa sa con certezza che su quanti seguono il Signore Gesù risplende ormai intramontabile la luce della Pasqua. Il grande annuncio della Risurrezione infonde nei cuori dei credenti un’intima gioia e una speranza invincibile. Cristo è veramente risorto! Anche oggi la Chiesa continua a far risuonare questo annuncio festoso: la gioia e la speranza continuano a scorrere nei cuori, nei volti, nei gesti, nelle parole. Tutti noi cristiani siamo chiamati a comunicare questo messaggio di risurrezione a quanti incontriamo, specialmente a chi soffre, a chi è solo, a chi si trova in condizioni precarie, agli ammalati, ai rifugiati, agli emarginati. A tutti facciamo arrivare un raggio della luce di Cristo risorto, un segno della sua misericordiosa potenza.

 

Egli, il Signore, rinnovi anche in noi la fede pasquale. Ci renda sempre più consapevoli della nostra missione al servizio del Vangelo e dei fratelli; ci riempia del suo Santo Spirito perché, sostenuti dall’intercessione di Maria, con tutta la Chiesa possiamo proclamare la grandezza del suo amore e la ricchezza della sua misericordia.

 

Dopo il Regina Coeli:

Cari fratelli e sorelle,

nella speranza donataci da Cristo risorto, rinnovo il mio appello per la liberazione di tutte le persone sequestrate in zone di conflitto armato; in particolare desidero ricordare il sacerdote salesiano Tom Uzhunnalil, rapito ad Aden nello Yemen il 4 marzo scorso.

 

Oggi in Italia si celebra la Giornata Nazionale per l’Università Cattolica del Sacro Cuore, che ha per tema “Nell’Italia di domani io ci sarò”. Auspico che questa grande Università, che continua a rendere un importante servizio alla gioventù italiana, possa proseguire con rinnovato impegno la sua missione formativa, aggiornandola sempre più alle esigenze odierne.

 

Saluto tutti voi, romani e pellegrini provenienti dall’Italia e da diverse parti del mondo. E anche un saluto a quelli che stanno facendo la Maratona. In particolare, saluto i fedeli di Gandosso, Golfo Aranci, Mede Lomellina, Cernobbio, Macerata Campania, Porto Azzurro, Maleo e Sasso Marconi, con un pensiero speciale per i cresimandi di Campobasso, Marzocca e Montignano.

Ringrazio per la loro presenza i cori parrocchiali, alcuni dei quali hanno prestato servizio in questi giorni nella basilica di San Pietro. Grazie tante!

E a tutti auguro una buona domenica. Per favore, non dimenticate di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!



 

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Messaggio Cristiano
Udienza Generale, 17 Aprile 2024

Catechesi. I vizi e le virtù. 15. La temperanza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi parlerò della quarta e ultima virtù cardinale: la temperanza. Con le altre tre, questa virtù condivide una storia che risale molto indietro nel tempo e che non appartiene ai soli cristiani. Per i greci la pratica delle virtù aveva come obbiettivo la felicità. Il filosofo Aristotele scrive il suo più importante trattato di etica indirizzandolo al figlio Nicomaco, per istruirlo nell’arte del vivere. Perché tutti cerchiamo la felicità eppure così pochi la raggiungono? Questa è la domanda. Per rispondere ad essa Aristotele affronta il tema delle virtù, tra le quali ha uno spazio di rilievo la enkráteia, cioè la temperanza. Il termine greco significa letteralmente “potere su sé stessi”. La temperanza è un potere su sé stessi. Questa virtù è dunque la capacità di autodominio, l’arte di non farsi travolgere da passioni ribelli, di mettere ordine in quello che il Manzoni chiama il “guazzabuglio del cuore umano”.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice che «la temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati». «Essa – prosegue il Catechismo – assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore» (n. 1809).

Dunque, la temperanza, come dice la parola italiana, è la virtù della giusta misura. In ogni situazione, si comporta con saggezza, perché le persone che agiscono mosse sempre dall’impeto o dall’esuberanza alla fine sono inaffidabili. Le persone senza temperanza sono sempre inaffidabili. In un mondo dove tanta gente si vanta di dire quello che pensa, la persona temperante preferisce invece pensare quello che dice. Capite la differenza? Non dire quello che mi viene in mente, così… No, pensare a quello che devo dire. Non fa promesse a vanvera, ma assume impegni nella misura in cui li può soddisfare.

Anche con i piaceri, la persona temperante agisce con giudizio. Il libero corso delle pulsioni e la totale licenza accordata ai piaceri, finiscono per ritorcersi contro noi stessi, facendoci precipitare in uno stato di noia. Quanta gente che ha voluto provare tutto con voracità si è ritrovata a perdere il gusto di ogni cosa! Meglio allora cercare la giusta misura: ad esempio, per apprezzare un buon vino, assaporarlo a piccoli sorsi è meglio che ingurgitarlo tutto d’un fiato. Tutti sappiamo questo.

La persona temperante sa pesare e dosare bene le parole. Pensa a quello che dice. Non permette che un momento di rabbia rovini relazioni e amicizie che poi solo con fatica potranno essere ricostruite. Specialmente nella vita famigliare, dove le inibizioni si abbassano, tutti corriamo il rischio di non tenere a freno tensioni, irritazioni, arrabbiature. C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere, ma entrambi richiedono la giusta misura. E questo vale per tante cose, ad esempio lo stare con gli altri e lo stare da soli.

Se la persona temperante sa controllare la propria irascibilità, non per questo la vedremo perennemente con il volto pacifico e sorridente. Infatti, qualche volta è necessario indignarsi, ma sempre nella giusta maniera. Queste sono le parole: la giusta misura, la giusta maniera. Una parola di rimprovero a volte è più salutare rispetto a un silenzio acido e rancoroso. Il temperante sa che nulla è più scomodo del correggere un altro, ma sa anche che è necessario: altrimenti si offrirebbe libero campo al male. In certi casi, il temperante riesce a tenere insieme gli estremi: afferma i principi assoluti, rivendica i valori non negoziabili, ma sa anche comprendere le persone e dimostra empatia per esse. Dimostra empatia.

Il dono del temperante è dunque l’equilibrio, qualità tanto preziosa quanto rara. Tutto, infatti, nel nostro mondo spinge all’eccesso. Invece la temperanza si sposa bene con atteggiamenti evangelici quali la piccolezza, la discrezione, il nascondimento, la mitezza. Chi è temperante apprezza la stima degli altri, ma non ne fa l’unico criterio di ogni azione e di ogni parola. È sensibile, sa piangere e non se ne vergogna, ma non si piange addosso. Sconfitto, si rialza; vincitore, è capace di tornare alla vita nascosta di sempre. Non cerca gli applausi, ma sa di avere bisogno degli altri.

Fratelli e sorelle, non è vero che la temperanza rende grigi e privi di gioie. Anzi, fa gustare meglio i beni della vita: lo stare insieme a tavola, la tenerezza di certe amicizie, la confidenza con le persone sagge, lo stupore per le bellezze del creato. La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita. Preghiamo il Signore perché ci dia questo dono: il dono della maturità, della maturità dell’età, della maturità affettiva, della maturità sociale. Il dono della temperanza.

Papa Francesco