Cronaca Bianca


VIVERE DA CRISTIANI

Testimonianza di padre Giovanni DUTTO, Missionario della Consolata

Padre Giovanni Dutto è un missionario della Consolata di Torino. L’ho conosciuto quarant’anni fa quando, insieme con i missionari di altre Congregazioni come la SMA e il PIME, ogni anno incontrava i giovani dei Seminari Diocesani per presentare il lavoro delle missioni.

Passando da Loppiano (Incisa Valdarno), questi missionari si fermavano da noi, Religiosi della Claritas. Da una ventina d’anni padre Giovanni si trova nell’Est del Kenia, al margine del deserto di Marsabit, per animare un Eremo/Santuario Mariano.

Ho sempre avuto una buona impressione di lui, avendo osservato che il suo dire e il suo fare coincidono!  Il lettore del nostro SITO  … può saziare la sua sete di Acqua fresca e pura! Buona lettura dal “KOKO”

 

          Ero l’unico cristiano a Moyale, nel cuore del deserto di Marsabit. Non ho sofferto di solitudine, ma mi chiedevo fino a quando e con chi avrei potuto condividere il Vangelo.

 

Uno dei giovani, che mi aiutavano a costruire una scuola, mi sembrava lavorato dallo Spirito: qualcosa di pulito ispiravano i suoi occhi.

 

Infatti, dopo pochi giorni, mi ha fermato dopo il lavoro e ha fatto domande sulla mia religione. Lì erano tutti analfabeti e pagani: sapevano della scuola da iniziare e intuivano che ero tra loro per un messaggio più grande.

Gli ho fatto vedere la Bibbia. Ci siamo seduti nella sabbia e ho risposto così: “Leggiamo insieme questa pagina. Dio ha detto: Se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Matteo 18, 19-20).

Gababo aveva gli occhi sbarrati nel vedermi leggere un libro. Eravamo commossi e senza parole nostre. Poi ho ripreso: “Non ti sembra meraviglioso che, se tu e io siamo uniti nel suo nome, Dio è qui in mezzo a te e a me? In questo deserto… tra la nostra gente…”.

 

Gli occhi parlanti di Gababo sprizzavano luce e gioia; ma non disse nulla. Ci salutammo. Io restai con un certo imbarazzo interiore: non avevo osato troppo? Gli avevo detto ‘Dio’: perché tutti gli amici borana sanno di un dio. Non gli ho detto ‘Gesù’: non aveva mai sentito questo nomeSono passati alcuni giorni. Gababo era sempre più luminoso, laborioso e raccolto: avrei detto che ‘camminava in punta di piedi’. Una sera, non se ne andò con i compagni di lavoro. Io ero entrato nella ‘baracca della preghiera’ e mi sentii chiamare: “Padre, ho dentro le parole del Libro che abbiamo letto. Ora voglio solo più che ‘Dio sia in mezzo a noi’. Penso che, se lo vogliamo in mezzo a noi, dobbiamo stare insieme il più possibile. Hai visto che da qualche giorno, io cerco di stare qui anche oltre il tempo del lavoro. Domenica sono rimasto tutto il giorno. E, quando sono a casa, mamma ha notato che sono diverso. Persino durante la notte penso a te. È troppo bello che Dio sia qui, nel nostro villaggio, nel nostro deserto…”.   Non ho detto niente: ero solo cosciente che lo Spirito coltivava la Parola in profondità.

 

Passò un po’ di tempo e Gababo, una sera, mi fermò e mi disse: “Padre, penso che, se vogliamo Dio in mezzo a noi, dobbiamo pregare insieme. Noi non abbiamo né riti, né preghiere ma tu hai la ‘baracca della preghiera’. Mi piace andarvi quando ci sei tu. Vorrei starci sempre”. Avevo visto che al mattino presto era là, e si fermava alla sera fino quasi al buio. Durante il giorno ho dovuto diradare le mie visite al Santissimo Sacramento. Me lo sarei trovato con me! Di notte mi piaceva dire il Rosario passeggiando sotto le stelle e presto me lo sono visto accanto.

 

Un altro giorno venne a dirmi: “Padre, penso che, se Dio è in mezzo a noi, dobbiamo volerci bene!” Mi chiedevo che cosa volesse dire. L’ho compreso dai fatti. Il suo saluto al mattino era diventato un grido di gioia. Lavorava con più dedizione. Quando passavo a sorvegliare il lavoro, il saluto e lo sguardo dicevano ‘il volerci bene’. Una domenica mi ha portato la più bella papaia colta sull’unico albero davanti alla loro capanna. Dopo un viaggio di qualche giorno per provviste (a 600 chilometri) mi ha detto: “Non assentarti più. È come se mancasse il sole”. La dolcezza con cui parlava con me divenne il modo di trattare tutti.

L’atmosfera della missione era impregnata di un clima traboccante pace e fervore. Non avrei più osato alzare la voce con operai o scolari che nei loro primi passi mettevano alla prova la pazienza. Non mi veniva più di lamentarmi per il caldo, le zanzare, il cibo…

 

Gababo venne a darmi l’ultima lezione: “Padre, ‘Dio in mezzo a noi’ vuol dire questo: Tu e io non possiamo più fare nulla di male contro Dio. Noi dobbiamo fare tutto come a Lui fa piacere”.

Aveva il dito puntato verso di me e il volto pieno di fermezza e di bontà. Che cosa sapesse di male e di volontà di Dio, non lo so.

Era però evidente che io ero un missionario ridondante. Lo Spirito santo fa capire lui stesso la Parola, la fa ricordare e dà la fortezza per viverla.

 

La missione di Moyale era eretta e consacrata prima che il ‘primo’ battesimo fosse amministrato!

 



 

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Messaggio Cristiano
INCONTRO CON GLI STUDENTI IN OCCASIONE DEL GIUBILEO DEL MONDO EDUCATIVO - Aula Paolo VI, 30 ottobre 2025

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo,
La pace sia con voi!

Cari ragazzi, care ragazze, buongiorno!

Che gioia incontrarvi! Grazie a voi! Ho atteso questo momento con grande emozione: la vostra compagnia, infatti, mi fa ricordare gli anni nei quali insegnavo matematica a giovani vivaci come voi. Vi ringrazio per aver risposto così, per essere qui oggi, per condividere le riflessioni e le speranze che, attraverso di voi, consegno ai nostri amici sparsi in tutto il mondo.

Vorrei cominciare ricordando Pier Giorgio Frassati, uno studente italiano che, come sapete, è stato canonizzato durante quest’anno giubilare. Col suo animo appassionato per Dio e per il prossimo, questo giovane santo coniò due frasi che ripeteva spesso, quasi come un motto, lui diceva: “Vivere senza fede non è vivere, ma vivacchiare” e ancora: “Verso l’alto”. Sono affermazioni molto vere e incoraggianti. Anche a voi, perciò, dico: abbiate l’audacia di vivere in pienezza. Non accontentatevi delle apparenze o delle mode: un’esistenza appiattita su quel che passa non ci soddisfa mai. Invece, ognuno dica nel proprio cuore: “Sogno di più, Signore, ho voglia di più: ispirami tu!”. Questo desiderio è la vostra forza ed esprime bene l’impegno di giovani che progettano una società migliore, della quale non accettano di restare spettatori. Vi incoraggio, perciò, a tendere costantemente “verso l’alto”, accendendo il faro della speranza nelle ore buie della storia. Come sarebbe bello se un giorno la vostra generazione fosse riconosciuta come la “generazione plus”, ricordata per la marcia in più che saprete dare alla Chiesa e al mondo.

Questo, cari ragazzi, non può rimanere il sogno di una persona sola: uniamoci allora per realizzarlo, testimoniando insieme la gioia di credere in Gesù Cristo. Come possiamo riuscirci? La risposta è essenziale: attraverso l’educazione, uno degli strumenti più belli e potenti per cambiare il mondo.

L’amato Papa Francesco, cinque anni fa, ha lanciato il grande progetto del Patto Educativo Globale, e cioè un’alleanza di tutti coloro che, a vario titolo, lavorano nell’ambito dell’educazione e della cultura, per coinvolgere le giovani generazioni in una fraternità universale. Voi, infatti, non siete solo destinatari dell’educazione, ma i suoi protagonisti. Perciò oggi vi chiedo di allearvi per aprire una nuova stagione educativa, nella quale tutti — giovani e adulti — diventiamo credibili testimoni di verità e di pace. Per questo vi dico: siete chiamati a essere truth-speakers e peace-makers, persone di parola e costruttori di pace. Coinvolgete i vostri coetanei nella ricerca della verità e nella coltivazione della pace, esprimendo queste due passioni con la vostra vita, con le parole e con i gesti quotidiani.

In proposito, all’esempio di san Pier Giorgio Frassati unisco una riflessione di san John Henry Newman, un santo studioso, che presto sarà proclamato Dottore della Chiesa. Egli diceva che il sapere si moltiplica quando viene condiviso e che è nella conversazione delle menti che si accende la fiamma della verità. Così la vera pace nasce quando tante vite, come stelle, si uniscono e formano un disegno. Insieme possiamo formare costellazioni educative, che orientano il cammino futuro.

Da ex professore di matematica e fisica, permettetemi di fare con voi qualche calcolo. Avrete l’esame di matematica tra poco forse? Vediamo… Sapete quante stelle ci sono nell’universo osservabile? È un numero impressionante e meraviglioso: un sestilione di stelle – un 1 seguito da 21 zeri! Se le dividessimo tra gli 8 miliardi di abitanti della Terra, ogni uomo avrebbe per sé centinaia di miliardi di stelle. Ad occhio nudo, nelle notti limpide, possiamo scorgerne circa cinquemila. Anche se le stelle sono miliardi di miliardi, vediamo solo le costellazioni più vicine: queste però ci indicano una direzione, come quando si naviga per mare.

Da sempre i viaggiatori hanno trovato la rotta nelle stelle. I marinai seguivano la Stella Polare; i Polinesiani attraversavano l’oceano memorizzando mappe stellari. Secondo i contadini delle Ande, che ho incontrato da missionario in Perù, il cielo è un libro aperto che segna le stagioni della semina, della tosatura, dei cicli della vita. Persino i Magi hanno seguito una stella per arrivare a Betlemme ad adorare Gesù Bambino.

Come loro, anche voi avete stelle-guida: i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti, i buoni amici, bussole per non perdervi nelle vicende liete e tristi della vita. Come loro, siete chiamati a diventare a vostra volta luminosi testimoni per chi vi sta accanto. Ma, come dicevo, una stella da sola resta un punto isolato. Quando si unisce alle altre, invece, forma una costellazione, come la Croce del Sud. Così siete voi: ognuno è una stella, e insieme siete chiamati a orientare il futuro. L’educazione unisce le persone in comunità vive e organizza le idee in costellazioni di senso. Come scrive il profeta Daniele, «quelli che avranno insegnato a molti la giustizia risplenderanno come le stelle in eterno» (Dn 12,3): che meraviglia: siamo stelle, sì, perché siamo scintille di Dio. Educare significa coltivare questo dono.

L’educazione, infatti, ci insegna a guardare in alto, sempre più in alto. Quando Galileo Galilei puntò il cannocchiale al cielo, scoprì mondi nuovi: le lune di Giove, le montagne della Luna. Così è l’educazione: un cannocchiale che vi permette di guardare oltre, di scoprire ciò che da soli non vedreste. Non fermatevi, allora, a guardare lo smartphone e i suoi velocissimi frammenti d’immagini: guardate al Cielo, guardate verso l’alto.

Cari giovani, voi stessi avete suggerito la prima delle nuove sfide che ci impegnano nel nostro Patto Educativo Globale, esprimendo un desiderio forte e chiaro; avete detto: “Aiutateci nell’educazione alla vita interiore.” Sono rimasto veramente colpito da questa richiesta. Non basta avere grande scienza, se poi non sappiamo chi siamo e qual è il senso della vita. Senza silenzio, senza ascolto, senza preghiera, perfino le stelle si spengono. Possiamo conoscere molto del mondo e ignorare il nostro cuore: anche a voi sarà capitato di percepire quella sensazione di vuoto, di inquietudine che non lascia in pace. Nei casi più gravi, assistiamo a episodi di disagio, violenza, bullismo, sopraffazione, persino a giovani che si isolano e non vogliono più rapportarsi con gli altri. Penso che dietro a queste sofferenze ci sia anche il vuoto scavato da una società incapace di educare la dimensione spirituale, non solo tecnica, sociale e morale della persona umana.

Da giovane, sant’Agostino era un ragazzo brillante, ma profondamente insoddisfatto, come leggiamo nella sua autobiografia, Le Confessioni. Egli cercava dappertutto, tra carriera e piaceri, e ne combinava di tutti i colori, senza però trovare né verità né pace. Finché non ha scoperto Dio nel proprio cuore, scrivendo una frase densissima, che vale per tutti noi: «Il mio cuore è inquieto finché non riposa in Te». Ecco allora che cosa significa educare alla vita interiore: ascoltare la nostra inquietudine, non fuggirla né ingozzarla con ciò che non sazia. Il nostro desiderio d’infinito è la bussola che ci dice: “Non accontentarti, sei fatto per qualcosa di più grande”, “non vivacchiare, ma vivi”.

La seconda delle nuove sfide educative è un impegno che ci tocca ogni giorno e del quale voi siete maestri: l’educazione al digitale. Ci vivete dentro, e non è un male: ci sono opportunità enormi di studio e comunicazione. Non lasciate però che sia l’algoritmo a scrivere la vostra storia! Siate voi gli autori: usate con saggezza la tecnologia, ma non lasciate che la tecnologia usi voi.

Anche l’intelligenza artificiale è una grande novità – una delle rerum novarum, cioè delle cose nuove – del nostro tempo: non basta tuttavia essere “intelligenti” nella realtà virtuale, ma bisogna essere umani con gli altri, coltivando un’intelligenza emotiva, spirituale, sociale, ecologica. Perciò vi dico: educatevi ad umanizzare il digitale, costruendolo come uno spazio di fraternità e di creatività, non una gabbia dove rinchiudervi, non una dipendenza o una fuga. Anziché turisti della rete, siate profeti nel mondo digitale!

A questo riguardo, abbiamo davanti un attualissimo esempio di santità: San Carlo Acutis. Un ragazzo che non si è fatto schiavo della rete, usandola invece con abilità per il bene. San Carlo unì la sua bella fede alla passione per l’informatica, creando un sito sui miracoli eucaristici, e facendo così di Internet uno strumento per evangelizzare. La sua iniziativa ci insegna che il digitale è educativo quando non ci rinchiude in noi stessi, ma ci apre agli altri: quando non ti mette al centro, ma ti concentra su Dio e sugli altri.

Carissimi, arriviamo infine alla terza nuova grande sfida che oggi vi affido e che sta al cuore del nuovo Patto Educativo Globale: la educazione alla pace. Vedete bene quanto il nostro futuro venga minacciato dalla guerra e dall’odio che dividono i popoli. Questo futuro può essere cambiato? Certamente! Come? Con un’educazione alla pace disarmata e disarmante. Non basta, infatti, far tacere le armi: occorre disarmare i cuori, rinunciando a ogni violenza e volgarità. In tal modo, un’educazione disarmante e disarmata crea uguaglianza e crescita per tutti, riconoscendo l’uguale dignità di ogni ragazzo e ragazza, senza mai dividere i giovani tra pochi privilegiati che hanno accesso a scuole costosissime e tanti che non accesso all’educazione. Con grande fiducia in voi, vi invito a essere operatori di pace anzitutto lì dove vivete, in famiglia, a scuola, nello sport e tra gli amici, andando incontro a chi proviene da un’altra cultura.

Per concludere, carissimi, il vostro sguardo non sia rivolto alle stelle cadenti, cui si affidano desideri fragili. Guardate ancora più verso l’alto, verso Gesù Cristo, «il sole di giustizia» (cfr Lc 1,78), che vi guiderà sempre nei sentieri della vita.

LEONE XIV