Cronaca Bianca


La conversione missionaria della comunità parrocchiale

"Vietato lamentarsi"

Ai laici nella Chiesa è consentito presiedere la celebrazione della liturgia della Parola nelle domeniche e nelle feste di precetto, quando «per mancanza del ministro sacro o per altra grave causa diventa impossibile la partecipazione alla celebrazione eucaristica», l’amministrazione del battesimo, la celebrazione del rito delle esequie.

 

È quanto la stampa ha subito messo in rilievo del Documento della Congregazione per il Clero “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa”, che porta la data del 29 giugno 2020.
Ma questo è soltanto un numero (esattamente il n. 98) di un Documento costituito da ben 124 numeri. Inoltre la disposizione circa le competenze del laico non costituisce una novità, perché già presente nel Codice di Diretto Canonico, nonché in successivi documenti della Santa Sede.
Tale disposizione, semplicemente ricordata dal Documento, costituisce un elemento particolare che si incastona in un contesto molto più ampio: una riflessione a tutto campo sul senso e sul valore della parrocchia oggi.
 
 
Il termine “parrocchia”, nella sua etimologia, richiama la “casa” del popolo di Dio, il “vicinato”, e quindi rimanda alle “chiese domestiche” dell’inizio del cristianesimo, poi sviluppate in chiese di un determinato territorio. Oggi il contesto è completamente cambiato: l’accresciuta mobilità fa sì che «la vita delle persone si identifica sempre meno con un contesto definito e immutabile, svolgendosi piuttosto in “un villaggio globale e plurale”; dall’altra, la cultura digitale ha modificato in maniera irreversibile la comprensione dello spazio, nonché il linguaggio e i comportamenti delle persone, specialmente quelle delle giovani generazioni». Di qui l’invito di papa Francesco, fin dall’inizio del suo ministero, a «cercare strade nuove», ossia a «cercare la strada perché il Vangelo sia annunciato».
Il Documento della Congregazione del clero vuole aiutare a riflettere sulle sfide che la parrocchia è chiamata ad affrontare. La proposta è quella di una “conversione pastorale in senso missionario”: la parrocchia è invitata a uscire da sé stessa verso «uno stile di comunione e di collaborazione, di incontro e di vicinanza, di misericordia e di sollecitudine per l’annuncio del Vangelo».
 
 
Si tratta di un Documento (tecnicamente “Istruzione”) organico, che analizza le diverse componenti della singola parrocchia, le possibilità e modalità di raggruppamento delle parrocchie, la costituzione di unità pastorali, le forme ordinarie e straordinarie di affidamento della cura pastorale. Si sofferma in particolare sulla figura del parroco, del vicario parrocchiale, dei diaconi, delle persone consacrate, dei laici, analizzando i molteplici possibili incarichi e ministeri, gli organismi di corresponsabilità ecclesiale, come il Consiglio parrocchiale per gli Affari Economici e il Consiglio pastorale parrocchiale. In ultimo parla delle offerte per la celebrazione dei Sacramenti, altro aspetto che ha attirato l’attenzione della stampa («dall’offerta delle Messe deve essere assolutamente tenuta lontana anche l’apparenza di contrattazione o di commercio», tenuto conto che «è vivamente raccomandato ai sacerdoti di celebrare la Messa per le intenzioni dei fedeli, soprattutto dei più poveri, anche senza ricevere alcuna offerta» = due norme riprese letteralmente dal Diritto Canonico in vigore dal 1983).
 
 
Il Documento invita a «esplorare con creatività vie e strumenti nuovi, che consentano alla parrocchia di essere all’altezza del suo compito primario, cioè essere il centro propulsore dell’evangelizzazione». Di qui i suggerimenti ad andare oltre la delimitazione territoriale, a mettere a frutto i molti ministeri e i diversi carismi presenti tra il popolo di Dio, a nuova strutturazione che consenta una autentica “pastorale d’insieme”.
Ciò esige, riconosce il Documento, che «la storica istituzione parrocchiale non rimanga prigioniera dell’immobilismo o di una preoccupante ripetitività pastorale ma, invece, metta in atto quel “dinamismo in uscita” che, attraverso la collaborazione tra comunità parrocchiali diverse e una rinsaldata comunione tra chierici e laici, la renda effettivamente orientata alla missione evangelizzatrice, compito dell’intero Popolo di Dio, che cammina nella storia come “famiglia di Dio” e che, nella sinergia dei diversi membri, lavora per la crescita di tutto il corpo ecclesiale».
 
 
La speranza è che la parrocchia, secondo il desiderio già espresso da papa Francesco il 27 luglio 2016, diventi «un posto di creatività, di riferimento, di maternità. E lì attuare quella capacità inventiva; e quando una parrocchia va avanti così si realizza quello che io chiamo “parrocchia in uscita”».
Il Documento offre dunque proposte e le puntualizzazioni che possono costituire un importante punto di riferimento per il rinnovamento missionario della parrocchia. Ma soprattutto è un pressante e accorato invito perché si sperimentino vie nuove che il Documento non può individuale pienamente perché esse sono frutto della vita e della creatività delle comunità cristiane.

 

 

Lo dice un cartellone appeso alla porta dell’appartamento del Papa a Santa Marta

"Vietato lamentarsi.” Lo dice un cartello appeso alla porta dell’appartamento di papa Francesco nella Casa Santa Marta in Vaticano. La notizia, resa nota dal sito “Vatican Insider”, è stata confermata oggi, venerdì 14 luglio 2017, a ZENIT dal direttore della Sala Stampa vaticana, Greg Burke.

 

Il cartello, con la consueta scritta rossa su campo bianco, che si presenta come la “legge n° 1 sulla tutela della salute e del benessere”, spiega ai visitatori che “i trasgressori sono soggetti da una sindrome da vittimismo con conseguente abbassamento del tono dell’umore e della capacità di risolvere i problemi”. Se poi l’infrazione viene commessa in presenza di bambini, allora “la sanzione è raddoppiata”, avverte il cartello.

 

“Per diventare il meglio di sé — continua il testo — bisogna concentrarsi sulle proprie potenzialità e non sui propri limiti quindi: smettila di lamentarti e agisci per cambiare in meglio la tua vita.”

 

Il cartello — così rivela il “Vatican Insider” — è stato realizzato dallo psicologo e psicoterapeuta italiano Salvo Noè, il quale ha incontrato il Pontefice al termine dell’Udienza generale di mercoledì 14 giugno.

 

Durante il breve incontro, Noè ha regalato al Papa oltre al libro “Smettila di lamentarti” — appunto — anche il cartello. (pdm)

 


Documenti allegati

 Perché tante religioni?
 Religioni amiche o nemiche?
 Ricuperare l'identità cristiana
 Come si svolge il dialogo interreligioso?

 

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Messaggio Cristiano
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OMELIA DEL SANTO PADRE LEONE XIV

Piazza San Pietro
Domenica, 8 giugno 2025

Fratelli e sorelle,

«È spuntato a noi gradito il giorno nel quale […] il Signore Gesù Cristo, glorificato con la sua ascesa al cielo dopo la risurrezione, inviò lo Spirito Santo» (S. Agostino, Discorso 271, 1). E anche oggi si ravviva ciò che accadde nel Cenacolo: come un vento impetuoso che ci scuote, come un fragore che ci risveglia, come un fuoco che ci illumina, discende su di noi il dono dello Spirito Santo (cfr At 2,1-11).

Come abbiamo ascoltato dalla prima Lettura, lo Spirito opera qualcosa di straordinario nella vita degli Apostoli. Essi, dopo la morte di Gesù, si erano rinchiusi nella paura e nella tristezza, ma ora ricevono finalmente uno sguardo nuovo e un’intelligenza del cuore che li aiuta a interpretare gli eventi accaduti e a fare l’intima esperienza della presenza del Risorto: lo Spirito Santo vince la loro paura, spezza le catene interiori, lenisce le ferite, li unge di forza e dona loro il coraggio di uscire incontro a tutti ad annunciare le opere di Dio.

Il brano degli Atti degli Apostoli ci dice che a Gerusalemme, in quel momento, c’era una moltitudine di svariate provenienze, eppure, «ciascuno li udiva parlare nella propria lingua» (v. 6). Ecco che, allora, a Pentecoste le porte del cenacolo si aprono perché lo Spirito apre le frontiere. Come afferma Benedetto XVI: «Lo Spirito Santo dona di comprendere. Supera la rottura iniziata a Babele – la confusione dei cuori, che ci mette gli uni contro gli altri – e apre le frontiere. […] La Chiesa deve sempre nuovamente divenire ciò che essa già è: deve aprire le frontiere fra i popoli e infrangere le barriere fra le classi e le razze. In essa non vi possono essere né dimenticati né disprezzati. Nella Chiesa vi sono soltanto liberi fratelli e sorelle di Gesù Cristo» (Omelia a Pentecoste, 15 maggio 2005).

Ecco un’immagine eloquente della Pentecoste sulla quale vorrei soffermarmi con voi a meditare.

Lo Spirito apre le frontiere anzitutto dentro di noi. È il Dono che dischiude la nostra vita all’amore. E questa presenza del Signore scioglie le nostre durezze, le nostre chiusure, gli egoismi, le paure che ci bloccano, i narcisismi che ci fanno ruotare solo intorno a noi stessi. Lo Spirito Santo viene a sfidare, in noi, il rischio di una vita che si atrofizza, risucchiata dall’individualismo. È triste osservare come in un mondo dove si moltiplicano le occasioni di socializzare, rischiamo di essere paradossalmente più soli, sempre connessi eppure incapaci di “fare rete”, sempre immersi nella folla restando però viaggiatori spaesati e solitari.

E invece lo Spirito di Dio ci fa scoprire un nuovo modo di vedere e vivere la vita: ci apre all’incontro con noi stessi oltre le maschere che indossiamo; ci conduce all’incontro con il Signore educandoci a fare esperienza della sua gioia; ci convince – secondo le stesse parole di Gesù appena proclamate – che solo se rimaniamo nell’amore riceviamo anche la forza di osservare la sua Parola e quindi di esserne trasformati. Apre le frontiere dentro di noi, perché la nostra vita diventi uno spazio ospitale.

Lo Spirito, inoltre, apre le frontiere anche nelle nostre relazioni. Infatti, Gesù dice che questo Dono è l’amore tra Lui e il Padre che viene a prendere dimora in noi. E quando l’amore di Dio abita in noi, diventiamo capaci di aprirci ai fratelli, di vincere le nostre rigidità, di superare la paura nei confronti di chi è diverso, di educare le passioni che si agitano dentro di noi. Ma lo Spirito trasforma anche quei pericoli più nascosti che inquinano le nostre relazioni, come i fraintendimenti, i pregiudizi, le strumentalizzazioni. Penso anche – con molto dolore – a quando una relazione viene infestata dalla volontà di dominare sull’altro, un atteggiamento che spesso sfocia nella violenza, come purtroppo dimostrano i numerosi e recenti casi di femminicidio.

Lo Spirito Santo, invece, fa maturare in noi i frutti che ci aiutano a vivere relazioni vere e buone: «Amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22). In questo modo, lo Spirito allarga le frontiere dei nostri rapporti con gli altri e ci apre alla gioia della fraternità. E questo è un criterio decisivo anche per la Chiesa: siamo davvero la Chiesa del Risorto e i discepoli della Pentecoste soltanto se tra di noi non ci sono né frontiere e né divisioni, se nella Chiesa sappiamo dialogare e accoglierci reciprocamente integrando le nostre diversità, se come Chiesa diventiamo uno spazio accogliente e ospitale verso tutti.

Infine, lo Spirito apre le frontiere anche tra i popoli. A Pentecoste gli Apostoli parlano le lingue di coloro che incontrano e il caos di Babele viene finalmente pacificato dall’armonia generata dallo Spirito. Le differenze, quando il Soffio divino unisce i nostri cuori e ci fa vedere nell’altro il volto di un fratello, non diventano occasione di divisione e di conflitto, ma un patrimonio comune da cui tutti possiamo attingere, e che ci mette tutti in cammino, insieme, nella fraternità.

Lo Spirito infrange le frontiere e abbatte i muri dell’indifferenza e dell’odio, perché “ci insegna ogni cosa” e ci “ricorda le parole di Gesù” (cfr Gv 14,26); e, perciò, per prima cosa insegna, ricorda e incide nei nostri cuori il comandamento dell’amore, che il Signore ha posto al centro e al culmine di tutto. E dove c’è l’amore non c’è spazio per i pregiudizi, per le distanze di sicurezza che ci allontanano dal prossimo, per la logica dell’esclusione che vediamo emergere purtroppo anche nei nazionalismi politici.

Proprio celebrando la Pentecoste, Papa Francesco osservava che «oggi nel mondo c’è tanta discordia, tanta divisione. Siamo tutti collegati eppure ci troviamo scollegati tra di noi, anestetizzati dall’indifferenza e oppressi dalla solitudine» (Omelia, 28 maggio 2023). E di tutto questo sono tragico segno le guerre che agitano il nostro pianeta. Invochiamo lo Spirito dell’amore e della pace, perché apra le frontiere, abbatta i muri, dissolva l’odio e ci aiuti a vivere da figli dell’unico Padre che è nei cieli.

Fratelli e sorelle, è la Pentecoste che rinnova la Chiesa, rinnova il mondo! Il vento gagliardo dello Spirito venga su di noi e in noi, apra le frontiere del cuore, ci doni la grazia dell’incontro con Dio, allarghi gli orizzonti dell’amore e sostenga i nostri sforzi per la costruzione di un mondo in cui regni la pace.

Maria Santissima, Donna della Pentecoste, Vergine visitata dallo Spirito, Madre piena di grazia, ci accompagni e interceda per noi.

LEONE XIV